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Chi ha detto che il Cav. non ha eredi? Il catalogo è questo
Non tanto la primavera – ché il freddo è arrivato, ma intorno a Lui le temperature, causa bunga bunga nel pidielle, si fan bollenti – quanto piuttosto un autunno di bellezza, sta preparando il Cavaliere. Autunno dunque di giovinezza: che sarà pure bellezza dell'asino, ma anche certezza dell'anagrafe, affrontato con deciso piglio da statista e un certo gusto da televisionaro. Ma così è la strategia di Berlusconi.
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“Molti giovani pensano di diventare delle star. Per me è sempre una ricerca, una continua sfida con me stessa” (Dolcenera, cantante). “Io sono stato la star. Tutti venivano a farsi le foto con me” (Berlusconi, premier).
Non tanto la primavera – ché il freddo è arrivato, ma intorno a Lui le temperature, causa bunga bunga nel pidielle, si fan bollenti – quanto piuttosto un autunno di bellezza, sta preparando il Cavaliere. Autunno dunque di giovinezza: che sarà pure bellezza dell'asino, ma anche certezza dell'anagrafe, affrontato con deciso piglio da statista e un certo gusto da televisionaro. Ma così è la strategia di Berlusconi: a brigante, brigante e mezzo; a innovatori di mezz'età, innovatori di (quasi) primo pelo – e senza voler mettere di mezzo il futuribile, ma non futurista, “Partito du Pilu” di fresca fondazione da parte dell'on. Cetto La Qualunque – che pure ogni immaginazione di retto democratico al berlusconismo tende ad associare. E' la mossa del cavallo dell'autunno dello scontento di Silvio, questa dei giovani, il tentativo di far saltare per aria insieme tavolo da gioco, scacchi, carte e giocatori tutti, percepiti quali bari: ah, io sono vecchio? Beh, allora quelli sono più giovani di voi! Voi avete vent'anni meno di me? Beh, quelli lì hanno vent'anni meno di voi! Voi volete fare un salto (generazionale)? Beh, io vi faccio zompare facendone due di salti (generazionali)! Voi due (quei due) pensate di essere più belli? Adesso vi mostro io lo specchio magico. Se lo diceva don Bosco, “aspetto tutti i miei giovani in Paradiso”, facendo i debiti scongiuri, e più terra terra muovendosi, il Cavaliere, di suo non a caso salesiano a giusto orgoglio, potrebbe dire: “Aspetto tutti i miei giovani al governo”. Qualcuno, è noto, già a sé (nel senso mondano di Palazzo Chigi) ha chiamato.
Perché, sul tema della contabilità intorno agli anni, a Berlusconi bisogna lasciarlo stare. Più gliene fai presenti, e giustamente meno lui se ne ritrova; più ne passano, e meno se ne sente. Miracolo umano e miracolo di logica, dove il sommare sottrae e l'addizionare assottiglia. Per dire, quando si stava avvicinando ai settanta, assicurò la Nazione tutta che se ne sentiva più o meno trentacinque. Qualche giorno fa, a settantaquattro ampiamente compiuti, ha allargato le braccia sbuffando e ridendo e mostrando un piccolo cedimento: “Chissà come mai ci sentiamo tutti così stanchi! Un mese fa sentivo trentacinque anni, mi è caduto addosso di tutto e di più, oggi me ne sento trentasei…” – praticamente l'età per fare il centravanti al Milan. E se il dottor Scapagnini, quando fu il momento – dribblando tra antiossidanti e provitamine, rimembranze di certi centenari che se la godono a sud di Urumqi o se la spassano nelle oasi dalle parti del deserto di Taklamakhan – autorevolemente a proposito del Cavaliere certificò: “Non si illudano, ci seppellirà tutti. La sua vera età è di cinquantacinque anni. Berlusconi è tecnicamente quasi immortale”, più recentemente il suo collega dottor Zangrillo, del premier medico e amico, ha limato l'azzardata previsione: “Berlusconi è un uomo dotato di una vitalità straordinaria e clinicamente dimostra cinquant'anni”. E racconta al Foglio un autorevolissimo dirigente pidiellino, che della contabilità berlusconiana ha sentito parlare dal diretto interessato: “Lui sostiene di avere un altro canone anagrafico, rispetto ai suoi avversari nel centrodestra. Dice: ‘Io ho settantaquattro anni? No, sedici: quelli della mia attività politica'”. In sostanza, si ritrova come se fosse il fratellino minore del Trota.
