I dipietristi pentiti sono peggio di Di Pietro? L'Elefante cerca di darsi una risposta

Giuliano Ferrara

Di Pietro è il male assoluto. Ma non è antipatico quando si prende a schiaffi per aver scelto qualche marrazzone di troppo nelle sue liste. Non era antipatico quando perdeva la sua battaglia con Craxi, che ha ammazzato in effigie minacciando i suoi brasseurs d'affaires di buttare via la chiave della galera in cui li aveva rinchiusi per le spicce se non avessero “parlato”; ma che ascoltò in tv, silenzioso e sull'attenti mentre il tribunale veniva erudito sui finanziamenti illegali ai partiti nella storia della Repubblica.

Leggi Alla ricerca del dipietrista non pentito, se ancora ci sia

    Di Pietro è il male assoluto. Ma non è antipatico quando si prende a schiaffi per aver scelto qualche marrazzone di troppo nelle sue liste. Non era antipatico quando perdeva la sua battaglia con Craxi, che ha ammazzato in effigie minacciando i suoi brasseurs d'affaires di buttare via la chiave della galera in cui li aveva rinchiusi per le spicce se non avessero “parlato”; ma che ascoltò in tv, silenzioso e sull'attenti mentre il tribunale veniva erudito sui finanziamenti illegali ai partiti nella storia della Repubblica.

    Faceva simpatia, questo arcitaliano che eccitava la blandizie di una masnada di ruffiani e di servi, quando il grandissimo Luigi Bisignani gli diceva in dibattimento che in quella scatola passata per le sue mani e consegnata allo Ior (Istituto Opere di Religione, banca vaticana) c'erano solo dei cioccolatini. Faceva addirittura compassione quando si approntava la trionfale vittoria nel Mugello stalinista, con i compagni compatti a votare per moralismo un contadino (scarpe grosse e cervello fino) che immoralisticamente contraeva prestiti a tasso zero nel suo distretto giudiziario e li restituiva di fretta in una scatola da scarpe.

    Non era antipatico nemmeno uno dei suoi sponsor d'allora, il cinico Massimo D'Alema che lo candidò e lo sostenne con fierezza nel collegio senatoriale toscano, pronto poi a confidare all'ambasciatore americano in Roma i suoi veri pensieri sulla funzione eversiva della magistratura italiana (quei pensieri che motivarono la scelta consapevolmente malinconica ma obbligata del Foglio di candidarlo alla presidenza della Repubblica, e il “fronte del no” a ricacciarlo nella nomenclatura partitica senza cariche di rilievo e possibilmente innocuo).

    Ma sebbene non possano aspirare alla categoria del male assoluto, sono invece un po' goffi e una punta antipatici i dipietristi pentiti. Quel magistrato bellino che invase la tv di Santoro per mesi, diede l'impressione di voler combattere il malaffare nel sud, fece la vittima e si precostituì, nello sconcerto dei suoi colleghi delle altre procure e del povero governo Prodi, la posizione giusta per una carriera politica nata nel tradimento della deontologia della pubblica accusa, che non deve fare tv ma inchieste serie, conclusive e riservate.

    E risulta bizzarro anche il Paolo Flores d'Arcais, che nella vita ha saputo scombinare infaticabilmente molte federazioni giovanili di partito, molte quarte internazionali, molti team universitari di ricercatori a vita, molte espressioni di movimentismo e di società civile, senza però combinare gran che. Nel senso che abitiamo felicemente nel sedicesimo anno dell'era Berlusconi, e il Cav. si è felicemente nutrito, e noi con lui, sia all'opposizione sia al governo, della pazzia trotzkista di questo agitatore e gianburrasca che per vocazione sfiducia Dio, il Papa e i partiti, tutti indegni della sua scuola teologica e politica.

    Di Pietro, male assoluto, ha combinato invece, su ambiguo mandato di non si sa bene ancora chi, la crisi di una Repubblica che ingrassava la corruzione ma aveva i suoi pregi (nessuno è perfetto nel mondo reale della politica). Ha organizzato, dopo la Restaurazione, una linea di resistenza per i deficienti che lo votano, una minoranza cospicua, e per molti suoi cari, alcuni dei quali non troppo affidabili. Insomma ha vangato e arato, e il suo campicello ha saputo coltivarlo. Ora arrivano questi due vanitosi giacubbini a contestarlo, e noi a gridare: forza Di Pietro!

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.