Nel Foglio in edicola due interviste sulla rivoluzione che viene da Detroit
Siamo avvolti nella menzogna
Il problema non è se si debba essere a favore o contro la rivoluzione di Sergio Marchionne. Il giudizio di valore è opinabile. Quello di fatto no. Si è liberi di pensarla come Guido Viale, come Sergio Chiamparino, come Paolo Mieli, come Antonio D'Amato o Carlo Callieri, come Rino Formica o Marco Pannella, o come la Fiom, ovvio che si sia liberi. Posizioni diverse, a volte opposte, che il Foglio ha ospitato e ospiterà con il dovuto rilievo. Il problema è che siamo avvolti nella menzogna omissiva.
Il problema non è se si debba essere a favore o contro la rivoluzione di Sergio Marchionne. Il giudizio di valore è opinabile. Quello di fatto no. Si è liberi di pensarla come Guido Viale, come Sergio Chiamparino, come Paolo Mieli, come Antonio D'Amato o Carlo Callieri, come Rino Formica o Marco Pannella, o come la Fiom, ovvio che si sia liberi. Posizioni diverse, a volte opposte, che il Foglio ha ospitato e ospiterà con il dovuto rilievo. Il problema è che siamo avvolti nella menzogna omissiva, nella censura culturale, nella perdita della memoria e del senso delle proporzioni.
La Fiat, che ha cent'anni e nella crisi della mondializzazione è diventata praticamente un'azienda americano-italiana, Chrysler-Fiat, afferma per bocca del suo capo operativo di voler scardinare per cause di forza maggiore il quadro storico delle relazioni sindacali e sociali, con lo smantellamento del vecchio patto concertativo-corporativo e l'affermazione qui da noi di un contrattualismo modello Detroit. Lavoratori e padroni faccia a faccia, azienda per azienda, con contratti che garantiscano un sistema fondato su più lavoro e più salario, più flessibilità e garanzie gestite in parte pubblicamente in parte nel mercato. E' una notizia cubitale, che i giovani leoni, e meno giovani, di un giornalismo ridotto a comunicazione spenta, ratifica di decisioni prese altrove, stentano a captare e rilanciare nel dibattito democratico italiano. E' un caso, uno scandalo civile che si debba ascoltare Radio radicale o leggere un piccolo quotidiano d'opinione per farsi un'idea su una cosa che si presenta come la madre di tutte le riforme. Cosa che è difficile a farsi, come sempre è difficile a farsi la semplicità. La rivoluzione di Marchionne è un percorso costellato di problemi, discutibile e controverso, ma certamente una proposta rivoluzionaria, che coinvolge lo stato, e trasversalmente scuote Confindustria, forze politiche riformiste e liberali (se ci siano ancora), opposizioni e governo.
Dov'è Maurizio Sacconi? Dove sta Giulio Tremonti? Sono sicuri che quanto è accaduto, la Confindustria che resta a piedi e cerca di metterci una pezza con palliativi abbastanza stupefacenti, invece di cavalcare lei stessa contro la propria burocrazia la rivoluzione della crescita e della competitività, possa essere trattato come una vertenziola da accudire con il metodo del troncare, del sopire, del nascondere? Perché Chiamparino, sindaco di Torino, parla chiaro, e i liberali della maggioranza e del governo tacciono e se la danno a gambe? E' saggio comportarsi così? E' il mercatismo di Marchionne che non piace? Be', almeno ditelo. Fateci capire.
