Money League/23
Perché questa volta la Roma deve fare attenzione allo Shaktar
L'ultima volta che la Roma ha incontrato lo Shakhtar era il 2006 ed era la Roma di Spalletti. In quel dolce settembre gli ucraini furono asfaltati per 4-0, poi vinsero 1-0 in casa e i giallorossi arrivarono sino ai quarti di finale contro il Manchester United. Sorteggio sperato e forse sottovalutato, perché gli arancioneri sono sempre allenati da Mircea Lucescu, ma sono più forti di quattro anni fa e convinti di poter andare lontano, anche contro Totti e De Rossi. Perché?
L'ultima volta che la Roma ha incontrato lo Shakhtar era il 2006 ed era la Roma di Spalletti. In quel dolce settembre gli ucraini furono asfaltati per 4-0, poi vinsero 1-0 in casa e i giallorossi arrivarono sino ai quarti di finale contro il Manchester United. Sorteggio sperato e forse sottovalutato, perché gli arancioneri sono sempre allenati da Mircea Lucescu, ma sono più forti di quattro anni fa e convinti di poter andare lontano, anche contro Totti e De Rossi. Perché? Perché la formazione ucraina non è solo una squadra di calcio, ma l'espressione e lo strumento di un potere che viene da lontano.
Donetsk, o Donec'k, è la città natale di Sergej Bubka e Natan Sharansky, appoggiata sul fiume Kalmius è il capoluogo del bacino del Donec e da molti considerata la capitale ufficiosa dell'Ucraina, all'ombra di Kiev. Un'ombra che nel calcio si è scrollata di dosso grazie allo Shakhtar di Lucescu, che ogni anno sposta più in là il ricordo di Lobanovsky e del suo laboratorio, un laboratorio che ha fatto la storia del football sovietico. E qui risalta agli occhi la prima grande differenza, perché gli arancioneri di Donetsk sono l'orgoglio dell'Ucraina.
Alla sua fondazione, nel '36, prese il nome di Stachanovec, in memoria del leggendario minatore la cui estrema dedizione al lavoro divenne proverbiale. Poi quello più generico di squadra dei minatori, Shakhtar, appunto. Anche Rinat Akhmetov è uno stakanovista, la sua dedizione al denaro, infatti, l'ha portato a essere una delle persone più ricche del mondo, con un patrimonio stimato di circa 13 miliardi di euro (fonte Forbes). Nel 1996 è diventato presidente dello Shakhtar, poi principale finanziatore, infine proprietario, una scalata parallela all'aumento delle sue ricchezze e del suo potere, anche politico.
Con lui il club ha vinto cinque campionati, altrettante coppe nazionali, tre supercoppe e la Coppa Uefa nel 2009; gli ottavi di Champions League, insieme con gli introiti economici che garantiscono, sono un sogno che si avvera. Per raggiungerlo, Akhmetov ha speso in giocatori 182.733.000 euro nelle ultime dieci stagioni, incassando 122.935.000 e relativo passivo di 59.798.000 (fonte transfermarkt.de), bazzecole per l'oligarca più potente d'Ucraina. Per la maggior parte giocatori sudamericani, brasiliani in particolare, e dell'Est Europa, che spesso sono stati rivenduti una volta valorizzati a livello internazionale, come Tymoschuk, oggi al Bayern Monaco, venduto ai russi dello Zenit per 14,5 milioni di euro, o Brandao, acquistato dal Sao Caetano per 1 milione e rivenduto al Marsiglia per 6. Interessante anche l'affare Chygrynskiy, ceduto al Barcellona per 25 milioni di euro e riacquistato per 15. Coprotagonista di questo piccolo, grande, miracolo Mircea Lucescu, allenatore romeno che ha vinto ovunque fuorché in Italia. Il suo non sarà il calcio del Duemila di Lobanovski, ma alla settima stagione consecutiva sulla panchina arancionera lo Shakhtar ha un invidiabile sistema di gioco che sa far valere soprattutto in casa.
Figlio di un minatore, Rinat Akhmetov ha fatto di Donetsk il suo feudo, unendo al successo economico un'attività filantropica a largo raggio (dallo sviluppo industriale alla sanità, dalla comunicazione alla cultura), nonostante le donazioni non siano deducibili dalle tasse, attività che lo rende uno dei personaggi più amati e ammirati d'Ucraina. Alcuni dicono che abbia iniziato come baro, altri che abbia fatto parte di organizzazioni criminali coinvolte nel riciclaggio di denaro sporco (fonte tol.org), in molti sono convinti che abbia ereditato una piccola fortuna da un collega investita poi in acciaio, miniere, telecomunicazioni, energia e nei prodotti alimentari.
"Ho guadagnato il mio primo milione commerciando in carbone, poi ho usato quei soldi per comprare beni relativamente a buon mercato che nessuno voleva. Era rischioso ma ne è valsa la pena", si schermisce Akhmetov. Cresciuto nella povertà, una delle poche notizie certe sul suo conto, pare abbia dato lavoro a 160.000 persone nella sola regione del Donbass. Dalla quale prende il nome l'avveniristico stadio dello Shakhtar, inaugurato il 29 agosto 2009, e sede certa dei prossimi Europei; progettato dalla ArupSport Company è stato costruito dalla compagnia turca ENKA. In Ucraina pochi sono interessati al passato e all'origine delle fortune di Rinat Akhmetov, più ai suoi soldi, a quello che possono fare per il paese e per le singole persone, i suoi veri agiografi. E poi, male che vada, c'è lo Shakhtar che tiene alta la bandiera ucraina. L'obiettivo non dichiarato è la Champions League, sublimazione del banale ma sempiterno panem et circenses.
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