Gianni Talks!
Ecco perché Letta abbandona la propria riservatezza e ora parla
Come per Greta Garbo, il cui passaggio dal cinema muto a quello sonoro fece epoca, con il film “Anna Christie” reclamizzato dal celebre slogan “Garbo Talks!”, anche per il riservatissimo Gianni Letta tre dichiarazioni in meno di un mese sono un evento. Una notizia intorno alla quale da ieri ci si interroga nel Palazzo. “Le prospettive di vita del governo sembrano essere brevi”, aveva detto il gran ciambellano del Cavaliere il 10 novembre scorso.
Come per Greta Garbo, il cui passaggio dal cinema muto a quello sonoro fece epoca, con il film “Anna Christie” reclamizzato dal celebre slogan “Garbo Talks!”, anche per il riservatissimo Gianni Letta tre dichiarazioni in meno di un mese sono un evento. Una notizia intorno alla quale da ieri ci si interroga nel Palazzo. “Le prospettive di vita del governo sembrano essere brevi”, aveva detto il gran ciambellano del Cavaliere il 10 novembre scorso. Martedì, invece, aveva parlato di preoccupanti “turbolenze finanziarie” che potrebbero contagiare l'Italia. Nella stessa occasione pubblica, Letta si era anche definito “rappresentante pro tempore” di questo governo. Non bastasse, ancora ieri il plenipotenziario di Silvio Berlusconi è sembrato disponibile a scenari di concordia nazionale, dentro e fuori del Parlamento.
Una novità per il berlusconismo (non per Letta), più incline alla rottura che all'arte dei compromessi. “Se si discutesse e si trovasse una soluzione al di là degli schieramenti, migliorerebbe la politica e ci guadagnerebbero i cittadini”. Parole non casuali. Ma che succede? Cosa spinge il grande silenzioso a farsi loquace?
“Letta parla perché Berlusconi è nel bunker e non ascolta”. Cirino Pomicino ne ha viste tante nella sua carriera, dice che la politica “è morta da tempo”, ma continua a osservarla da spettatore molto informato. E' un collettore di notizie e un elaboratore di analisi, Pomicino. “A Berlusconi Letta sta suggerendo di accettare l'idea di farsi morbido per intercettare Fini e Casini”. E sembra proprio vero, perché da ieri pomeriggio si è registrata, nel Palazzo, un'improvvisa attività diplomatica del Pdl – Lega concorde – con Fli e Udc. Letta ne è il regista. Nei colloqui riservati, e ancora interlocutori, con Fini si parla di riforma della legge elettorale. Gli ambasciatori sono entrati nel merito: lo sbarramento del premio di maggioranza. Tuttavia Berlusconi non è d'accordo, Gaetano Quagliariello gli ha spiegato che alzando la soglia verrebbe meno il sistema bipolare: “Si farebbe una campagna elettorale allo scopo di non farti raggiungere il premio di maggioranza. Sarebbe meglio, invece, legare il premio a una soglia percentuale fissa. Chi vince non prende più del 10 per cento come premio”. Ed è questa la controproposta. Si vedrà.
Certo è che in Transatlantico il finiano Pippo Scalia si fa serio quando ammette che “basta un piccolo gesto di apertura da parte di Berlusconi per far ripartire tutto”. Ma si può fare marcia indietro dopo la rottura traumatica? “Sarà Casini a ragionare, trascinando Fini”, pronostica Mario Landolfi. Chissà. Letta, sempre meno silenzioso, ci lavora. Ieri, onde evitare incidenti (la sfiducia a Sandro Bondi), la conferenza dei capigruppo ha sospeso le attività della Camera fino al fatidico 14 dicembre. Anche il Cavaliere è partito, per una settimana. Clima propizio per trame di pace. O tentativi. Perché in area terzopolista (dall'Udc in giù) parallelamente si lavora alla mozione di sfiducia contro il Cavaliere. Stamattina, alle 11, nello studio del presidente della Camera, Fini, Casini e Rutelli si incontreranno per parlarne. Guerra e pace.
Ma non è al solo Berlusconi che si è rivolto pubblicamente Gianni Letta. “C'è un messaggio chiaro per il ministro dell'Economia”, dice Cirino Pomicino. “A Tremonti viene detto che le sue ambizioni se le può scordare. Semmai il Cavaliere si facesse da parte, nel caso in cui si aggravasse la crisi economica, non sarà mai il ministro dell'Economia a diventare premier. Questione di pelle, di opportunità, di fragili equilibri che da tempo sono saltati. Il fatto è che Tremonti e Letta, o se vogliamo tremontismo e lettismo, sono due categorie antitetiche. Due poli opposti, politici e di potere”.
Sono due i destinatari delle parole di Gianni Letta, dunque: il presidente del Consiglio (cui si consiglia prudenza), che annuncia sfracelli e teorizza una prova di forza parlamentare con la fiducia del 14 dicembre; e il ministro dell'Economia, un sempiterno sospettato cui si attribuisce l'ambizione di voler raccogliere la chiamata per Palazzo Chigi in tempi di crisi economica, da flemmatico, e affermato, amministratore dei conti qual è. Dicono che le parole di Letta (ma Tremonti smentisce) lo abbiano molto innervosito. Soprattutto perché Letta, pur indebolito dalla politica economica accentratrice del superministro, ha dalla sua parte quasi tutto il Pdl. Ministri e capigruppo ripetono da tempo una specie di filastrocca mandata a memoria: “Se usciamo da questa fase, Tremonti non può pensare di gestire tutto lui. Né tantomeno può credere di essere l'unica scelta che abbiamo. Assieme a lui, e forse prima di lui, ci sono Letta e Angelino Alfano”.
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