Ci sono più cose tra cielo e terra, e tra Berlusconi e l'anagrafe, di quante il complotto politico dei quasi sessantenni possa comprenderne. Così, con i suoi, lui va all'attacco forte di due convinzioni. Uno: “All'età in cui questi vogliono prendere il mio posto, i loro coetanei politici nel mondo, come Clinton e Blair, hanno già scritto le memorie”. Due: “Fini e Casini miei successori? Se si chiude il mio ciclo, si chiude anche il loro”. E legando la loro sorte alla sua sorte (come in buona parte la loro sorte sempre alla sua è stata legata, tanto nell'elevazione quanto nell'insubordinazione), il Cavaliere si fa direttamente pietra al collo di quelli che a lui vogliono affogare. Resoconta un suo fidatissimo ministro: “Quando Berlusconi è entrato per la prima volta in Parlamento, Fini e Casini c'erano già da undici anni, Alfano faceva le scuole medie e la Meloni andava alle elementari”. E dunque spiega: “E' in questo suo doppio azzardo – nella nuova generazione al governo e nel possibile salto generazionale nella scelta del suo successore – la tenaglia che sta stringendo intorno al collo dei suoi avversari”.
Dice dunque Berlusconi che “l'eredità bisogna meritarsela” – e palesemente fa intendere che i due maggiori contendenti poco si sono meritati e niente avranno. Ma spiega pure che “il tema è più vasto”, dicono i suoi, “un ragionamento di coalizione”. E dunque è tutto un raffrontare e un evidenziare le scelte già fatte: Alfano alla Giustizia, mica Pera o Pisanu; c'è ancora Fitto ma non c'è più La Loggia; c'è la Gelmini a occuparsi di scuola, niente Formigoni. E anche altri quarti di nobiltà dell'epica del berlusconismo, come Antonio Martino e Giuliano Urbani sono ormai defilati. Con un piccolo problema, però: Gianni Letta, che lì sta, e magari anche al posto del Cavaliere potrebbe stare. “Letta era in sala parto con Berlusconi, quando la nuova nidiata ha visto la luce…”, è la replica: sapiente ostetrica, non aspirante successore, dunque.
E perciò, la vociante nidiata (i “porfirogeniti del Cavaliere”, si potrebbe dire, come gli eredi degli imperatori bizantini, che nascevano nella stanza di porpora del Palazzo Imperiale, da intendersi simil Palazzo Grazioli d'oggidì) ha preso, spintonata dal gestante statista, la sua strada. E con un certo indubbio successo. Non solo, per dire, questioni come quelle della giustizia e della scuola (dove hanno posto mano due pischelli ministeriali come Alfano e la Gelmini) sono state centrali nell'azione di governo, e certe soddisfazioni il Cavaliere ha di sicuro cavato dalla buona stampa che ha accompagnato il lavoro di Stefania Prestigiacomo, pur se qualche lacrima ha versato; come quello di Mara Carfagna, che se qualche pensiero a Berlusconi ha ultimamente dato, dal punto di vista governativo ha benissimo figurato. La meglio gioventù di Silvio ha ormai in buona parte preso il largo, irraggiungibile al vecchio apparato di partito che un po' mugugna e stancamente traffica. Ci sono arrivati per diretta unzione del Capo? Certo che sì, ma almeno gli ormeggi li hanno levati. Ecco un piccolo, sintetico (o ovviamente del tutto incompleto) catalogo.