Il partito della diminutio, della marginalizzazione o espulsione della notizia è forte. Confindustria fornisce dati del suo buon ufficio studi: ci vuole la crescita, caro governo. Ma che ipocrisia. Come si fa a far crescere economia e occupazione e produttività del lavoro e competitività delle merci in Italia se siamo a ricasco di tutti, in coda a tutti nelle forme del mercato, se anche la Germania ha riformato il vecchio modello renano, e con un cancelliere socialdemocratico e il suo successore negli ultimi anni ha reso flessibili come non mai le relazioni sociali, mettendo il circuito di libertà e responsabilità al posto della protezione rigida universale. Il Corriere si guarda bene dal dare rilievo alla cosa, non mette in palchetto Pietro Ichino, il più influente giuslavorista di sinistra, che con 54 parlamentari ha depositato le premesse normative di un nuovo sistema contrattuale alle Camere da mesi, una proposta di legge a rischio estinzione. Invece di fare campagna e informazione secondo la proporzione dell'evento, con tecnica ostruttiva opaca, il Corriere preferisce analisi da economia-sociale-non-di-mercato firmate dall'ottimo bazoliano Massimo Mucchetti (vedi ieri), in cui si polemizza obliquamente da posizioni Ancien Régime, dissimulate in una lingua ermetica, con non bene individuati sanculotti del capitalismo riformista e liberalizzatore. La Stampa, che è anche più del Corriere un giornale con la Chrysler-Fiat in casa, la prende alla lontana e con una cautelosità e timidezza che si notano. Cgil, e perfino Cisl e Uil che hanno un diverso modello contrattuale nelle loro ragioni sociali, si lamentano per essere in vario modo spiazzate dal perfido avvocato canadese-svizzero. Le eccezioni sono la Fiom, che da tempo segnala quelli che considera climi di bufera in rapido avvicinamento e appronta a modo suo difese statiche, erige muri o almeno tenta di farlo in una situazione non facile. E Repubblica, che nonostante tutto è un grande giornale di informazione, e spesso impedisce alla sensibilità liberal della sua redazione di trasformare le pagine del quotidiano in una rassegna di ammiccamenti, di mezze verità e di viltà (Roberto Mania e Federico Rampini scrivono della rivoluzione di Marchionne usando le parole giuste, e sono arrivati perfino a bucare la prima pagina).
La tecnica della bugia omissiva è sempre la stessa: rimpicciolire l'avvenimento, negargli dignità, trattarlo tra le righe. Non è una rivoluzione, Marchionne vuole andare a produrre all'estero. La Fiat è stata un'azienda assistita, non rompa il patto che l'ha fatta grande. Bisogna certo riformare il mercato del lavoro e le relazioni sindacali, ma è roba per esperti negoziatori, queste faccende non sopportano svolte brusche, di radicalità sociale e politica chiara, e soprattutto, per dirla con il buon Sacconi, “niente ideologismi”. Come si fa a chiamare ideologismo l'unico modello che, lo si accetti o no per ragioni di principio e perfino etico-costituzionali, è tuttavia sperimentalmente stato in grado di produrre alti salari e alta produttività, e crescita socialmente diffusa. Ha difetti, la rivoluzione di Marchionne. Il primo è che dovrebbe appoggiarsi alla capacità di pianificare la ripresa della Chrysler-Fiat come efficiente produttrice di modelli di auto forti sul mercato, e da questo obiettivo è invece ancora lontana la nuova gestione post crisi dell'amministratore delegato. Il secondo è che il modello americano di relazioni sociali è legato a una catena di fattori, dalle basse tasse a una flessibilità del mercato anche nel proteggere attraverso stumenti finanziari la salute e le condizioni di vita dei lavoratori, che in Europa sembrano tuttora mancare, e di questo non si capisce fino a che punto il vertice Chrysler-Fiat sia consapevole. Ma quando il sindaco di Torino, un riformista serio che viene da una lunga e rappresentativa esperienza a sinistra, dice che per la prima volta nella sua vita ha sentito dire al capo della Fiat che gli operai dovrebbero guadagnare molto più di quanto guadagnano, e che l'azienda sarebbe disposta a investire, a governare a suo modo la fabbrica in un clima negoziale lontano dagli “ideologismi” classisti vecchio stile, e scucire il quattrino che serve a vivere meglio: ecco, quello è il momento in cui la menzogna omissiva è bucata come un palloncino, e tutti si dovrebbero sentire chiamati alla responsabilità di riconoscere le cose e il loro linguaggio, di informare, discutere, esercitare la democrazia politica.
Oggi nel Foglio in edicola, oltre all'intervento del direttore Giuliano Ferrara, trovate anche le interviste di Antonio D'Amato (ex presidente di Confindustria) e Marco Pannella (leader dei Radicali) sul fenomeno Marchionne.
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