Ma in Monicelli abbondavano leggerezza e libertà

Stefano Di Michele

Una finestra. Vuoto, buio. Lanciarsi nel vuoto. Una caduta – spesso. Un volo – a volte. Volare non è la stessa cosa che cadere. Magari solo impazienza, non un attimo ancora, non un altro pensiero, non un'attesa che conduce al nulla. Il suicidio di Mario Monicelli pare un volo: per la leggerezza del suo corpo di vecchio quasi trasparente; per la determinazione – qui e non oltre, qui e non ancora. E' la paura (anche), naturalmente.

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    Una finestra. Vuoto, buio. Lanciarsi nel vuoto. Una caduta – spesso. Un volo – a volte. Volare non è la stessa cosa che cadere. Magari solo impazienza, non un attimo ancora, non un altro pensiero, non un'attesa che conduce al nulla. Il suicidio di Mario Monicelli pare un volo: per la leggerezza del suo corpo di vecchio quasi trasparente; per la determinazione – qui e non oltre, qui e non ancora. E' la paura (anche), naturalmente. Ma il modo in cui ci si libera della paura ha a che fare con la nostra speciale libertà. Nella foto, il corpo di Monicelli pare ancora più minuscolo in quell'angolo di cortile, il profilo stampato netto sul lenzuolo bianco dalla pioggia che cade. Fine: come al termine di un film, perfetta immagine cinematografica, con la mite prostituta Carolina e il tuonante Brancaleone che lì vicino piangono.

    Un suicidio come quello di Monicelli è un volo che decide dove posarsi, morire senza permettere alla morte di persistere – un guizzo istrionesco, prenderla di sorpresa: non impreparata, che quella impreparata non è mai, ma stupirla nell'unica possibilità concessa, avendo tanti stupori (di parole, di facce, di storie) evocato in vita. C'è come una leggerezza, nel suicidio di Monicelli, un togliersi dal disturbo, lo scatto laterale della fine (come successe a quei due poveracci della “Grande Guerra”, pure se lì fu omicidio: di stellette e fanfare e bugie).

    Un paio di settimane fa, al telefono, con Monicelli: poche parole, scarsa voglia di conversare – si sentiva. Qualche giorno prima gli avevo chiesto un'intervista proprio sul tema della vecchiaia e della leggerezza, del molto che resta dentro quello che ancora rimane. Mi aveva detto di sì, tra poca curiosità e un po' più di noia. “Mi richiami venerdì. Ho da fare per qualche giorno”. Venerdì non rispose, lo trovai la settimana successiva. Non aveva più intenzione di fare l'intervista, forse non aveva più voglia di fare molte cose. “Ne ho dette tante, di cose. Può prendere quelle”. Finì in una pagina in compagnia di Borges – il grande poeta che giunto alla fine rimpiangeva di aver vissuto la sua vita con poca leggerezza, e il grande regista che quella leggerezza aveva portato sullo schermo e praticato nella vita, con sfottente ironia, “superficiale e comunista”.

    Forse aveva già deciso tutto – e lo stesso questo non cambia assolutamente niente. Forse non sapeva ancora dove stava andando. Ma volare via (non buttarsi, volare) è qualcosa che un essere umano può decidere di fare, libermente decidere – e quell'ultima decisione è sempre e solo la propaggine estrema della sua (e altrui) dignità, ingiudicabile ancor di più quando appare incomprensibile. Monicelli era un artista. Un uomo che aveva grandemente vissuto: con le sue opere, i suoi amori, le sue passioni. Qui e non oltre: se davanti c'è il deserto di opere o passioni o amori. Niente “ospiti dal futuro” da attendere, come sperava una grande poetessa russa. O anche per angoscia, solo per un sussulto di rivolta alla minaccia del nostro sconquassamento finale.

    Magari non era triste, depresso di quella depressione che colpiva il suo amico Gassman (che insieme a un altro amico, Dino Risi, fissava un'aquila chiusa in una gabbia che le consentiva appena due colpi di ali: “Quella sono io”). Anzi deciso. Si sta finché si può – della mia stanchezza come della mia noia e anche del mio dolore ho solo io l'esatta unità di misura. Neanche Dio, che vita e passioni e noia ha donato – e spesso usato come “il peso falso” di Roth, per tarare le esistenze altrui e farci così noi stessi spudoratamente un po' Dio. Saprà Lui, nel caso, come regolarsi: avrà visto er Pantera e Capannelle – che del resto, lassù bazzicano. Avrà saputo (sa e capisce sempre tutto) che Monicelli a oltre sessanta film aveva messo la parola fine. E che dunque, nel “levar la mano su di sé”, aveva ogni diritto di farlo anche con la sua vita. 

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