Va bene il 14, ma guardate che fa il padrone dei due mondi
Tra le altre cose l'avventura di Sergio Marchionne relativizza il peso della politica, che l'attesa per il voto del 14 ingigantisce oltre la misura dell'umano. Tutti chiedono notizie, lo scenarista improvvisato la fa da padrone in ogni riunione conviviale, le chattering classes sembrano appese con una parte del paese all'evento del destino per un voto parlamentare sul filo di lana che non cambia di un'acca la situazione generale, la stessa prima e dopo il 14.
Tra le altre cose l'avventura di Sergio Marchionne relativizza il peso della politica, che l'attesa per il voto del 14 ingigantisce oltre la misura dell'umano. Tutti chiedono notizie, lo scenarista improvvisato la fa da padrone in ogni riunione conviviale, le chattering classes sembrano appese con una parte del paese all'evento del destino per un voto parlamentare sul filo di lana che non cambia di un'acca la situazione generale, la stessa prima e dopo il 14: un blocco forte e rappresentativo di spiriti animali profondi di questo paese, il centrodestra nordista di Berlusconi e Bossi, e un arcipelago di oppositori divisi, con molto appeal televisivo, molti giornali e libri e casematte intellettuali, ma senza una leadership, un'idea, un progetto, a parte la retorica antropologica del paese diverso, del domani che canta, e via con gli slogan di piazza a San Giovanni. L'unica cosa importante è che strutturalmente governare è difficile, quasi impossibile, forse inutile, e che il potere pubblico senza potere dovrebbe buttare l'occhio, come ha sempre fatto nei momenti più felici e intelligenti, su quello che può cambiare in Italia attraverso le rivoluzioni passive, la modificazione dei comportamenti indotta da fuori, dai vincoli. E quando meno te l'aspetti.
Infatti credevamo che l'euro ci avrebbe obbligati a maggiore disciplina in tema di produttività e competitività, ricerca e tecnologia, infrastrutture e mercato del lavoro, e che avrebbe castigato per la natura intrinsecamente correzionale di un'unione monetaria con i paesi forti d'Europa le nostre cattive abitudini latine. Nient'affatto. E' dall'area del dollaro e dai meccanismi della mondializzazione ultraeuropea, con l'Asia a dettar legge, che arriva il botto Marchionne. Fino a ieri il modello americano sembrava sputtanato, immerso nella crisi più nera degli strumenti finanziari impropri, delle speculazioni di Wall Street imbizzarrite; ora dalla vecchia Detroit e dai nuovi distretti della produzione automobilistica diffusi in tutto il Nord America arriva attraverso il ruolo transatlantico di un canadese-svizzero-abruzzese la possibilità concreta di una svolta rivoluzionaria nel modo di essere del potere sociale e politico in Italia. Può essere che mi illuda e che tutto poi rientri nei ranghi di un normale esperimento di relazioni sindacali, con una spinta che si rivelerà resistibile, da parte del sistema, a cambiare le regole del gioco della contrattazione. Ma è clamoroso il progetto di collocare la sfida tra capitale e lavoro nelle aziende, sul tema della produttività e del salario, in stretto collegamento tra loro e per incrementare decisivamente gli uni e l'altra, e non sui vezzi corporativi e sui conflitti di classe e di potere che si risolvono nella concertazione e negli scioperi generali di antica memoria, nelle politiche dei redditi che diventano politiche industriali che diventano politiche economiche di stati onnipotenti onnimedianti e onnidecidenti. La Confindustria e la Cgil confederale che restano improvvisamente a piedi, senza auto: un fattaccio mica male.
C'è già chi dice: Marchionne in politica. E Luca Cordero di Montezemolo è corteggiato, spinto dai suoi amici intellos e dai molti committenti di futuribili leadership a entrare anche lui in lizza. Ma siamo matti? In politica si decide pochissimo delle questioni di potere, giusto la politica estera e in parte, ma solo in parte, la grande questione energetica e quella della sicurezza. Non è poco, ma nel nostro quotidiano e nella produzione della ricchezza di cui alla fine ci nutriamo noi viviamo legati a regole che ormai si stabiliscono in altro modo che non con voti legislativi e gestioni pubbliche. Il caso Marchionne insegna: un imprenditore, da capo della più vecchia e forte impresa manifatturiera italiana, diventa padrone dei due mondi, e in quanto tale decide come si organizzerà il lavoro secondo una logica che ci sfugge completamente, e che travolge Confindustria e sindacati confederali e concertazioni governative di vecchia scuola.
La politica è debole anche per incidere sulle cose che ci sarebbero da fare, con effetto di civilizzazione, come nuove regole per le carceri, una soglia di intollerabilità per l'affollamento, l'umanizzazione della pena che proceda di pari passo con la sua certezza al termine di un giusto processo, e l'indipendenza dei giudici dai pm, e la fine dello schermo dell'obbligatorietà dell'azione penale e tante altre riforme che riguardano la pubblica amministrazione, le autonomie scolastiche, il rigore e la sensatezza degli studi, il prezzo reale dei servizi che il welfare eroga e il livello della pretesa fiscale dello stato: tutto questo dovrebbe essere il contenuto di una buona pubblica amministrazione, senza troppa coloritura ideologica e politica, ma in realtà sarà un giorno l'indiretta conseguenza di movimenti del profondo della società, che modificano cultura diffusa e orientamenti civili.
Se tra qualche anno diventeremo un paese in cui non dico si lavora, ma si lavoricchia in modo sensato e con qualche prospettiva per il cosiddetto precariato che non sia un posto improduttivo, e in cui si guadagna e si consuma in modo proporzionale alla ricchezza sociale prodotta, con uno scambio utile tra capitale e lavoro, e una crescita di cui beneficeranno la ricerca, la cultura, l'istruzione, la formazione e l'industriosità nazionale, ecco, non dipende tanto dal 14 dicembre, dipende dall'ipotesi che il modello americano di relazioni sociali spazzi via la nostra apparentemente comoda bardatura di convenienze e armonie prestabilite. Questa è politica, queste sono le rivoluzioni di cui abbiamo bisogno.
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