Bonanni l'americano

Ugo Bertone

L'investimento prima di tutto. Anzi, gli investimenti perché, dice Raffaele Bonanni al Foglio, “non solo per noi è vitale che la Fiat investa in Italia, ma anche che faccia da battistrada ad altri investimenti delle multinazionali. Chiaro?”. Chiaro, ma fino a un certo punto. La Cisl, infatti, dà la sensazione di esser vittima di una sorta di sindrome dell'“ultimo passo”: dopo aver teorizzato la contrattazione decentralizzata, la confederazione dà la sensazione di fermarsi di fronte al passaggio finale.

    L'investimento prima di tutto. Anzi, gli investimenti perché, dice Raffaele Bonanni al Foglio, “non solo per noi è vitale che la Fiat investa in Italia, ma anche che faccia da battistrada ad altri investimenti delle multinazionali. Chiaro?”. Chiaro, ma fino a un certo punto. La Cisl, infatti, dà la sensazione di esser vittima di una sorta di sindrome dell'“ultimo passo”: dopo aver teorizzato la contrattazione decentralizzata, la confederazione dà la sensazione di fermarsi di fronte al passaggio finale, cioè la contrattazione fabbrica per fabbrica. Davvero non si può accettare la richiesta di Sergio Marchionne? “L'ad della Fiat è caduto nella trappola che gli è stata tesa da Fiom e da tutti i conservatori italiani”. Insomma l'intransigenza sul tema del contratto nazionale del numero uno della Fiat giova solo a chi campa di contrapposizione. “Gente che è minoranza dentro e fuori la fabbrica, anche se gode dell'appoggio della grancassa mediatica”.

    Gente, si può obiettare, che poteva essere messa fuori gioco accettando la logica del sindacato tedesco. O l'esempio degli States, dove Marchionne si trova benissimo. Ma la contrattazione come l'abbiamo disegnata noi, obietta Bonanni, ha molte affinità con quella tedesca: un livello nazionale, con una serie di tutele minime per tutti, e largo spazio alla contrattazione aziendale. E non parliamo di Bob King, il leader dei metalmeccanici dell'Uaw: “Le nostre idee coincidono su molti punti: la necessità di collaborare, lavoratori e aziende, per conquistare posizioni sul mercato. E il rifiuto di un rapporto conflittuale insostenibile in una congiuntura come l'attuale. Si deve combattere assieme, almeno finché non verrà il momento di dividersi i frutti degli sforzi comuni”. Belle parole. Non sono solo belle parole, replica piccato Bonanni: il credito che meritiamo trova fondamento in 15 anni di lotte per uscire dalla gabbia della contrattazione centralizzata. “E i frutti della nostra strategia si vedono: guardate Pomigliano, sei mesi dopo. I giornali non ne parlano, ma chi ha scelto la strada della contrapposizione frontale è in grave difficoltà”. Eppure, l'accordo con Marchionne resta lontano. “A me piace esser sincero – dice il leader della Cisl – A tentare di far saltare l'ipotesi di accordo contrattuale stavolta è stata la delegazione Fiat”. No, non siamo di fronte a una doppia verità di Marchionne. Lui non sta mica al tavolo delle trattative dove siedono persone che sono legate “ai vecchi tempi, quando tutto si risolveva con il sindacato antagonista, i politici vicini e il governo che pagava a piè di lista”.

    Forse la realtà è più semplice: la Fiat vuole che in fabbrica abbiano diritto di cittadinanza solo le Rsu che hanno sottoscritto accordi aziendali. Attenti ad accelerare i processi, ammonisce Bonanni. Perché così si favoriscono solo i nichilisti. A Marchionne ha detto di continuare: “Io ti riconosco le qualità del grande manager, tu devi aver fiducia in chi, condividendo gli obiettivi comuni, sta nell'agone sociale. Non si va da nessuna parte senza un contratto che non sia condiviso con noi. Altrimenti si fa il gioco di quelle minoranze che da mesi vanno ripetendo sciocchezze”. Altrimenti, però, la Fiat farà la valigie. “Io credo che Marchionne non voglia lasciare l'Italia. Perché gli italiani sanno lavorare, come dimostrano le aziende che hanno investito da formiche e che raccolgono risultati. E se Marchionne vuol fare il formicone, io ci sto”. Insomma, investi e ti sarà dato.