Il mio canto libero sei tu

Annalena Benini

Jovanotti fa l'effetto Bruce Lee, “che quando uscivi dal cinema si aveva voglia di menare le mani e davamo pugni nell'aria facendo le facce da Chen”. Non ho mai visto un film con Bruce Lee, ma Jovanotti è puro Bruce Lee, dall'inizio, quando non sembrava ancora sufficientemente pensoso: “Sei come la mia moto, sei proprio come lei, andiamo a farci un giro fossi in te io ci starei” – comprai l'audiocassetta da un ambulante, la prima musica taroccata, e cercai un fidanzato che avesse almeno la Vespa.

    Jovanotti fa l'effetto Bruce Lee, “che quando uscivi dal cinema si aveva voglia di menare le mani e davamo pugni nell'aria facendo le facce da Chen”. Non ho mai visto un film con Bruce Lee, ma Jovanotti è puro Bruce Lee, dall'inizio, quando non sembrava ancora sufficientemente pensoso: “Sei come la mia moto, sei proprio come lei, andiamo a farci un giro fossi in te io ci starei” – comprai l'audiocassetta da un ambulante, la prima musica taroccata, e cercai un fidanzato che avesse almeno la Vespa.

    Poi “Mi chiamo Jovanotti, faccio il dj, non vado mai a dormire prima delle sei”: non si poteva stare in casa e non si poteva tornare presto. Con “Ti vedo scritta su tutti i muri, ogni canzone mi parla di te”, bisognava innamorarsi all'istante, per poi piangere ascoltando in macchina “com'è strano incontrarti di sera in mezzo alla gente salutarci come due vecchi amici ehi ciao come stai, quando un giorno di notte m'hai detto non ti lascerò mai” (era solo l'inizio, era prima di tutto). “Una canzone romantica deve farti vedere la tua donna come bellissima e avere subito bisogno di baciarla e un pezzo tirato ti deve far sgommare con la moto se lo senti in cuffia e un pezzo epico deve farti venire voglia di abbracciare qualcuno o di prendere una nave per il primo posto che capita”, scrive Jovanotti in “Viva tutto!”, libro-e-mail con il filosofo Franco Bolelli (Add Editore), in cui i due si raccontano il mondo, la musica, le donne, New York, le novità, l'ottimismo, l'iPad, la fine della post modernità (e si chiama “Viva tutto!”, con il punto esclamativo, non “Cimitero”, “Ossessione”, “Brutte notizie”, “Vergogna”, “Raccapriccio”, “Suicidio”, “Gastrite”).

    L'effetto Bruce Lee funziona anche senza musica: viene voglia di scaraventarsi per strada, salutare il primo che passa, dirgli è un giorno bellissimo e insieme faremo grandi cose, scrivere sui muri che conta solo l'amore, come nell'ultima canzone, “Tutto l'amore che ho” (il pensiero filosofico di Jovanotti è lo stesso di vent'anni fa: “Senti bambina non credere a niente che non sia amore” era una delle cento strofe necessarie, e non è vero che lui prima era imbarazzante e adesso è un genio: ha sempre avuto il talento di sintetizzare il mondo e i compleanni). E' l'effetto Jovanotti, è l'energia traboccante da deejay, è lo sforzo (ma in lui sembra tutto follemente sincero e semplice) di non pensare: che orrore questa gente, che orrore questo mondo, fuggiamo, o almeno facciamo la faccia dello sconforto. Jovanotti è l'antitesi del cinismo decadente, è il contrario dell'indignazione e della noia (quelli: quando voi eravate sugli alberi noi eravamo già froci).

    E' sconvolgente, perché nel suo pensiero libero (e molto attratto dagli elenchi) non ci sono pregiudizi verso nulla, nemmeno verso i Suv: “Comunque, a parte tutto, che male c'è a desiderare un Suv? Non mi sembra che tra i dieci comandamenti ce ne sia uno che recita ‘non desiderare un Suv' (…), non mi rompano le palle con queste cazzate please” (su Repubblica Giuseppe Genna aveva lamentato che “tutti desiderano un Suv” e Franco Battiato aveva detto che “oggi Gaber rinuncerebbe a cantare quest'Italia marcia”). Franco Bolelli allora aveva scritto una e-mail a Lorenzo Jovanotti, provocandolo: “A me sembra che i fustigatori, gli indignati, quelli che lamentano l'appiattimento, siano alla fine quelli che appiattiscono più di tutti, che generalizzano in una specie di notte indistinta in cui tutte le vacche sono nere”.

