Detroit-Italia /11

Pullover e piccone

Francesco Forte

Per un po' si è fatto credere che al centro della vicenda Mirafiori ci fosse il contratto del settore metalmeccanico del 2009 firmato da Cisl, Uil, Ugl, ma non dalla Cgil, che prevede la contrattazione decentrata aziendale ma ne individua un ambito determinato. Non è così. Con l'accordo proposto da Sergio Marchionne per Mirafiori, e con gli altri contratti Fiat aziendali, si tratta piuttosto di derogare ai protocolli del 1993 riguardanti la concertazione nazionale.

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    Per un po' si è fatto credere che al centro della vicenda Mirafiori ci fosse il contratto del settore metalmeccanico del 2009 firmato da Cisl, Uil, Ugl, ma non dalla Cgil, che prevede la contrattazione decentrata aziendale ma ne individua un ambito determinato. Non è così. Con l'accordo proposto da Sergio Marchionne per Mirafiori, e con gli altri contratti Fiat aziendali, si tratta piuttosto di derogare ai protocolli del 1993 riguardanti la concertazione nazionale, siglati dalla Confindustria presieduta da Luigi Abete, dalla triplice sindacale egemonizzata dalla Cgil e dal governo Ciampi. Essi stabilirono un patto nazionale permanente di politica dei redditi per contenere i salari, onde ridurre la crescita dei prezzi entro il tasso programmato di inflazione, per favorire l'ingresso dell'Italia nell'euro in cambio di azioni del governo nella spesa sociale e produttiva e nelle politiche occupazionali fissate con i documenti di programmazione allora vigenti.

    L'accordo ammetteva la contrattazione di secondo livello, di area o aziendale, nei limiti previsti da quella nazionale. Per la stipula dei contratti di secondo livello e per la vigilanza sulla loro applicazione erano competenti le Rappresentanze sindacali unitarie (Rsu), composte per due terzi dai rappresentanti eletti dai lavoratori delle imprese e per un terzo dai rappresentanti dei sindacati che avevano firmato il contratto nazionale. Tali Rsu, dunque, per i protocolli del 1993 sono comunque composte anche da chi non ha firmato i contratti. I contratti aziendali di Marchionne invece non sono firmati con le Rsu, ma con i sindacati che ci stanno; sono validi se chi li ha firmati esprime la maggioranza dei lavoratori e sono gestiti dall'impresa e dai sindacati firmatari. La Cgil che non firma è esclusa dalla vigilanza su questi contratti.
    Dunque il contratto aziendale con tali nuove regole fa cadere il “Muro di Berlino” della vetusta concertazione del 1993. Non cambieranno soltanto le relazioni industriali, visto che la Confindustria e la Cgil con tale modello cercavano di egemonizzare, insieme, l'industria e il mondo del lavoro, e di condizionare il governo con questo potere “terzo”. Questa scelta neocorporativa, molto discutibile nel 1993, non mi è mai piaciuta.

    Ora queste regole, che hanno presieduto al mondo del lavoro in base alla Costituzione “informale” della Seconda Repubblica e che hanno ritardato la crescita del paese, non hanno più senso. L'Italia è nell'euro, il tasso di inflazione dipende dalla Bce, l'economia va gestita secondo criteri di mercato con l'obiettivo di aumentare la produttività e con essa i salari. I sindacati e le imprese debbono poter agire in base al principio di sussidiarietà, ponendo al centro l'individuo come persona libera. Secondo tale principio, che dovrebbe valere non solo per la finanza pubblica ma anche per il mondo della produzione, il livello superiore interviene solo nella misura in cui non è adeguato quello più vicino agli individui, sicché il contratto nazionale si deve occupare solo di ciò che non si può fare a livello aziendale. Per tutto il resto, prevale la contrattazione periferica. E tutto ciò che essa non prevede rimane libero. La richiesta della settantottina Susanna Camusso a Emma Marcegaglia perché la Confindustria tenga in vita i barcollanti protocolli corporativi del 1993 è anacronistica. Se accolta servirebbe solo a rendere anacronistica anche la Confindustria.

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