“Non è sufficiente essere giovani per essere migliori, ma un po' di aria fresca è arrivata nelle stanze del potere”, dice Angelino Alfano. “Quantomeno, Berlusconi ha messo le fiches nelle mani di una nuova generazione”. Il Guardasigilli, di tanto ravanare tra anagrafe e politica, è forse l'esperimento meglio riuscito – persino tricologicamente simile al leader, anche se meno portato a certi singoli innesti in loco. Perché se del Cavaliere a volte è stato consolazione e a volte speranza (lodo Alfano ha nome, quel luminoso pertugio), del berlusconiano ha sostanza ma non forma. Nella sua stanza al ministero – stanza di bellissima scenografia e di sconsiderata dimensione, tra vecchi legni, codici antichi, coloratissimi affreschi – ha la movenza rassicurante dell'antica democristianeria siciliana, niente a che vedere con la spiccia praticità meneghina, e un certo gusto dell'ironia che, nel leva e metti dei fatti e misfatti della giustizia italiana, forse un po' soffre e un po' preme. “Sono diventato ministro giovanissimo, un'età in cui ancora ci si poteva iscrivere alle organizzazioni giovanili del Pci e della Dc. O all'Aiga, l'Associazione italiana dei giovani avvocati. E infatti, una volta che sono andato a un loro convegno ho detto che parlavo da ministro, ma che avrei potuto parlare anche come membro dell'Aiga… Con i giovani, Berlusconi ha compiuto un azzardo che gli ha dato dei risultati senza pagare dazio… Sull'altro fronte, l'ultima nidiata messa in campo viene dall'organizzazione giovanile comunista o democristiana, come Enrico Letta. Poi più niente, se si esclude il caso del sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Berlusconi con l'azzardo ancora una volta è arrivato prima… A sinistra, adesso, si nota lo sforzo di una certa emulazione, ma per anni si è vista l'irrisione. Mettiamola così: prima è arrivato il dileggio, poi è arrivato il sondaggio”. E magari, prima ancora, l'alluvione: l'eccessiva presenza di graziose fanciulle in lista… Alfano sorride: “Ah, le belline, dice… Guardi, intanto se una è solo bellina, nella polvere resta, anche in politica. E poi, male non hanno fatto a nessuno, hanno una media di partecipazione al voto del 90 per cento, una presenza costante…”.
Alfano è come l'americano di Michael Cain, “The Quiet”, pur essendo questo vasto salone approdo di scontenti vari e rogne certe e insonnie conseguenti. Fuori dalla porta, lungo il corridoio dove troneggia il Sigillo di stato, i ritratti a olio dei suoi predecessori (la volontà è tanta, il pennello a volte incerto) scrutano ammonitori. “Mai stato estremista, io, nemmeno a sedici anni…”. Però, ecco l'inconfessabile, ecco la resa a quel minimo di necessario incendio tra l'adolescenza e la maggiore età: “Ascoltavo Guccini in dosi massicce, via stereo, ma anche dal vivo, sono stato almeno a cinque suoi concerti… Stavo lì, e mi emozionavo come tutti nel sentire il finale della ‘Locomotiva'” – e dunque Angelino, non ancora ministeriale, fremeva al suono della storia dell'anarchico che prende “un treno pieno di signori”, e allora “fratello non temere, che corro al mio dovere! / trionfi la giustizia proletaria!”, fino all'impennata finale, che i più azzardati eseguivano in piedi, pugno chiuso levato verso il cielo, “e che ci giunga un giorno ancora la notizia / di una locomotiva, come una cosa viva / lanciata a bomba contro l'ingiustizia!” – e c'è solo da immaginarlo e non poco in questo faticare, Alfano levarsi in alto, che simile a “un'altra grande forza spiegava allora le sue ali / parole che dicevano: gli uomini son tutti uguali”, e tra il Trenet berlusconiano da crociera e l'impeto del cantautore bolognese, tutto l'azzardo, quantomeno canterino, del Cavaliere si annota. E' siciliano, Alfano, e ancor di più da ministro della Giustizia rivendica: “Faccio parte della prima generazione di politici siciliani che si è riaffacciata alla politica dopo l'epoca delle stragi mafiose”. In quegli anni cupi, era un ragazzo che studiava alla Cattolica di Milano, non visse il clima ma ha forte il ricordo: “Sono scevro da ogni ideologia, ho solo l'ideologia antimafiosa… Ricordo le lezioni in classe sull'omidicio di Piersanti Mattarella o di Chinnici, il ragionare intorno al peso