Speculazioni sulla speculazione
Più che contro l'Italia, la destabilizzazione pro dollaro mira all'euro
L'Italia, nonostante le ultime aste dei titoli del Tesoro non abbiano dato luogo a difficoltà di collocamento, pare entrata nella cerchia dei paesi considerati – innanzitutto dalla stampa anglosassone – a rischio di crisi del suo debito pubblico. Un altro stato che fino a pochi giorni fa nessuno riteneva in pericolo è il Belgio. Ma occorre fare chiarezza: per la Grecia il problema principale era la scarsa credibilità dovuta ai conti pubblici truccati; per l'Irlanda pesa la situazione di semi insolvenza delle banche; anche per la Spagna si avanzano dubbi sugli istituti di credito, al punto che la Commissione europea prepara un nuovo stress test sul sistema; per il Portogallo, infine, il problema è che gran parte del suo debito è acquistato da soggetti esteri e il paese ha bisogno di questo flusso di capitali per compensare il pesante passivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti.
Il punto è che per Roma e Bruxelles non vi è nessuno di questi problemi. C'è piuttosto l'incertezza sulla situazione politica. Certo è plausibile che essa possa generare dubbi sulla effettiva realizzazione dei programmi di riduzione del deficit pubblico, ma non è casuale che questo argomento venga utilizzato soprattutto dagli operatori dell'area del dollaro.
Una spiegazione è possibile rintracciarla nella guerra in corso tra valute. La massiccia monetizzazione del debito pubblico da parte della Fed mediante l'acquisto di centinaia di miliardi di bond del Tesoro di per sé avrebbe infatti comportato una perdita di pregio del dollaro come moneta di riserva, a favore dell'euro. La destabilizzazione del debito pubblico di paesi dell'Eurozona comporta invece l'effetto opposto. Non solo: questo allarme (in parte indotto) può obbligare la Bce a effettuare interventi paralleli di monetizzazione del debito di stati a rischio, generando un'ondata di liquidità che fa comodo alle banche con portafogli scadenti. Senza necessariamente minimizzare i problemi del Vecchio continente – che ormai crea più deficit che pil, per usare un azzeccato brocardo tremontiano – occorre tenere conto che è in atto una guerra fra monete, in cui noi siamo un obiettivo indiretto. E ciò dovrebbe indurre a particolare cautela.
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