L'indispensabile rupture

Giuliano Ferrara

Con questo involucro istituzionale, con questa concreta struttura del potere, l'Italia prima o poi sbatterà la testa contro il muro. Sono giorni complicati per tutti, anche per chi fa un gioco di felice irresponsabilità (politicanti, aspiranti uomini di stato, finanzieri, editori, giornalisti) in mezzo alla crisi dei debiti di stato. Il Corriere ha deciso l'attacco all'Eni e al suo profilo strategico nonché al retroterra diplomatico, tessuto allo stesso titolo da Berlusconi e dai governi di centrosinistra, che lo ha reso possibile.

    Con questo involucro istituzionale, con questa concreta struttura del potere, l'Italia prima o poi sbatterà la testa contro il muro. Sono giorni complicati per tutti, anche per chi fa un gioco di felice irresponsabilità (politicanti, aspiranti uomini di stato, finanzieri, editori, giornalisti) in mezzo alla crisi dei debiti di stato. Il Corriere ha deciso l'attacco all'Eni e al suo profilo strategico nonché al retroterra diplomatico, tessuto allo stesso titolo da Berlusconi e dai governi di centrosinistra, che lo ha reso possibile. Il perché di questa decisione, che si affianca alla campagna distruttiva in atto contro Finmeccanica, è difficile a dirsi. Si sa troppo poco o forse se ne sa troppo. Interessi domestici, insofferenze francesi, chissà. Ma il come di queste guerre che puntano al cuore del sistema industriale e finanziario del paese, e dei suoi vitali interessi energetici, è sotto i nostri occhi: pochi scrupoli, informazioni piuttosto abborracciate, una grande spregiudicatezza di tono nell'avanzare accuse dissimulate ma acuminate, con il continuo ricorso a insinuazioni senza riscontro, tipiche del pettegolezzo e ora anche dei cablogrammi diplomatici trasformati in chiacchiera pubblica da Wikileaks e dall'uso che se ne fa, particolarmente sulla scena italiana.

    Eravamo ricorsi a storia e poesia per avvertire, scrivendo del 24 luglio permanente e della sensazione di stare come d'autunno sugli alberi le foglie, che incombeva sul paese qualcosa di molto speciale. Non è governabile un paese in cui non esiste considerazione minima né minimo rispetto per le regole del gioco anche più duro, per il fair play nei rapporti politici e istituzionali, un paese in cui la televisione e il sistema dei media seguono dal buco della serratura le vicende private del capo dell'esecutivo, e la caccia al premier si fa con le belle confidenti dei carabinieri, con il pedinamento di auto dirette alla sua residenza privata di Arcore, con la pubblicazione di intercettazioni ordinate e acquisite e diffuse in condizioni di dubbia legalità. Il corto circuito tra questo trattamento particolare, che i colleghi di Repubblica chiamerebbero “la macchina del fango”, e l'agitazione a bandiera dei cablo diplomatici riservati, rende molto agitata e in un certo senso finale la scena madre del 14 dicembre prossimo, la scena finale della sfiducia parlamentare e della crisi di governo.

    Per i nemici più radicali di Berlusconi è la caduta di un regime, l'indebolimento fino al declino di una leadership, in mezzo a bagordi da ultimi giorni di Pompei. Chiedono le dimissioni del presidente del Consiglio, in base alla constatazione di una maggioranza sfilacciata che alla Camera virtualmente non esiste più, e preparano governi Letta, governi Tremonti, perfino governi Pisanu, il tutto nel presupposto che alla fine la Lega stacchi la spina al ministero trattando con le opposizioni qualcosa che giudica importante per il proprio futuro. Per i suoi nemici Berlusconi è un incubo, vista la sua persistenza, le sue tre vittorie elettorali nel gioco contro tutti, vista una minacciosa popolarità residua del comeback kid e la mancanza di una seria, efficace alternativa politica di governo e di maggioranza. TTB ovvero Tutto Tranne Berlusconi è la parola d'ordine.

    Ma se provassimo a essere seri,
    e qui non conta nemmeno più la logica amico-nemico, dovremmo riconoscere con schiettezza che il problema dell'Italia non è liberarsi di Berlusconi: è del sistema politico autoparalizzante, del guscio istituzionale incapacitante che il paese deve liberarsi, e deve farlo con una rottura riformatrice che metta in grado di comandare chi ha il mandato elettorale di guidare il paese (e chi è all'opposizione di preparare una efficace alternativa). Dopo chiacchiere pluridecennali, cominciate quando si era capito che lo stato e la società degli antichi partiti politici stavano per inabissarsi per lo stesso difetto di autorità e di efficacia che affligge ora il sistema, e continuate nei quasi vent'anni della transizione a una inafferrabile nuova Repubblica, difficile ora delineare un manifesto politico riformatore che realizzi la rottura che serve, che è indispensabile a un paese come l'Italia. Craxi, che era un socialista con i lombi ma lavorò da outsider nel paese del patto consociativo Dc-Pci, propose la grande riforma presidenzialista. Berlusconi, anche lui un outsider che ingombra la scena e impaurisce il giro grosso, ma non ha alcuna forza di deterrenza contro le lobby centrifughe del circuito mediatico-giudiziario-istituzionale, di una simile grande riforma avrebbe bisogno come del pane.

    Il punto di partenza nel giudizio comunque è questo:
    qualunque sia l'esito della crisi politica aperta, un governo di ribaltone centrato sull'alleanza tra il cosiddetto terzo polo e il centrosinistra più Di Pietro, oppure un Berlusconi bis, oppure un governo berlusconiano senza Berlusconi, oppure non si sa quale altra trovata, in tutti i casi, compreso quello di elezioni giocate sul nulla della rissa con Fini e della propaganda di Bersani, si andrà verso un nuovo periodo di bassa macelleria politica. Non avremo stabilità, non avremo un governo decente, avremo probabilmente la dissoluzione del progetto che faticosamente ha accompagnato la fine della prima Repubblica e poi le politiche pro-mercato e la nascita dell'euro, ma senza uno straccio di idea per rimpiazzare quel che c'è, per riempire il grande vuoto di una forma nuova della politica.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.