Il gran rompicapo della mediazione (im)possibile tra il Cav. e Fini

Salvatore Merlo

Adesso le mediazioni sono almeno tre, diverse, ma incrociate. Gianni Letta con Gianfranco Fini, Italo Bocchino con Silvio Berlusconi e la colomba finiana Silvano Moffa che tende la mano al Pdl oltre ogni aspettativa: “Berlusconi non si dimetta, è necessario un accordo politico prima del 14 dicembre. Ci vuole un patto di legislatura. Non ci facciamo dettare la linea dall'Udc”. Che succede? I numeri alla Camera ballano, le ultime quotazioni danno in ripresa il premier.

    Adesso le mediazioni sono almeno tre, diverse, ma incrociate. Gianni Letta con Gianfranco Fini, Italo Bocchino con Silvio Berlusconi e la colomba finiana Silvano Moffa che tende la mano al Pdl oltre ogni aspettativa: “Berlusconi non si dimetta, è necessario un accordo politico prima del 14 dicembre. Ci vuole un patto di legislatura. Non ci facciamo dettare la linea dall'Udc”. Che succede? I numeri alla Camera ballano, le ultime quotazioni danno in ripresa il premier. Se possibile, dunque, la conta sulla fiducia, dal punto di vista dei più moderati tra i finiani, va evitata, anche perché – pensano – “se va male non ci si può fidare di Casini”. Il leader centrista è sospettato di possibile “tradimento”. Come ripete sornione da settimane l'ex ministro berlusconiano Mario Landolfi: “Ricordatevi che Casini è un ‘pragmatico', alla fine farà ciò che più conviene'”. Non solo. Nel gruppo di Fini, alcuni senatori e deputati hanno siglato la mozione di sfiducia sotto la condizione che venisse utilizzata soltanto come strumento di pressione negoziale nei confronti di Berlusconi. Non sono pochi in Futuro e libertà, uno di questi è Silvano Moffa, coloro i quali vogliono assolutamente evitare che si arrivi davvero al voto di sfiducia contro il governo. Non credono nel terzo polo, non credono all'alleanza con Casini, vorrebbero salvare il presidente della Camera da quello che considerano un “tragico errore”.

    E' in queste circostanze che l'ambasciatore di Fini, Bocchino, ha proposto al Cavaliere (che ha davvero incontrato, martedì, al di là delle smentite pubbliche) un accordo che sospenda il voto di sfiducia passando dalla riforma della legge elettorale e dalle dimissioni di Berlusconi; un passo indietro – questa la garanzia – finalizzato esplicitamente a un reincarico del Cavaliere. Ma il premier ha rifiutato la proposta. Lui non ha alcuna intenzione di dimettersi né è disponibile a scrivere una legge elettorale che, alzando il quorum del premio di maggioranza, indebolirebbe la centralità del Pdl all'interno della coalizione di centrodestra. Il Cav., tuttavia, consigliato da Gianni Letta, cerca a sua volta un negoziato ed è disposto ad alcune concessioni purché Fini, e Fli, ritirino la mozione di sfiducia o si astengano dal votarla la settimana prossima. La legge elettorale? Per Berlusconi se ne può discutere purché “preservi la tendenza bipolare e bipartitica”. Ma il problema, che rende un vero rompicapo questa difficilissima (impossibile?) mediazione, è che ciascuno dei duellanti sembra avanzare un'offerta inaccettabile per l'altro. Il Cav. non si vuole dimettere, o almeno non vuole farlo da una condizione di minorità, non vuole cedere a quello che suona come un ricatto, né può accettare una riforma della legge elettorale studiata apposta per annacquare il suo potere carismatico. Mentre Fini, specularmente, non può ritirare la mozione di sfiducia senza subire un potente contraccolpo d'immagine; senza che questa decisione appaia come una ritirata scomposta.

    Martedì scorso, Gianni Letta lo ha scandito con chiarezza in un colloquio privato con Pier Ferdinando Casini: Berlusconi “non ha nessuna intenzione di dimettersi, state sbagliando tattica”. L'approssimarsi dell'ora X, del troppo atteso doppio voto di fiducia del 14 dicembre, ha improvvisamente destato timori fino a ieri inconfessabili nelle file finiane di Fli. “I conti del pallottoliere stanno cambiando”, ha confermato ieri Gaetano Quagliariello ai propri interlocutori del Pdl, “adesso è molto probabile che avremo la fiducia anche alla Camera”. Calcoli confermati da piccoli, ma determinanti (considerata la debolezza degli equilibri), smottamenti a Montecitorio tra i gruppi minori, nell'Api, nei Libdem, nell'Idv e persino nelle file dell'opposizione. Una manciata di voti, tre o quattro assenze strategiche, possono modificare un equilibrio che – a bocce ferme – descrive l'Aula di Montecitorio spaccata a metà.

    Col passare delle ore, è la proposta moderata del finiano Moffa l'unica mediazione vagamente possibile per evitare il voto di sfiducia: un patto di legislatura e un corposo rimpasto di governo, prima del voto, nei pochissimi giorni che rimangono. Ma Casini potrebbe non accettare, non adesso almeno. Non ne ricaverebbe grandi vantaggi, adesso. Il diniego del leader udc impedirebbe a Fini, ammesso che voglia sul serio farla, qualsiasi mossa irenista nei confronti di Berlusconi prima del 14. Maurizio Gasparri ha risposto, per conto del Pdl: “Il patto di legislatura è una strada percorribile”. Oggi il Cavaliere dovrebbe riunire il proprio stato maggiore per discutere dei numeri, ma anche per sciogliere il rompicapo d'una mediazione impossibile.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.