I vicoli di Shanghai

Mariarosa Mancuso

Nixon visita Shanghai, dal Vicolo della Polvere Rossa vengon fatti sparire i panni stesi, i mendicanti, i ragazzini in età da schiamazzi, gli animali più o meno domestici. Anche i nemici di classe, radunati dal comitato di quartiere che in questi casi applica la regola codificata nel film “Casablanca”: “Arrestate i soliti sospetti” (vale a dire i proprietari di case, i ricchi contadini, i controrivoluzionari, i cattivi soggetti non compresi nelle precedenti categorie).

    Nixon visita Shanghai, dal Vicolo della Polvere Rossa vengon fatti sparire i panni stesi, i mendicanti, i ragazzini in età da schiamazzi, gli animali più o meno domestici. Anche i nemici di classe, radunati dal comitato di quartiere che in questi casi applica la regola codificata nel film “Casablanca”: “Arrestate i soliti sospetti” (vale a dire i proprietari di case, i ricchi contadini, i controrivoluzionari, i cattivi soggetti non compresi nelle precedenti categorie). Gli altri abitanti del vicolo non capiscono il cortese trattamento riservato al più nemico dei nemici imperialisti, ma evitano i commenti. Hanno attraversato senza troppi guai la Rivoluzione Culturale, non conviene sindacare sulle strategie del presidente Mao. Nel Notiziario su Lavagna, ultima edizione del 1972, annotano l'evento e riprendono la loro occupazione prediletta: inventare storie attorno ai personaggi che affollano le stanzette nel Vicolo. Le commedie prerivoluzionarie sono intitolate “Settantadue famiglie in una casa”, ma il narratore assicura che sono molto meno, tra operai, commercianti, funzionari, scrittori in cerca di spunti.

    Il romanzo collettivo comincia nel 1949, quando viene proclamata la Repubblica popolare cinese. Si chiude nel 2000 e rotti, con l'aviaria, la gigantesca diga delle Tre Gole, il prodotto interno lordo in crescita del dieci per cento. Dopo quattro polizieschi, lo firma Qiu Xiaolong, cinquantenne cinese emigrato nel Missouri per studiare all'università e prudentemente rimasto negli Stati Uniti dopo Tiananmen. “Il Vicolo della Polvere Rossa” (esce da Marsilio, come le indagini dell'ispettore Chen Chao) compatta sessant'anni di storia – e di tragedie e di lutti e di contraddizioni in seno al popolo – in duecento pagine appena.

    Grazie a un astuto punto di vista, e a un gusto per la narrazione che una volta era appannaggio degli scrittori anglo-indiani, e ora viene ereditato da un'altra rampante periferia. Avere qualcosa da raccontare aiuta, specialmente se confrontiamo la materia con certe storielle stentate all'europea. Per esempio, la vicenda dell'operaio-poeta Bao, arrivato nel Vicolo come apprendista alla bottega del tofu. Nel 1958, rispondendo alla chiamata del presidente Mao per il Grande Balzo in Avanti (leggi: raddoppiare in dodici mesi la produzione di acciaio), trova lavoro all'acciaieria tre di Shanghai. Un paio di versi estemporanei lo proiettano tra i poeti di stato (oltre alla campagna per l'acciaio, Mao ne aveva intrapresa un'altra per scovare scrittori tra gli operai e i contadini). Ritroviamo il poeta del tofu nel 1996, in regime di libera iniziativa.

    Ha messo su un chioschetto, non se la cava male, e intanto Qiu Xialong coglie l'occasione per riferire gli alti e bassi dei decenni trascorsi, quando Bao viene accusato di revisionismo e si salva solo per i suoi trascorsi da operaio. Nel mosaico, anche il Vecchio Gobbo Fang, il Massaggiatore di Piedi, il Rappresentante Ghiottone, il Vincitore di Lotteria che smarrisce il biglietto.