della mafia, ho interiorizzato una sorta di sentimento di schifo e di odio nei confronti della mafia e dei mafiosi… Ma eccoci al giro di boa: lo stato vince, la mafia perde”. E anche qui, la sinistra, “che per tutta la prima fase ha ritenuto la nostra azione contro la mafia come se fosse un pascolare abusivo nei suoi territori”, accusò come un colpo, uno spiazzamento. “C'è stato il periodo delle fiaccolate e delle lenzuolate, e vanno bene ancora oggi fiaccolate e lenzuolate, ma il compito del governo è altro: arrestare i latitanti, sequestrare i patrimoni, fare leggi contro la mafia…”. Il più sorprendente estimatore di Guccini ora ha quasi un fremito dentro l'impeccabile gessato, come quando la locomotiva proletaria avanzava grandiosa e disperata. Dice: “Prenda una fiction come ‘Il capo dei capi', secondo me poco valorizzata…”. E perché? “Perché è stata la prima a raccontare le storie della mafia con i nomi e i cognomi veri dei mafiosi. E basta ripassare con la memoria quei nomi: una parte è al cimitero, tutti gli altri al carcere duro. Che noi abbiamo reso durissimo”. Adesso ha un sorriso leggermente ironico, il ministro Alfano. “Ha letto le dichiarazioni del mio predecessore Conso? Mi chiedo cosa sarebbe successo, in questo paese, se a revocare centinaia di 41 bis fosse stato il sottoscritto, con Berlusconi capo del governo…”.
Giorgia Meloni, ministro della Gioventù, ultimamente si è molto arrabbiata e ha molto sofferto, dice. Creatura politica eminentemente finiana fino a pochi mesi fa, è rimasta con Berlusconi. “Sono stata malissimo – racconta – Intanto il rapporto umano con Fini, a cui devo molto: se adesso sono ministro, sono stata giovanissima vicepresidente della Camera, zompando in testa agli altri. Gli devo molto, davvero, ma non mi ha trovato sotto un cavolo. Se mi capiterà nella vita di poter ripagare Gianfranco Fini, lo farò”. Insiste: “Penso che lui creda in quello che dice, ma per come declino la mia visione del mondo e della destra, penso alla bioetica e all'immigrazione, non siamo più d'accordo. Ha fatto un passaggio che fa rimpiangere la classe dirigente della Prima Repubblica”. Berlusconi, invece? “Lui ha un'empatia incredibile, e della quale a volte noi non comprendiamo la chimica, con il popolo italiano. Imprevedibile, un grande appeal. Poi, questo Berlusconi non è neanche lui Gesù sceso in terra, ha qualche difetto, ma pure molti pregi. La gente lo percepisce come uno di loro, è uno di quei tipi che puoi incontrare al bar. Ha un fare concreto, estremamente pragmatico…”. Questo dice, il ministro Meloni, dei due uomini che le hanno diviso (politicamente) il cuore. E di sé, cosa racconta? Per esempio questo: “Io non mi fido delle persone che non hanno una colonna sonora della loro vita”. Lei ascolta di tutto, dice, “dall'‘Ave Maria' di Schubert ai Metallica”. E anche di altri (a lei) incomprensibili umani, dice il ministro di non fidarsi: “Diffido di chi non ama il cibo e di chi non è goloso”. E se al Trenet caro all'ugola del Cavaliere il ministro Alfano oppone Guccini, all'Erasmo e al suo “Elogio della follia”, al Cavaliere carissimo, il suo secondo giovane ministro oppone la passione per “Il signore degli anelli”, e soprattutto per Samvise detto Sam Gamgee, hobbit di gran cuore e giardiniere di Frodo Baggins, “l'essenza dell'abnegazione – spiega appassionandosi la Meloni – il sognatore che sa donare se stesso, sapendo che si sacrificherà fino in fondo e non verrà ricompensato, e non se ne cruccia” (che pure, raccontata così la faccenda, il gran faticare del poetico hobbit, con rischio tanto e compenso nullo, certo al Cavaliere deve suonare, diciamo così, piuttosto strano). E' quasi come dire di essere d'accordo con quel comunista di Brecht, quando diceva che non bisogna pensare al faraone, guardando le piramidi, ma agli schiavi che sono morti per costruirle… Il ministro non si fa intimorire, dalla presenza del rischioso intellettuale: “E io sono perfettamente d'accordo con Brecht. Anche pensando alla nostra storia, alle cose per cui ci siamo battuti come comunità – la politica si fa solo come scelta comunitaria, non esiste il percorso individuale – dico ai nostri: guardate a voi, non guardate né a Meloni né a Gasparri…”.