    Jovanotti gli risponde raccontandogli che è stato a pedalare nei boschi con Gaber nell'iPod (e che la musica italiana popolare sarebbe più povera senza Gaber, ma lo sarebbe anche senza i Nomadi, i Ricchi e Poveri, senza Alberto Camerini o senza l'orchestra Casadei), che lo sguardo decadente sul mondo non fa per lui (gli piacciono anche l'asfalto e le trombe di plastica assordanti, le vuvuzelas) e che è appena tornato dal museo di storia naturale dove c'erano dei pappagalli dai colori strabilianti e dei minerali pazzeschi, ha riletto Ludovico Ariosto, la parte del canto dell'Orlando Furioso quando Astolfo sale sulla luna a recuperare il senno del paladino (“il vecchio Ludovico è pura adrenalina e volevo dirtelo, ribadirtelo”), ha ripensato all'Estasi di santa Teresa di Bernini e ad alcune Madonne di Caravaggio, e davvero non riesce a preoccuparsi per la presenza dei Suv. Sembra che stia su un altro pianeta, fra Cortona e il cielo: invece è, in modo potente, allegro, riflessivo, piantato in questo mondo.

    L'effetto Jovanotti è pericoloso perché può far diventare buoni. Ho persino pensato di cominciare ad andare in bicicletta nei boschi (se sono boschi in piano, con allestite nei punti strategici bancarelle di libri, sciarpette, bibite, borse da bosco, se c'è sempre campo giuro che lo faccio). Se si pensa di poter gestire la tentazione della bontà (anche tuffarcisi dentro potrebbe essere un'idea, sicuramente una novità), ecco un decalogo incompleto e senza diritto di replica dei comandamenti di Jovanotti, così come li ho capiti leggendo l'epistolario di “Viva tutto!” (e grazie a Franco Bolelli che è il filosofo più scanzonato e rock'n'roll che abbia mai letto): non insegnare ai bambini a lamentarsi. Jovanotti è stato a una recita scolastica identica a quella di mia figlia l'estate scorsa, e ha avuto lo stesso mio moto di fastidio, quindi anche lui deve essere nervoso e irascibile (tra l'altro: perché fanno tutti le stesse recite?). Trama: i personaggi di fiabe classiche (Pinocchio, Cenerentola, Biancaneve, Robin Hood, Alice eccetera) si lamentano perché i bambini di oggi non li vogliono più vedere, tutti presi dai videogiochi, dalle feste di Halloween e dai computer. “Dal punto di vista didattico era una cosa tipica giocata sul concetto che prima era meglio di adesso. Pinocchio che piange e si dispera perché viene sostituito da un videogame è una di quelle cose che non avrei voluto vedere. Pinocchio andrebbe pazzo per i videogame, è chiaro”.

    La mia recita era aggravata dalla “colpa della società” in bocca a una bambina di cinque anni, e dalle lamentele nei confronti dei cartoni animati (non hanno idea di che bellissimi cartoni animati ci siano adesso in tivù, con la morale sempre giusta e l'insegnamento creativo: la mattina presto trovo mio marito davanti agli Zonzoli con il caffè a mezz'aria, rapito). Insomma, insegnano ai bambini piccoli a pensare che si stava meglio prima (ma loro non hanno un prima), a invidiare il passato non tecnologico, quello in cui Eugenio Scalfari piccino creava bamboline all'uncinetto. In realtà per i genitori è una tentazione fortissima, e quando mi viene da dire: “Io alla tua età rimettevo sempre il tappo ai pennarelli”, devo ripensare a mio padre che mi diceva: “Io alla tua età avevo solo il pennino da intingere nel calamaio” (ricordo che pensavo, a occhi bassi, l'equivalente adattato ai sei anni ferraresi di: e 'sti cazzi). “Penso che non bisognerebbe insegnare ai bambini a lamentarsi, nemmeno per gioco. (…) Di tutte le abitudini di chi si occupa di cultura a qualsiasi livello, dal grande intellettuale che scrive libri alla maestra elementare, quella che mi piace meno è la nostalgia. Quell'attaccamento a un passato ideale che invece è una grande bugia”. Ora è meglio di prima, e se Biancaneve si desse una svegliata da sola non saremmo costretti a tifare per la strega cattiva, che almeno ha dei piani, delle idee, beve una pozione, si trasforma, avvelena una mela.

