Questa sera la quarta stagione alle 23 su FX (canale 119 di Sky)
Ritorno al sogno americano
Il sogno americano esiste. Una serie scritta dieci anni fa e rifiutata da due tv via cavo (per non far nomi, HBO e Showtime) colleziona quasi tre milioni di spettatori all'inizio della quarta stagione, il 25 luglio scorso. L'indotto spiega il fenomeno meglio dei numeri. I pubblicitari di “Mad Men” – Don Draper con consorte Betty, e Roger Sterling con la segretaria Joan dalle forme a clessidra – fanno bella mostra di sé nel catalogo Mattel, assieme alle Barbie & Ken per collezionisti.
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Il sogno americano esiste. Una serie scritta dieci anni fa e rifiutata da due tv via cavo (per non far nomi, HBO e Showtime) colleziona quasi tre milioni di spettatori americani all'inizio della quarta stagione, il 25 luglio scorso. L'indotto spiega il fenomeno meglio dei numeri. I pubblicitari di “Mad Men” – Don Draper con consorte Betty, e Roger Sterling con la segretaria Joan dalle forme a clessidra – fanno bella mostra di sé nel catalogo Mattel, assieme alle Barbie & Ken per collezionisti. Sono in vendita a 75 dollari, inclusi vestiti e borsette, escluse sigarette e martini cocktail (già basta la coppia clandestina segretaria-boss, a sparigliare). A Times Square c'era un concorso per fan agghindati anni Sessanta, maschi in completo, cravatta stretta e cappello, femmine in abitini che seguono le curve (e peggio per chi non le ha più): roba che finora facevano soltanto i fan di “The Rocky Horror Picture Show”, il film di Jim Sharman sui travestiti della Transilvania. The Oprah Winfrey Show ha dedicato alla serie una puntata intera. Jon Hamm – l'attore lanciato dal ruolo di Don Draper, parecchio più appetitoso di George Clooney – è apparso come guest star nella serie “30 Rock” (era il vicino di casa di Liz Lemon-Tina Fey, capello lungo senza brillantina, camicia a scacchi, occhiali) e sarà in una prossima puntata dei Simpson.
Parodie se ne trovano quasi ovunque, dai “Muppets” al “Saturday Night Live”, per non parlare del fai da te su Internet. La sigla con la sagoma dell'uomo e della sua valigetta che precipitano dal palazzo (pura grafica Saul Bass, che disegnava i titoli di testa per Alfred Hitchcock, e grande coraggio, dopo le foto dell'11 settembre e il romanzo di Jonathan Safran Foer “Molto forte, incredibilmente vicino”) esiste con le rotondità di Homer, o nella versione “Mad Women”. In riunione stanno invece i “Meshugene Men” – sempre matti, ma in yiddish – mentre nell'originale sono tutti WASP. “Mad Men” ormai è una categoria di “Jeopardy!”, il quiz americano che esiste dagli anni Sessanta (come le Barbie) e funziona al contrario: il cerimoniere dà le risposte, il concorrente deve fornire la domanda (proprio concorrendo a “Jeopardy!” il giovane Matthew Weiner guadagnò i primi denari). Esiste un video con i consigli di Don Draper per rimorchiare. Il Wall Street Journal usa la serie per spiegare come va il mondo: siamo meglio oppure no di mezzo secolo fa, quando le macchine per scrivere user friendly erano tanto semplici che anche una donna le può usare? Gli spettatori non raggiungevano il milione quando nel 2007 il primo episodio andò in onda sulla tv via cavo AMC, che osò metter piede dove la concorrenza aveva esitato. Nove Emmy, quattro Golden Globe, e altri ne arriveranno.