Al telefono, dal Messico, causa conferenza di Cancun, ride Stefania Prestigiacomo, ministro dell'Ambiente: “Io sono l'anziana tra i giovani…”. E in realtà, il suo caso è diverso da tutti gli altri. “In Parlamento sono entrata nel '94, e avevo 27 anni, ora ne ho 44… Tutti noi, allora, fummo accusati di essere dei dilettanti. E sicuramente eravamo dei dilettanti allo sbaraglio, ma altrettanto sicuramente portatori di una nuova freschezza, di un diverso rapporto con il mondo reale. Berlusconi ci aveva letteralmente selezionati, individuati e catapultati in Parlamento…”. Lavorava per l'azienda di famiglia, la giovane Stefania, solo un po' di attività con il movimento dei giovani imprenditori. Poi il Cavaliere, i club di Forza Italia, quasi un altro mondo, a ripensarci oggi… “Nel '94 fui una vera miracolata, come altri, ma poi tutti noi ci siamo dovuti misurare con la politica. Fui eletta nel proporzionale, e mi trovai candidata perché c'erano le quote rosa, sennò sicuramente al mio posto avrebbero messo un maschietto… Però nel '96 volli il collegio maggioritario, il rapporto diretto con Siracusa, la mia città…”. Sono passati sedici anni, e adesso? “Adesso la politica è la mia vita, la mia passione. Noi siamo quelli che resteranno con Berlusconi comunque, nella buona e nella cattiva sorte. Gli dobbiamo… gli debbo, personalmente, tantissimo. Ha anticipato i tempi, le scelte. E non capisco quelli che rimpiangono in continuazione il grigiore del Parlamento della Prima Repubblica, rispetto a questo di oggi, più technicolor, certo, e Berlusconi all'arrivo del technicolor ha contribuito molto. Nel '94 ci guardavano come marziani, a Montecitorio, poi man mano abbiamo cominciato a guadagnarci la fiducia che c'era stata concessa. E oggi, se si pensa all'età di tanti ministri, dalla Gelmini a Fitto, da Alfano alla Carfagna, l'età media di questo governo è la più bassa della storia repubblicana”. Un sospiro: “Adesso rimpiangiamo tantissimo quell'esperienza di Forza Italia, in quel periodo ci sentivamo pienamente a casa nostra. Credo che Berlusconi – pensando soprattutto a se stesso, e sperando che questo giorno sia il più lontano possibile – faccia bene, nel caso decidesse di passare la mano, di passarla alla classe dirigente che lui ha creato”.
Ha il gusto, il mito e il ritmo degli anni Ottanta, Stefania Prestigiacomo. “E alla musica di allora sono rimasta ferma. Qualche settimana fa, sono andata al concerto degli U2 a Roma, e ho trovato tantissimi colleghi. E tutti all'inizio ci vergognavamo, poi tutti insieme abbiamo cominciato a ballare”. E lo stesso avviene per il cinema, “e perciò il mio film preferito è ‘Pretty Woman', anche se ultimamente mi è piaciuto moltissimo, e credo che lo rivedrò diverse volte, ‘Benvenuti al Sud', e magari ne regalerò qualche copia ai miei colleghi del nord”. Ma mito tra i miti del ministro dell'Ambiente – non oltre Berlusconi, s'intende, ma prima di Berlusconi arrivato sicuramente – è il Tony Manero di John Travolta che balla nella “Febbre del sabato sera”, musica dei Bee Gees. E soprattutto, e ovviamente, suo figlio Gian Maria, nove anni, allattato e svezzato, per i primi mesi, dentro le stanze del ministero di mamma, “fino all'asilo, non mi sono perduta un attimo”. E appunto ricorda di quando il Cavaliere fece della giovane siciliana, nel 2001, il suo ministro per le Pari opportunità. “Aspettavo Gian Maria. Mi chiamò: a che mese sei? Al quarto, risposi. Ma te la senti di fare il ministro?, domandò. Come se me la sento?, sono praticamente in piedi sopra alla sedia. Attento che cadi, rispose lui”. E fece, con telefonica consacrazione, il suo ministro più giovane.
