Se Assange fosse un vero eroe non piangerebbe quando gli rubano i denti
In un'intervista al quotidiano spagnolo El País ripresa dalla Repubblica, Julian Assange parla dei nove giorni passati nella prigione di Wandsworth. Racconta un episodio a suo dire “inquietante”. Sta mangiando un piatto di riso e fagioli, quando all'improvviso sente qualcosa che gli si rompe in bocca, è un dente, un oggetto metallico l'ha spezzato, non sa se l'abbiano messo apposta o se si sia trattato di un incidente. Avvolge il dente in un pezzo di carta, va in cortile per l'ora d'aria, quando torna in cella il dente è scomparso.
In un'intervista al quotidiano spagnolo El País ripresa dalla Repubblica, Julian Assange parla dei nove giorni passati nella prigione di Wandsworth. Racconta un episodio a suo dire “inquietante”. Sta mangiando un piatto di riso e fagioli, quando all'improvviso sente qualcosa che gli si rompe in bocca, è un dente, un oggetto metallico l'ha spezzato, non sa se l'abbiano messo apposta o se si sia trattato di un incidente. Avvolge il dente in un pezzo di carta, va in cortile per l'ora d'aria, quando torna in cella il dente è scomparso. Lì per lì scherza con l'intervistatore, “forse vogliono venderlo su eBay”. Poi si fa serio: “Suppongo che non volevano restasse traccia di quello che era successo”.
Lamenta poi di essere stato trasferito tre volte, dalle celle dei nuovi arrivi all'ala Onslaw dove sono rinchiusi detenuti condannati per crimini sessuali, infine “all'unità di sorveglianza e di separazione dove pedofili impazziti urlavano per tutta la notte i loro delitti”. Julian Assange non dice ovviamente che sta in carcere tra stupratori e pedofili perché accusato di crimini sessuali, in particolare lo stupro a Stoccolma di miss W. e miss A. Si è sempre detto innocente, vittima di una macchinazione americana per imbavagliarlo. E' probabile che non sia uno stupratore, magari è un pezzo di ghiaccio bollente che là sotto ha qualcosa di imperioso se è vero quello che scrive il Guardian: sempre a Stoccolma e sempre nella fatale settimana dall'11 al 18 agosto, avrebbe avuto a che fare anche con la fidanzata di un giornalista con cui stava cenando, complice una fumata di ben quarantacinque minuti fuori dal ristorante, interrotta da lui che insospettito va a cercare lei e ovviamente la butta in rissa.
Quello che è certo è che Julian Assange non è paladino di niente. Nel romanzo di formazione degli eroi “contro”, degli uomini che sentono il fuoco di una causa che credono giusta e a essa si consacrano fino a diventare passo dopo passo mito, il carcere è passaggio obbligato, cosa messa in conto, occasione per mostrare di che pasta si è fatti. L'aspirante eroe sa che deve resistere alla follia dell'universo concentrazionario, non cadere vittima di malattie psicosomatiche, non avere crisi di panico, mantenere i nervi saldi, sopportare il cibo schifoso, il troppo caldo, il troppo freddo, le grida ossessive degli altri. Deve saper fraternizzare e mai degradarsi di fronte al suo carceriere per ottenere quei minimi conforti che in un mondo chiuso ed esposto all'arbitrio sono tutto, una saponetta, un pettine, una coperta di lana. L'eroe domina anche il proprio corpo, non si masturba furiosamente al ricordo del calore che ha avuto e che ha perso.
Assange piagnucola per nove giorni passati in prigione, mostra qualche segno di paranoia quando si mette ad accusare non si sa chi di aver organizzato un complotto per rompergli un dente e fare sparire la prova: è il non eroe del tempo nostro, un cavaliere senza armatura che vorrebbe battersi per una causa universale che in realtà non esiste. Questa debolezza ce lo avvicina. Lo mostra per quello che è, hacker riconvertito in cerca di effimero contropotere. E quando scopre il carcere, non lo vive come banco di prova: lo vive con paura, lo vede come lo vedremmo noi, luogo di disperazione, sofferenza, avvilimento. In fondo ha ragione la sua mamma: Julian Assange è solo un bravo ragazzo.
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