Non provateci a casa, però. Exploit come quello di Matthew Weiner non riescono quasi mai. Bisogna aver carattere per tenere sette anni nel cassetto un magnifico copione, e arrivati in cima non pronunciare un solo lamento verso chi lo rifiutò. Weiner non era esattamente uno sconosciuto, per la HBO lavorava da quando per l'appunto (era il 2002) inviò il manoscritto di “Mad Men” a David Chase, inventore e produttore dei “Soprano”. Chase lo prese in squadra, ma nessuno pensò di girare un pilot della futura serie, considerata poco più che una palestra per allenarsi. C'erano troppe sigarette, troppi pranzi erano innaffiati da almeno tre martini, il personaggio di Don Draper era troppo antipatico. Neanche Tony Soprano, deve aver pensato Matthew Weiner nella solitudine della sua cameretta, era esattamente uno stinco di santo. Pativa l'abbandono delle anatre che avevano scambiato la sua piscina per uno stagno, ma smaltiva i nemici come spazzatura, e descriveva i tempi grami con una battuta scorrettissima: “Il cunnilinguus e la psicoanalisi ci hanno portato alla rovina”. Certo, James Gandolfini ha fatto la sua parte per renderle Tony adorabile, come Jon Hamm usa tutta la sua bravura (e dire che non tanti anni fa, per mantenersi, lavorava come cameriere e insegnava recitazione) per rendere Dan Draper irresistibile. Certo, nessuno prevedeva che gli anni Sessanta avrebbero attirato spettatori, ma la scrittura c'era. Anzi, la dettatura: Matthew Weiner preferisce inventare le battute ad alta voce, si mette al computer solo per limare e perfezionare (ora la serie ha nove sceneggiatori, tra cui sette donne).
Quando finalmente i primi tredici episodi della serie ebbero la green light (costo di ogni puntata due milioni di dollari, sotto la media americana) Matthew Weiner prese posto sul set losangelino come “una via di mezzo tra Dio e Edith Head”. “Dio” nel senso di Gustave Flaubert, convinto che lo scrittore dovesse avere con l'opera lo stesso rapporto che la divinità intrattiene con la creazione: l'uno e l'altro “sono responsabili di tutto ma non si mostrano in nessun luogo”. “Edith Head” nel senso della più famosa costumista hollywoodiana, vincitrice di otto Oscar. Due solo nel 1951, quando la categoria era sdoppiata in pellicole a colori e pellicole in bianco e nero (“Eva contro Eva” per la prima, “Sansone e Dalila”). Vestì Audrey Hepburn in “Vacanze romane” e “Sabrina”, disegnò il guardaroba di Grace Kelly in “La finestra sul cortile”. La gonna di tulle e la maglietta nera con cui visita James Stewart immobilizzato a letto, portandogli la cena ordinata al ristorante, sono da rubare, assieme alla camicia da notte, vestaglia e pantofoline rosa da chiudere in un bauletto minuscolo, a dimostrazione che anche una ragazza viziata e modaiola può partire per la giungla amazzonica con poco bagaglio e breve preavviso
Ogni dettaglio della serie – ambientata a Madison Avenue, sede delle agenzie pubblicitarie negli anni migliori dell'advertising – è personalmente controllato da Matthew Weiner, che ha sempre fantasticato su come vivessero i suoi genitori in quegli anni (nota per il dottor Freud: più interessante della solita e ripetitiva scena primaria, o no?). Moquette, scrivanie, lampade, televisori con schermo rotondetto, gemelli, cravatte, telefoni in bachelite, cornici per le foto di famiglia, fotocopiatrici gigantesche che non si sa dove piazzare, posaceneri, lavatrici, frigoriferi, sedie e poltrone, macchinette per massaggi identiche a quella che Tony Curtis usa a bordo del sottomarino rosa nel film “Operazione sottoveste” di Blake Edwards (1959). La bionda Betty Draper somiglia a Grace Kelly, con un guardaroba da rubare subito, quel tipo di vestiti che stanno nelle scatole con la velina. Quando sbarca a Roma (tra i clienti dell'agenzia c'è il costruttore di alberghi Conrad Hilton) sembra un personaggio della “Dolce Vita”, abbordata dai giovanotti del tavolo accanto, un bell'ombrellone Cinzano sullo sfondo. La rossa Joan Holloway, curve e misure che qualunque commessa guarderebbe con disprezzo, è vestita come Marilyn Monroe: tacchi alti e abiti fascianti, all'altezza della coscia indoviniamo i segni delle giarrettiere che reggono la calza velata. Peggy, la ragazza che da segretaria riesce a diventare copywriter, ha i capelli a tendina, le scarpe a mezzo tacco, una quantità di abiti mortificanti a quadrettoni.
