Detroit-Italia/ 9
Il primo Marchionne sono io - Intervista a Maurizio Sacconi
Macché conservatore, macché equidistante, macché sonnecchiante. Maurizio Sacconi non si riconosce in questi aggettivi, specie da quando Sergio Marchionne ha chiesto un'innovazione all'americana dei rapporti azienda-lavoratori, sfidando non soltanto i sindacati ma anche Confindustria e addirittura il governo. Il ministro del Lavoro, però, ridimensiona la portata della “rivoluzione marchionnesca” come il Foglio l'ha definita.
Macché conservatore, macché equidistante, macché sonnecchiante. Maurizio Sacconi non si riconosce in questi aggettivi, specie da quando Sergio Marchionne ha chiesto un'innovazione all'americana dei rapporti azienda-lavoratori, sfidando non soltanto i sindacati ma anche Confindustria e addirittura il governo. Il ministro del Lavoro, però, ridimensiona la portata della “rivoluzione marchionnesca” come il Foglio l'ha definita. Innanzitutto, dice Sacconi in una conversazione con il Foglio, i veri innovatori siamo noi, ossia il governo e i sindacati riformisti: “Nel nostro assetto regolatorio ha, e dovrà ancor più avere, un grande peso la contrattazione collettiva. E accordo cambia accordo, per cui le regole possono essere facilmente adattabili a settori e ad aziende”. Peccato che per Marchionne non sono sufficienti a rendere più efficienti e più produttive le fabbriche. “Mi segua nel ragionamento. Ci sono state delle novità. Da un lato il governo ha deciso di detassare il salario di produttività, e questo significa che ad esempio nello stabilimento di Pomigliano i dipendenti Fiat avranno circa 4 mila euro in più all'anno di salario tassato soltanto al 10 per cento rispetto alla precedente aliquota del 23 per cento. Dall'altro lato il protocollo del 2009 prevede la centralità dell'azienda”.
Ma il Lingotto contesta l'accordo interconfederale del '93 specie sulla rappresentanza nelle fabbriche, per questo Marchionne non fa aderire Mirafiori a Confindustria: “Che cosa c'entra il governo? Spetta alle parti sociali e solo ad esse realizzare accordi diversi, anche in deroga a quello interconfederale. La scelta di questo governo è stata nel senso di rafforzare ancora di più la loro autonomia”. Ieri al Foglio il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli, ha detto che proprio su questo aspetto c'è una divergenza fra l'associazione degli industriali presieduta da Emma Marcegaglia e la Fiat. Insomma, il modello all'americana che propone di fatto Marchionne ha spiazzato il gradualismo riformatore di governo, Confindustria, Cisl e Uil. Sacconi non condivide: “La Marcegaglia sta concretamente aiutando Marchionne. Così come Cisl, Uil, Ugl e Fismic sono stati e sono in prima linea a convincere i lavoratori della bontà di uno scambio tra salario, investimenti e condizioni di efficienza produttiva”.
Molti degli osservatori e protagonisti intervistati dal Foglio hanno comunque scorto nell'iniziativa di Marchionne l'intenzione di esportare e declinare negli stabilimenti italiani un modello americano. Il ministro non vuole replicare, comunque dice: “Se in Marchionne c'è un'ideologia, è la non ideologia. Ha un approccio pragmatico. Un pragmatismo che è condiviso dai sindacati riformisti in antitesi al vecchio conflitto di classe. Per questo chi parla di modelli sbaglia. E chi lo fa pensa che il tessuto produttivo dell'Italia sia composto solo da grandi fabbriche e dalla Fiat”.
Ministro, vuole dire che il Lingotto non è più centrale per l'Italia? “Dico che economicamente ha un ruolo fondamentale, ma nelle relazioni industriali non è certo più il driver”. Quindi sta dicendo che stiamo perdendo tempo a occuparci di questi temi. “Al contrario. E' un passaggio decisivo per l'economia italiana, anche se la Fiat è l'ultima ridotta di un conflitto di classe che nel resto del sistema produttivo non c'è più da tempo: nelle imprese medie e piccole, spesso diventate multinazionali tascabili, prevale diffusamente la collaborazione. Quindi Marchionne chiede giustamente la fine di conflittualità minoritarie e assenteismi anomali come già accade altrove”.
A rischio di essere tacciato di eccessivo ottimismo, Sacconi ripete che è fiducioso in un accordo per Mirafiori entro Natale, visto anche l'incontro che si tiene oggi (“E' un auspicio informato, diciamo così”), anche perché “Marchionne ha trovato comprensione da tutte le istituzioni, dal governo alla regione, passando per il comune, e la disponibilità delle parti sociali”. “Andremo a questo fondamentale incontro – ha detto ieri il leader della Fismic, Roberto Di Maulo – con l'intenzione di firmare e assumendoci le nostre responsabilità”. Il nuovo incontro di stamattina a Torino è stato convocato dal gruppo presieduto da John Elkann dopo che i sindacati, Fismic compresa, hanno inviato ieri una lettera di richiesta all'azienda per riprendere la trattativa interrotta dal gruppo torinese il 3 dicembre scorso.
A non convincere però del tutto Sacconi è la soluzione adombrata di un referendum a Mirafiori dopo quello di Pomigliano: “Premesso che una decisione del genere spetta soltanto ai sindacati, io sconsiglio in generale la logica assembleare. Più un sindacato partecipa alla vita dell'azienda volendo condividere le decisioni dell'impresa, più si devono sviluppare strumenti di democrazia delegata”. Insomma, meno referendum e più dialogo continuo: un'impostazione opposta rispetto a quella di Fiom-Cgil.
Quindi, nonostante le tensioni, gli annunci prima tonitruanti e poi più accomodanti di Marchionne, il ministro del Lavoro pensa che lo scambio tra più efficienza e più salario, come nel caso dello stabilimento Pomigliano, sia la prospettiva auspicata e inevitabile. Una modernizzazione voluta e realizzata da Confindustria, Cisl, Uil e Ugl che trova, per Sacconi, una sponda politica nell'esecutivo: “La linea del dialogo sociale responsabile seguita dal governo ha consentito di evitare tensioni quando si è riformata la previdenza, commissariata la sanità del centro-sud, realizzato il blocco dei salari nel pubblico impiego”. Un'azione che s'inquadra in quell'idea di “meno stato e più società” che l'ex socialista e cattolico Sacconi ripete sì come un mantra ma tanto quanto ci crede davvero. E nonostante non lo dica, ritiene che Marchionne sia inconsapevolmente sacconiano. Oppure che Sacconi sia il Marchionne del governo del Cav.
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