    Non scrivere canzoni di denuncia. “Le canzoni che espongono teorie sono brutte. Le canzoni devono essere case, macchine, coltelli, bambole, biglietti d'aereo, barattoli pieni di marmellata, piatti di pasta fumanti, baci improvvisi e inaspettati, abbracci, schiaffoni, risse”. E anche le canzoni per i diritti umani, non è necessario che elenchino i diritti umani. “In Iran i giovani non chiedono canzoni di protesta, ma canzoni che parlino di ragazzi e ragazze che si baciano, che parlano di pettinature e fianchi che si muovono” (l'amico Franco Bolelli ha risposto: “Lorenzo, John Lennon ha cambiato il mondo con ‘She loves you', non con ‘Imagine'”).

    Non sforzarsi di sembrare intelligenti. “Giorni fa leggevo un pezzo di Freccero sulla ‘deriva' individualista del mondo e non ero d'accordo. E' stato proprio il situazionismo casomai a creare quella situazione in cui sei intelligente tra gli stupidi e pensi che sia una figata (…). Io sono stato lo stupido fra gli intelligenti e non mi interessa neanche questo. Il situazionismo è stata la più triste delle uscite dalla più triste delle cose che sono stati gli anni di piombo che sono stati anni di merda”.
    Stare attenti alle cose dell'ecologia. “Hai letto Rifkin su Repubblica? Rifkin è uno di cui si dice sempre un gran bene ma non mi convince fino in fondo. Bisogna essere militanti contro l'effetto serra? E' che qui erano anni che non avevamo un inverno così freddo”.

    Non iscriversi a Scienza della comunicazione. “Hanno pure inventato una laurea in Scienza della comunicazione (ci può essere disciplina più ridicola?) (…). Non si può studiare come si comunica l'essere, bisogna essere, è questo il punto. Se non si è, non c'è niente da comunicare. Se poi si vuole aprire un'università per insegnare a comunicare il non essere è un'altra storia ma qui cominciano i guai perché una ragazzetta che si iscrive impara che l'essere non è necessario. Guai. Essere è l'unica cosa necessaria”.
    Continuare a scrivere cose come “Baciami ancora” e continuare a stupirsi che abbiano successo (anche se la mia preferita è “A te”, mi piace talmente tanto che mi commuovo anche con la versione di Checco Zalone: “A te che giri in bicicletta in mezzo alle campagne, a te che fai le maratone e scali le montagne, a te che passi le giornate lì nella foresta, a te si vede proprio che non hai mai un cazzo per la testa”). “Ho fatto la canzone per Muccino che non mi aspettavo avesse un successone così grande e un po' mi ha disorientato come può disorientarti una ragazza che tu le chiedi che ore sono e lei ti mette la lingua in bocca”.

    Evitare di fare i profeti tristi. “Oggi una persona di talento dovrebbe sempre distruggere il suo avatar mediatico e mai permettergli di diventare una bandiera. Il prezzo che si paga è la rinuncia al bagno di folla e per i narcisisti in generale (me compreso) è un prezzo alto. Non si annienta il totalitarismo chiamandolo totalitarismo, ma vivificando gli spazi in cui il gas ancora non è penetrato, senza spocchia ma con un radioso sorriso autentico e irresistibile. Bisogna essere dei believers punto e basta, un believer non chiama la mamma quando prende uno schiaffo ma cambia strategia senza cambiare la sua natura di believer anzi rafforzandola”.

