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Intellettuali finiani invitano il capo a non morire democristiano

Salvatore Merlo

“Se il terzo polo è soltanto una diga parlamentare, tattica, non serve a nulla. Ma se adesso lo si riempie di contenuti, lo si trasforma nel centrodestra concorrente, ma non nemico, di Silvio Berlusconi, allora, dopo la sconfitta, per Gianfranco Fini sarà una ripartenza. Ma è necessario uscire dal Palazzo e dal suo formulario stantio”. Dice così al Foglio il professor Alessandro Campi, il direttore scientifico della fondazione finiana FareFuturo che in questi giorni, assieme alla collega Sofia Ventura, incarna una sorta di fronda intellettuale, di minoranza (ma chissà), all'interno dell'area che fa riferimento al presidente della Camera e leader di Fli.

    “Se il terzo polo è soltanto una diga parlamentare, tattica, non serve a nulla. Ma se adesso lo si riempie di contenuti, lo si trasforma nel centrodestra concorrente, ma non nemico, di Silvio Berlusconi, allora, dopo la sconfitta, per Gianfranco Fini sarà una ripartenza. Ma è necessario uscire dal Palazzo e dal suo formulario stantio”. Dice così al Foglio il professor Alessandro Campi, il direttore scientifico della fondazione finiana FareFuturo che in questi giorni, assieme alla collega Sofia Ventura, incarna una sorta di fronda intellettuale, di minoranza (ma chissà), all'interno dell'area che fa riferimento al presidente della Camera e leader di Fli.

    Dice Ventura: “Questo polo della responsabilità è una risposta emergenziale e difensiva all'avanzata minacciosa di Berlusconi. Per questo direi che bisogna andarci cauti. Il rischio è che tutta la strada che abbiamo fatto in questi anni, con Fini e con FareFuturo, si perda. La nostra idea è sempre stata quella di costruire un centrodestra moderno e diverso da quello berlusconiano. Sicuri che questa sia anche l'idea di Casini? Cosa resta del presidenzialismo, del bipolarismo, della laicità? Sicuri che il gioco all'interno del Palazzo, e dei suoi codici, alla fine paghi davvero?”.

    Fini, espulso dal Pdl, si è trovato nel corso dei mesi successivi all'esplosione viscerale del dissidio con Berlusconi a giocare sempre più di rimessa, allontanandosi, un po' per necessità e un po' perché costretto dal precipitare degli eventi, dal percorso politico-culturale che negli ultimi anni lo aveva lanciato come possibile successore della leadership berlusconiana e che, nel 2008, lo aveva portato ad aderire al Pdl. Il presidente della Camera ha allenato i propri muscoli per la futura leadership sognando una destra che non fosse più attaccata alle sottane dei vescovi, ma fosse moderna. Stretto tra le armate padane e quelle berlusconiane, Fini si era persino messo a studiare la sinistra perché immaginava di costruire un'altra destra: meno populista e più aperta alle novità, comprese quelle che arrivano da fuori. E, consigliato da intellettuali come Campi e Ventura, aveva trovato la narrazione giusta. Che ne rimane? E quanto di quella consistente elaborazione è trasferibile nel cosiddetto terzo polo, alla corte di Casini? Risponde Ventura: “Temo poco. L'Udc ha un progetto neodemocristiano, proporzionalista. Noi non siamo mai stati proporzionalisti e democristiani. Sarà complicato poter convivere con personalità espressione dell'ortodossia cattolica come, per esempio, Paola Binetti. Certo non è impossibile. Ma ci sono ancora troppe incognite e ambiguità. Non è chiaro, per esempio, se anche gli amici dell'Udc sono d'accordo sull'idea di costruire un partito alternativo al Pdl, che sia piantato come un chiodo nel bipolarismo”.

    Il primo Fini, nella versione precedente alla rottura con il Cavaliere e dunque precedente all'incontro forzato con Pier Ferdinando Casini, sembrava convinto ci fosse uno spazio culturale extra, punto d'incontro per una borghesia meno stantia, un ceto medio più giovane e nuovi extracomunitari in cerca di patria. Un progetto intrigante, ardito, concorrenziale a quello del Cav. Uno schema che si era reso interessante all'interno del perimetro del Pdl e del centrodestra a trazione berlusconiana. Poi il buio: il dissidio brutale con il premier, l'abbandono del Pdl, l'avvio di una fase segnata da un tatticismo esasperato e da venature di antiberlusconismo manicheo che hanno sovrastato tutto il resto spingendo Fini, e la sua nuova creatura, Fli, quasi oltre i confini del centrodestra. Fino alla conferenza stampa di mercoledì scorso, con l'annuncio della sghemba alleanza tattica con i neodemocristiani Casini e Rutelli e con l'autonomista siculo Raffaele Lombardo.

    “Mettiamola così”, dice Campi, “se il terzo polo è la mera somma algebrica di Fli, Mpa e Udc è tutto un tragico sbaglio. Se la molla che fa scattare tutto è la necessità di sopravvivere e mettere i bastoni tra le ruote di Berlusconi, non si va da nessuna parte. Non sono queste le caratteristiche di un progetto ambizioso, come quello che da anni coltiva Fini. Tuttavia una sintesi cattolico-nazionale, con l'Udc, è possibile. Ma bisogna comunicare l'idea che non si tratta di una manovra di Palazzo, ma di un progetto duraturo e articolato”. Come si fa? “Con un'assemblea costituente, per esempio. Con dei seminari, degli incontri di studio, delle tavole rotonde. Il punto è che bisogna porsi ‘oltre Berlusconi' ma liberandosi dall'ossessione di Berlusconi. Bisogna essere competitori del Pdl, senza essergli nemici. Deve essere una sfida tutta interna allo stesso recinto. Altrimenti non serve, non funziona e non funzionerà”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.