Ma non di soli ministeri vive la strategia berlusconiana del doppio salto generazionale – così che i quasi sessantenni possano ritrovarsi di colpo pure loro, mediaticamente e politicamente invecchiati. Da parecchio, ormai, ha cambiato anche strategia comunicativa. Dove prima s'affollava qualche capogruppo un po' polveroso, qualche sottosegretario un tantino spento, qualche dirigente di buona volontà ma di scarsa presa, ha passato la sua scopa televisiva. E a parte il solito avvocato Ghedini, a causa di note vicende spesso presente – petto alla causa e accuse al premier da smantellare – un gran cambiamento si è avvertito ultimamente. Sempre più spesso, se c'è da fronteggiare un Santoro (con aggregato di Travaglio) o da contrastare un Floris, di solida dentatura e preciso morso, a nuove facce toccano tanto l'onore quanto l'onere – e alle brutte, e al peggio, è lo stesso Cavaliere che chiama in diretta, come una prima volta anni fa fece, allertato dal cuoco Michele, fino a farne quasi di necessità vizio. Per questo, ripetutamente, si è visto Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera e ciellino di rito meneghino, mandato a presidiare la scena mediatica dove – e quasi automaticamente a Berlusconi il pensiero sorge e si muta in certezza – un crimine ai suoi danni si compirà. E per esempio fu Lupi – da cattolico integrale, fornito di abbondante figliolanza, marito di scrupolosa osservanza considerato – che provò a sistemare argini (come poteva, che di alluvione si trattò, mica di semplice acquazzone) mentre montava la storia, un po' da commedia e un po' da giornalismo all'italiana, della nipote marocchina, e piuttosto vispa negli ambiti meno istituzionali, del presidente egiziano Mubarak. Un po' patì, un po' dribblò, un po' schivò: “Ognuno si giudica per sé. Io vivo la mia vita famigliare con tensione vera rispetto ai valori in cui credo. Altri possono non farlo, ma questo non vuol dire che venga meno il ruolo”. E un certo risultato a casa portò.
E sempre più spesso succede anche di veder affacciarsi dal piccolo video la piacevole fisionomia dell'onorevole Nunzia De Girolamo, che una notevole grinta, a soddisfazione delle attese berlusconiane ha mostrato – e del resto arditi parogoni ha anche formulato, come quell'intervista intitolata: “Berlusconi? E' umile, come predicava Padre Pio” – ché onestamente, a Silvio umile non l'aveva ancora detto nessuno, né tra gli amici né tra i nemici. Nunzia De Girolamo è simpatica, spigliata, tosta all'occorrenza. “Berlusconi è uno molto generoso, che non ti abbandona mai. E si sente la sua passione per noi giovani, lui stesso si sente giovane. Sta bene tra di loro, a suo agio, tenta di valorizzarli…”. L'onorevole, appunto temeraria, nei giorni scorsi si è persino arrampicata sui tetti universitari – con precisione quelli della Facoltà di Scienze dell'Università del suo Sannio – nientemeno per andare a difendere la riforma Gelmini, “inizialmente sono stata accolta con freddezza. Un paio di persone hanno anche contestato rumorosamente, non non ho rivolto loro attenzione. E credo che, superata la fase acuta, dovremmo davvero, noi che la riforma l'appoggiamo, salire sui tetti per spiegarla, per confrontarci. Se uno va sui tetti, non deve per forza cambiare idea o far cambiare idea”, un po' di coraggio nell'arrampicata, gattoni pdiellini. Dice che ha due punti di forza, Nunzia rappresentante del Sannio: la famiglia, “molti ci vedono come la famiglia del Mulino Bianco”, e Padre Pio, “mia madre ha sempre detto di essere stata testimone di una presenza di Padre Pio”. E ora, un po' patisce per gli sconquassi nel Pdl, ma non ne soffre indicibilmente. “Il fallimento non sia di Berlusconi, ma di un'intera classe