    Evitare l'epica della sofferenza e l'estetica dell'agriturismo. “Ho sempre guardato con sospetto il mito dell'autodistruzione e dell'artista che esibisce il proprio tormento interiore come un valore aggiunto. Non si misura il valore di un'opera d'arte in base a quanto male si è fatto l'autore per produrla”. A Jovanotti piacciono le cose con dentro il godimento: la guida di Valentino Rossi, la musica di Rossini, un film di Tarantino, la camminata di John Travolta all'inizio della “Febbre del sabato sera”, e anche Truffaut (“Truffaut me lo ha fatto scoprire la Francesca perché io pensavo che fosse un po' una roba francese che parla dei problemi della borghesia di Parigi e a me dei problemi della borghesia parigina non me ne frega nulla”). L'estetica dell'agriturismo è il finto antico, quella moda per cui le case toscane devono essere tutte gialline di pietra a vista. “Se guardi gli affreschi di Giotto, le case di queste zone erano tutte colorate e non gialline come vogliono farci credere, il giallino è un pacco”. Jovanotti, che non rimpiange mai niente, rimpiange la fòrmica e non sopporta il turismo: “Bisogna viaggiare solo per gli antichi motivi: per lavoro, per conquistare spazi, per pellegrinaggio. Il pellegrinaggio è il più nobile dei motivi ma anche il mercanteggiare è motivo degno”.

    Lasciare che decida tutto lei e esserle grato per questo. “Il resto della casa è gestito dalla Fra con la mia consulenza passiva (nel senso che decide tutto lei e io faccio di sì con la testa), e anche quello si vede”. E, oltre a tutte le canzoni d'amore che le ha dedicato, Jovanotti si definisce “maschio al fianco di una femmina che desidero ogni giorno di più”, dice che adora i matrimoni (“Sono scemi quelli che non credono ai riti, io credo SOLO ai riti”) e che al Louvre è andato a rivedere, come ogni volta, la Venere di Milo. “C'è un carico di bellezza e di mistero che si concentra nelle sue curve che potrebbe bastare anche solo quella scultura a darci un'idea di cos'è la femmina nell'universo (…). Ecco quello è il mio ideale estetico di femmina e la Francesca è l'essere vivente che più si avvicina a quell'ideale tra tutti quelli che ho conosciuto fino a ora”.

    Alzarsi da tavola come un invasato e gridare: basta parlare di Berlusconi. “Io voglio dire a tutti che la vita è una cosa meravigliosa e non c'è nemmeno un attimo da perdere dietro ai dietrologismi e alle analisi, bisogna baciarci, fare a botte, affrontare il bene e il male”, scrivere la canzone più romantica di tutti i tempi, tenere la mano alla mamma in ospedale, farle ascoltare Modugno, sposarsi, provare a scrivere con l'iPad in macchina e scoprire che viene lo stesso il mal d'auto, tatuarsi un veliero in omaggio a Conrad, comprarsi un 46 da tip tap, stare su GoogleEarth, rileggere spesso le “Metamorfosi” di Ovidio, provare tutti i beveroni con le ultime scoperte del superfood, brindare, cercare disordine, delirio, cemento, boschi, altra musica (“è una questione di vita o di morte”) e nuovi inizi.

    Se ancora vi serve una spinta per diventare buoni, perché l'incattivimento è molto radicato e le smancerie lo stuzzicano, ecco l'elenco delle cose belle che Jovanotti augura all'amico Franco Bolelli: “Ti auguro i Chemical Brothers, Akira Kurosawa, Dave Eggers, Ingmar Bergman, Truffaut, Kojak, Cassavetes, Big Fish di Tim Burton, Pantani che butta gli occhiali e inizia a salire, una serata al Roxy con Grandmaster Flash”. A fine gennaio esce il nuovo disco, “Ora”, nel frattempo si può aggiungere alla lista, in tripudio natalizio, l'ultima canzone di Jovanotti: “Considerando che l'amore non ha prezzo sono disposto a tutto per averne un po', considerando che l'amore non ha prezzo, lo pagherò offrendo tutto l'amore, tutto l'amore che ho”.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.