Oltre alla catena alberghiera avviata dal bisnonno di Paris Hilton – slogan: “come si dice ‘acqua ghiacciata' in italiano?”, “come si dice ‘asciugamani puliti' in farsi?”, e la parola magica per ottenere il comfort americano è sempre “Hilton” – compaiono altri prodotti e altre campagne storiche. Per esempio la sigaretta Lucky Strike, lanciata con lo slogan “It's toasted” (tutte le sigarette lo erano, nessuno l'aveva fatto mai rimarcare, qui sta il genio del pubblicitario). C'è il proiettore Kodak, il famigerato carrousel che alla fine delle diapositive vacanziere consentiva di ricominciare dall'inizio, c'è il nuovo antiacne Clearasil e la guerra tra i reggiseni Playtex e Maidenform, gli spot televisivi con l'alpinista fumatore, i trattori John Deere. Nel caso certe campagne sembrassero un tantino esagerate, razziste (un cliente produce il televisore preferito dai neri, ma è vietato dirlo negli annunci) oppure dannose per la salute come noi la conosciamo, una galleria su Salon mostra una serie di veri orrori pubblicitari, alcuni per la verità più antichi e artigianali. Annunci porcelloni a doppio senso; la Thorazina che serve a calmare i vecchietti irascibili (“For prompt control of senile agitation” dice lo slogan, stampato sopra un nonnetto che brandisce un bastone), birre che tirano su la mamma che allatta e di conseguenza anche il bambino; Coca-Cola e altre bevande gasate da somministrare già durante lo svezzamento, piccini che implorano: “Mamma, prima di sgridarmi accenditi una Marlboro”. Insomma, si caldeggiava per gli infanti quel che ora si vorrebbe vietare anche agli adulti. Mamma Betty Draper – rigidissima su tutto, i bambini obbediscono – fuma a tavola mentre i figli cenano. I rampolli hano competenze in materia di cocktail che oggi sfuggono a certi baristi: sanno per esempio che nel Tom Collins (gin, limone, sciroppo di zucchero e soda) non bisogna assolutamente schiacciare la ciliegina. Pare che finora a Matthew Weiner siano sfuggiti un paio di errori, già gli bastano per assumersene ogni colpa nelle interviste (uno riguarda Marshall McLuhan, che non aveva ancora messo per iscritto “il mezzo è il messaggio” e certo la procace Joan non era stata a lezione dal sociologo).
Nella prima stagione i pubblicitari erano alle prese con un grave dilemma: “Sarà degradante fare pubblicità a un politico invece che a una schiuma da barba o un rossetto?”. Le risposte sono più per il sì che per il no, sullo sfondo del dibattito televisivo tra Nixon e Kennedy. Quando arriva Rachel Menken, proprietaria dei grandi magazzini Menken e possibile cliente, Don Draper chiede se all'agenzia lavorano impiegati ebrei. “Non che io sappia” è la risposta. “Vuoi che scendo al deli e ne rimedio uno?”. La scorrettezza politica fa parte del piacere, con il senno di poi la gustiamo ancora di più. Nessuno raccoglie le cartacce dopo un picnic, si beve più whisky che caffè, quando Betty Draper ha una crisi da casalinga disperata va dallo psichiatra, e il dottore riferisce al marito progressi e regressi (né l'uno né l'altro sospettano però che la mogliettina perfetta usi la lavatrice come vibratore). Un impiegato con la fidanzata nera si sente dire “non ti credevo di mente così aperta” (l'unica altra nera fa la cameriera in casa Draper). Ogni boss va a letto con una segretaria, sua o altrui. Qualche pubblicitario di quegli anni ha protestato: “Bugie, lavoravamo da mattina a sera e conducevamo un'esistenza monacale”. Qualche altro – Jerry Della Femina, il matto che durante un brainstorming propose per i televisori Panasonic lo slogan: “Da quei ganzi che vi hanno dato Pearl Harbour” – non riesce a capire come Matthew Weiner, classe 1965, possa sapere tante cose, e tutte giuste.