dirigente inadeguata, compreso Fini”. Ecco, Fini… Neanche dà la possibilità di finire la frase: “Doveva integrarsi, invece è uno che quando arriva alla Camera neanche saluta. L'istinto è sempre stato la sua forza, ma anche la sua debolezza. Nessuno di noi, a quanto pare, è ritenuto all'altezza dei suoi progetti”. Ha azzardati gusti culturali e letterari, l'onorevole De Girolamo. “Ho una grandissima passione per Burri, per Fontana, per Cattelan”. Legge scrittori e giornalisti decisamente orientati a sinistra, come Gianrico Carofiglio, persino senatore Pd, e Massimo Gramellini, ha pianto molto, e diverse volte, leggendo e rileggendo “Mille splendidi soli” di Khaled Hosseini, ha riso, e ancora più volte, con Checco Zalone, che è suo amico, e che una feroce canzonatura canterina del Berlusca e delle sue belle ministre e deputate ha fatto. “E' un comico, è il suo mestiere…”, annota benevola l'onorevole. E poi ama le immersioni. Come Fini. “Ma forse a Fini uno squalo non lo morderebbe mai, come è successo ai turisti a Sharm el Sheikh. Per rispetto della categoria, dico…”.
A casa dell'onorevole Beatrice Lorenzin, racconta la diretta interessata, durante il pranzo di Natale, “c'era la guerra civile”, tra parenti più moderati (lato papà) e quelli più vispi (lato mamma, “bei comunistoni, al massimo divisi tra socialisti anticomunisti e comunisti veri”). Causa vittoria prodiana, nel '96 la fino ad allora insofferente Beatrice si tessera a Forza Italia, passa dal municipio al comune, dal comune alla segreteria di Bonaiuti, dal coordinamento del Lazio a Montecitorio. E Berlusconi faro e guida, “genio e sregolatezza – ride –. Un genio è un uomo che ha una visione, e di tutto si può fare a meno, tranne che della visione”. Spiega che quello che le piace del Cavaliere è “la totale mancanza di ipocrisia, si mostra per quello che è, gli italiani lo odiano o lo apprezzano per questo. E' un antielitario per eccellenza. E se noi non abbiamo rottamatori, come a sinistra, è solo perché il rottamatore della vecchia classe dirigente, negli anni passati, è stato Berlusconi stesso”. Dice che la sua testa è in aria, l'onorevole Lorenzin, piedi a terra, si capisce, jazz e rock, Miles Davis e Pink Floyd, che adolescente leggeva “La montagna incantata” di Thomas Mann – causa lunga e forzata sosta a letto – e Dostoevskij, “sono una tipa triste!”, che però aspira a ballare la salsa, “non conosco nessuno che la sappia ballare, credo che farò un corso”, e intanto viaggia e viaggia e viaggia. “Il luogo che mi è rimasto davvero nel cuore è il Nepal”. A vedere i fiori di gennaio, come la Yourcenar? “No, i fiori sbocciano a novembre. Fiori di rododendro: uno spettacolo, il più bello al mondo”.
Michaela Biancofiore, invece, sta nel profondo nord, a Bolzano, battibecca in continuazione con i gasparriani che assediano la purezza della fu Forza Italia, “non mi creo problemi a dire quello che penso”. Dal palco, durante la celebrazione di una vittoria elettorale, Berlusconi le innalzò il braccio e la consacrò così a nuove sorti, “e a Bolzano Berlusconi vuol dire Biancofiore”. Dice che sta scrivendo un libro su questi anni di militanza, che avrà come sottotitolo “nel sogno di Silvio”, e anzi “Berlusconi mi aveva promesso che mi avrebbe fatto la prefazione, tra poco si va in stampa, e con tutta questa confusione è anche difficile ricordarglielo”, e le piacerebbe tanto, come regalo del Cavaliere per i suoi prossimi quarant'anni, che Lui rammentasse. Romantica e sentimentale, si presenta, “mi piace tanto Tiziano Ferro”, legge Paulo Coelho e Gabriel García Márquez. Che della prefazione di Silvio hanno fatto a meno, ma non sanno cosa si sono persi.
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