LCdM tace, ma i montezemoliani su Marchionne e Confindustria non ci vanno leggeri
"Perché Montezemolo tace sulla Fiat?" chiedeva polemicamente il signor Giacomo Dentici, lettore di Palermo sul Foglio di ieri. Il presidente della Ferrari e leader di Italia Futura in realtà ha fatto conoscere il suo pensiero sull'argomento attraverso un articolo di Carlo Calenda, uomo di punta del team montezemoliano, pubblicato il 21 dicembre scorso sul sito della fondazione. E si prepara a tornarci su con un nuovo editoriale e la stessa firma nei prossimi giorni: la tesi è che “bisogna ricomporre il sistema”.
"Perché Montezemolo tace sulla Fiat?" chiedeva polemicamente il signor Giacomo Dentici, lettore di Palermo sul Foglio di ieri. Il presidente della Ferrari e leader di Italia Futura in realtà ha fatto conoscere il suo pensiero sull'argomento attraverso un articolo di Carlo Calenda, uomo di punta del team montezemoliano, pubblicato il 21 dicembre scorso sul sito della fondazione. E si prepara a tornarci su con un nuovo editoriale e la stessa firma nei prossimi giorni: la tesi è che “bisogna ricomporre il sistema”, perché le due diverse velocità fra grandi e piccole imprese presentano rischi. Certo, si potrebbe obiettare, la via scelta da LCdM non è delle più visibili, dato che l'articolo si intitola “Operazione verità per rimettere in moto l'Italia”, parte dai dati della Banca d'Italia sulla ricchezza e arriva a Marchionne nell'ultimo paragrafo. Ma quel nome c'è e Calenda, con l'imprimatur del caso, non risparmia critiche a governo e Confindustria.
L'articolo è significativo di una differenza, rispetto all'idea delle relazioni sindacali e industriali, tra l'ex presidente della Fiat e il nuovo ad italocanadese. “Marchionne ha ragione circa lo scarso orientamento alla competitività del nostro sistema contrattuale e fa il suo dovere di manager quando indica quali sono le condizioni minime per portare avanti gli investimenti”, premette Calenda, salvo specificare che “l'Italia non è la Fiat”, che “occorre trovare soluzioni che rispondano al problema complessivo dei contratti” e che “se dobbiamo abbandonare l'equilibrio fatto di bassi salari e alti livelli di garanzie che ha retto per lungo tempo il sistema delle relazioni industriali italiano, bisogna indicare l'approdo”. La critica più forte è per Emma Marcegaglia e per il governo: hanno puntato a isolare la Cgil. Una scelta che, secondo Italia Futura, ha reso “più difficile dare vita a un processo condiviso di modernizzazione del sistema dei contratti”. Il risultato è che “adesso sono obbligati a rincorrere la Fiat mettendo pezze qua e là con l'obiettivo prioritario di non veder ridimensionato il proprio ruolo”.
In sostanza alla Confindustria Montezemolo rimprovera di aver assecondato eccessivamente Marchionne e di riflesso il rimprovero si estende alla linea di quest'ultimo. Non poteva essere diversamente visto che il presidente della Ferrari viene da un'altra storia, quella delle relazioni industriali basate sull'asse fra le rappresentanze del mondo del lavoro e su un rapporto bicefalo con il potere pubblico, per esempio sulle rottamazioni, che Marchionne ha spezzato. La sua politica da presidente della Confindustria ha parlato un'altra lingua, tutta rivolta a ripristinare i buoni rapporti tra imprese e Cgil dopo gli anni di Antonio D'Amato e della crociata contro l'articolo 18. Anche accademici autonomi, ma solitamente in sintonia con il think tank montezemoliano hanno perplessità sulla linea Marchionne. O fastidio, è il caso di Irene Tinagli, sull'equazione tra questione Fiat e questione lavoro. Michel Martone, giuslavorista, docente alla scuola superiore della Pubblica amministrazione nonché membro del comitato promotore di Italia Futura parla in modo più diretto del rischio cui, a suo avviso, potrebbe andar incontro Marchionne: ritrovarsi con la Fiom fuori dalla Fiat, ma nel ruolo di “assediante”, in perenne battaglia. Un rischio speculare a quello che, aggiunge Martone, la Fiom corre se non torna indietro: “Diventare partito politico perdendo di vista il compito principale di un sindacato, che è fare accordi”. Come per Montezemolo, il presupposto è che anche per la Fiat sia un errore rinunciare all'Italia, per una questione di brand e di mercato: “E' un'azienda italiana. Il suo successo è anche nel legame con l'Italia”.
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