Perché la Bielorussia non può ancora rinunciare al suo “papi” Lukashenka
Sei candidati alle elezioni presidenziali in Bielorussia sono stati arrestati nelle manifestazioni e negli scontri di ieri, in seguito all'esito scontato del voto con la vittoria di Aleksandr Lukashenka con l'ottanta per cento dei consensi. A renderlo noto è l'agenzia di stampa ufficiale Belpan, secondo cui due di loro, Vladimir Neklaev e Vitali Rymachevski, sono stati ricoverati in ospedale.
Sei candidati alle elezioni presidenziali in Bielorussia sono stati arrestati nelle manifestazioni e negli scontri di ieri, in seguito all'esito scontato del voto con la vittoria di Aleksandr Lukashenka con l'ottanta per cento dei consensi. A renderlo noto è l'agenzia di stampa ufficiale Belpan, secondo cui due di loro, Vladimir Neklaev e Vitali Rymachevski, sono stati ricoverati in ospedale. La moglie del primo ha tuttavia denunciato la scomparsa del marito che sarebbe stato portato via dal reparto dove era stato ricoverato. Gli Stati Uniti hanno espresso ''particolare preoccupazione per l'aggressione dei candidati dell'opposizione e dei giornalisti'', ha denunciato un comunicato diffuso dall'ambasciata americana a Minsk.
La Bielorussia domenica ha votato presidente della Repubblica ma nessuno si sarebbe mai aspettato un vincitore diverso da Alexander Lukashenka, che per tutti a Minsk è “Batka”, il “papà” della nazione. Lukashenka ha raddoppiato il limite del secondo mandato che era in vigore quando ha preso il potere, nel 1994 – un termine comodamente rimosso da un referendum sei anni fa. Le alternative c'erano, ma pochi pensavano di avere qualche speranza di successo: alle elezioni si sono presentati altri nove candidati, un numero record per la storia del paese, che occupano l'intero spettro dell'ideologia politica: c'è un uomo d'affari, un poeta, ex alleati di Lukashenka e suoi detrattori storici, nazionalisti e filorussi. C'è il movimento di opposizione “Dire la verità”, fondato dallo scrittore Vladimir Niakliaev, macchiato dalle accuse di finanziamenti garantiti direttamente da uomini vicino al Cremlino. C'è stato persino un dibattito televisivo, a inizio dicembre, in cui ai nove canditati è stata concessa l'opportunità di attaccare senza censure Lukashenka – che, però, non era presente.
“In Bielorussia ci saranno certamente dei cambiamenti politici, ma non ci sarà alcun cambiamento al potere”, ha detto Lukashenka la scorsa settimana da Mosca, mentre stringeva la mano al presidente russo, Dmitri Medvedev. Se l'assetto presente non preoccupa il “papà” della Bielorussia, il futuro visto da Minsk è un panorama avaro di speranze, su cui la recente visita al Cremlino ha messo un'ipoteca positiva. Di recente, “l'ultimo dittatore d'Europa” – come lo chiamava l'ex segretario di stato americano, Condoleezza Rice – ha cercato di emanciparsi dalla sfera politica di Mosca. Il Cremlino non ha apprezzato né le moine filoeuropee di Lukashenka, né i suoi tentativi di danneggiare il mercato russo, e ha iniziato ad alzare il prezzo del gas – il venti per cento della produzione russa passa per Minsk – e a razionare il flusso di petrolio verso le centrali bielorusse, limitando di fatto le esportazioni gestite da Lukashenka. Le ostilità hanno raggiunto il loro picco lo scorso giugno, quando Lukashenka ha interrotto le forniture di gas verso l'Europa reclamando 260 milioni di dollari per i diritti di transito al colosso Gazprom, e da Mosca hanno risposto chiedendo 200 milioni di dollari di arretrati.
La sera di Ferragosto, l'emittente russa Ntv ha trasmesso “Godbatska”, che significa “padrino”, un documentario sul presidente bielorusso, in cui la famiglia Lukashenka era accusata di avere messo insieme tra gli otto e i dieci miliardi di dollari lucrando sulle rendite dei prodotti petroliferi russi e su una capillare rete di racket che arriva fino alle grandi aziende degli oligarchi bielorussi. L'operazione di controinformazione di Ntv ha toccato tutti i tasti possibili, dagli ex agenti del Kgb a una lettera dello psichiatra Dmitry Schigelsky, che dieci anni fa aveva diagnosticato un disturbo psicotico al “papà” bielorusso. Ntv si è prestata docilmente alla vendetta del Cremlino, che, aggravata dalla crisi economica globale, ha reso la Bielorussia talmente vulnerabile da dover essere salvata dal Fondo monetario internazionale: ad aprile, l'organismo ha concesso un aiuto di tre miliardi e mezzo di dollari in cambio della promessa di riforme fiscali e bancarie strutturali.
Vista la fragilità dell'economia bielorussa, anche l'Unione europea ha provato a fare leva sugli affari, offrendo tre miliardi di euro in cambio di elezioni presidenziali democratiche. Secondo Serena Giusti dell'Ispi, tuttavia, “la Russia è l'unico attore che sia in grado di condizionare la Bielorussia e di portare eventualmente al collasso il suo atipico sistema economico e politico”.
Una settimana fa Lukashenka salutava, a Mosca, il nuovo accordo con cui la Russia si è impegnata a togliere i dazi sul greggio che manda a Minsk. In cambio, l'ultimo dittatore d'Europa deve cedere a Mosca parte delle rendite dell'esportazione di prodotti fatti con il petrolio russo. L'accordo permetterà a Minsk di risparmiare fino a 4 miliardi di dollari – poco più della cifra promessa dall'Ue – e favorirà l'accesso alla zona di libero scambio che la Russia ha intenzione di creare anche con un terzo partner, il Kazakistan.
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