Detroit, Italia

Fiat: per D'Amato la campana suona per tutti, Confindustria inclusa

Stefano Cingolani

Antonio D'Amato, presidente della Confindustria dal 2000 al 2004, pensa che la campana suoni per tutti. "In Italia si lavora 1.600 ore l'anno, negli Stati Uniti duemila e in Cina fino a tremila. Per affrontare la guerra economica in corso tra l'oriente che si espande e l'occidente che si ritrae", spiega al Foglio, bisogna "lavorare di più, lavorare tutti", rovesciando la vecchia parola d'ordine della sinistra sindacale. L'Italia ha ancora un potenziale industriale enorme, il secondo dopo quello tedesco, "ma viene soffocato in questa camera a gas consociativa.

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    Antonio D'Amato, presidente della Confindustria dal 2000 al 2004, pensa che la campana suoni per tutti. "In Italia si lavora 1.600 ore l'anno, negli Stati Uniti duemila e in Cina fino a tremila. Per affrontare la guerra economica in corso tra l'oriente che si espande e l'occidente che si ritrae", spiega al Foglio, bisogna "lavorare di più, lavorare tutti", rovesciando la vecchia parola d'ordine della sinistra sindacale. L'Italia ha ancora un potenziale industriale enorme, il secondo dopo quello tedesco, "ma viene soffocato in questa camera a gas consociativa. E' ora di aprire la porta e far uscire le esalazioni venefiche". Sergio Marchionne ha cominciato, no? "Le questioni sono due: cosa farà la Fiat e cosa dovrà fare il sistema industriale nel suo complesso. La Fiat ha svolto un ruolo fondamentale nel favorire l'arretratezza del capitalismo italiano. Grazie al suo network di potere, ai giornali che controlla, ai rapporti di scambio con i governi e alla relazione preferenziale con la Cgil, ha soffocato le capacità di crescita del paese. Questo schema non funziona. Ma è stato spezzato solo una volta, quando si è scelto di andare avanti con chi ci sta e si è avviata una vera riforma del mercato del lavoro. Penso alla legge Biagi e all'articolo 18, durante la mia presidenza della Confindustria. E' durato poco, è costato la vita a Marco Biagi, e tutto si è richiuso come un sentiero nella foresta amazzonica".

    Adesso Marchionne rilancia quella rottura. "Non so se lo fa per restare in Italia o per andarsene, non conosco le motivazioni della Fiat e non entro nel merito. Se davvero l'amministratore delegato vuole cambiare, ritengo che sia un bene per tutti. Vorrei, però, che sulle prime pagine dei giornali non ci fosse solo lui, ma una Confindustria e dei sindacati che affrontino seriamente la competitività del paese, questione centrale che la politica ignora, presa com'è in un dibattito autoreferenziale".

    Chi deve prendere l'iniziativa? "La Confindustria
    . I sindacati sono divisi e anche se Cisl e Uil manifestano buone intenzioni, non possono andare avanti da sole. Mentre la Cgil resta la roccaforte della conservazione. Mi auguro che Susanna Camusso apra una nuova stagione. Ma la Confindustria, che giustamente chiede agli altri riforme, dovrebbe mettere in campo la riforma che spetta a lei per prima: quella delle relazioni industriali e del mercato del lavoro". D'Amato vorrebbe che venisse riannodato il filo spezzato nel 2003. Insomma, l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che blocca la mobilità in uscita dalle aziende. A suo avviso sono stati fatti passi indietro anche dal secondo governo Berlusconi che ha perso la spinta riformatrice del primo. Per esempio, invece di rivedere l'indennità di disoccupazione si è scelto un uso perverso della cassa integrazione. In Campania, la cassa viene prorogata in deroga attingendo ai fondi regionali, aumentando un deficit già fuori misura.

    Il suo gruppo, Finseda, leader negli imballaggi alimentari, nonostante conservi un'ampia base in Italia, ha stabilimenti in molti paesi stranieri, Germania, Gran Bretagna, Portogallo e adesso sta investendo negli Stati Uniti. "In Germania, racconta, si sono ottenute flessibilità nell'orario, mentre in Inghilterra la contrattazione è esclusivamente aziendale. Il Portogallo, seppur più simile all'Italia, segue un approccio molto pragmatico. Il comune denominatore, ovunque, è la flessibilità". Ma bisogna avere qualcosa in cambio, non si può solo dare. "Gli industriali debbono offrire sviluppo e posti di lavoro, i sindacati una gestione flessibile della forza lavoro, l'aumento dei salari diventa possibile con più efficienza e produttività", risponde D'Amato. Non è quello che propone Marchionne, in buona sostanza? "I contratti in deroga sono pannicelli caldi. Lui guarda alla propria azienda; Confindustria, sindacati, governo, debbono badare all'insieme del tessuto produttivo italiano che si sta disgregando, compreso quello del nord est. E' arrivato il momento di tornare alla manifattura”.

    La reindustrializzazione alla quale pensa D'Amato porta con sé una condizione essenziale: liberare il mercato del lavoro da lacci e lacciuoli. "Senza articolo 18 si evita il precariato, perché le aziende possono assumere in pianta stabile sapendo che è consentito loro licenziare quando le cose vanno male. E' impossibile non capire che le rigidità regolatorie provocano le scappatoie. Vale per l'economia sommersa. Ma il ragionamento si può estendere anche alla rappresentanza sindacale. Un sindacato radicato nella vecchia rendita di posizione, difende il lavoro di chi già ce l'ha, cresce attorno ai patronati e ai pensionati e se ne infischia di chi lavora in nero o degli emarginati. Salvo riempirsi la bocca di vuote parole d'ordine". Oltre Marchionne, dunque, oltre la Fiat. Confindustria, se ci sei batti un colpo.

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