Prima e dopo il duello televisivo Nixon-Kennedy (la rivista di settore Advertising Age titolò: “Può la tv influire sulle elezioni americane?”) altre storiche date incrociano la serie. La tavola sinottica multimediale sta sul sito del New York Times. Parte dalla guerra di Corea, dove Don Draper ha combattuto. Poi c'è la pillola, prescritta da un dottore che fuma mentre visita (quello dell'“Esorcista”, Marlboro sul tavolo, almeno fumava dopo che la paziente si era rivestita) e avverte: “Non la dia troppo in giro, New York non ha bisogno di altre sgualdrine”. La Penn Station viene demolita per far posto al Madison Square Garden, Don Draper cerca di convincere gli abitanti di New York che i vecchi edifici devono far posto al nuovo. Joan Holloway piange la morte di Marilyn Monroe, l'art director Salvatore non potrà invece piangere la morte di Judy Garland, perché è gay, ma non si deve sapere (la serie andrà avanti almeno fino alla sesta stagione, c'è il caso di ritrovarlo alla rivolta di Stonewall, tra gli avvenimenti capitali suggeriti dal New York Times per le prossime puntate).
In vista della ripresa (beati i paesi in cui l'alta stagione tv comincia in piena estate, la seconda serie sul superdotato “Hung” è già cominciata da un mese) la designer Emily Miethner, specializzata in tabelle e grafici più comprensibili ed eleganti delle solite torte o torrette, sul sito “Flavorwire” propone un ripasso di “Mad Men” via tavola degli elementi. A sinistra, dove Mendeleev aveva sistemato i metalli, ci sono le dure realtà degli anni Sessanta, dai lift boy ai diritti civili. A destra, verso i gas nobili, troviamo i vizi, i segreti, e le sostanza che tiran su. In mezzo i riferimenti alla pop culture, in basso le tragedie personali e lavorative. Per maggiore soddisfazione, la tavola va perlustrata con un martini di metà giornata (quando la produrranno a forma di tenda da doccia, farà il paio con la vera tavola periodica sbirciata nel bagno dei nerd di “The Big Bang Theory”, ma questa è un'altra storia). Volendo, c'è la lista delle Mad-letture estive, dalla “Fonte meravigliosa” di Ayn Rand (lo legge il grande capo Cooper, che gira per l'ufficio senza scarpe e ha un giardino zen) all'“Amante di Lady Chatterley”.
Servisse un alibi culturale – non fa un bell'effetto dire che stiamo con una popolarissima serie tv invece di appassionarci a un oscuro cortometraggio sperimentale – viene in soccorso Dave Eggers e la sua banda. Su McSweeneys, certificano per i futuri topi da biblioteca l'esistenza della serie. E immaginano che per consultare la Sterling Cooper arrivi da Londra Anna Freud. Il marchio di famiglia sta perdendo qualche colpo rispetto al comportamentismo, spiega. Chiede un spot che calchi la mano sui sogni, vera esclusiva su cui la ditta Freud ha sempre puntato (il concorrente Jung, per esempio, riesce a vendere l'incoscio collettivo nel paese dell'individualismo). Se si potesse mandare in onda qualcosa somigliante al sogno di “Io ti salverò”, disegnato da Salvador Dalì, gli affari andrebbero molto meglio.
Leggi Così l'eretica tv di Mad Men ha sedotto i tromboni dei cineclub francesi
Il Foglio sportivo - in corpore sano