I dipietristi pentiti sono peggio di Di Pietro? L'Elefante cerca di darsi una risposta
Di Pietro è il male assoluto. Ma non è antipatico quando si prende a schiaffi per aver scelto qualche marrazzone di troppo nelle sue liste. Non era antipatico quando perdeva la sua battaglia con Craxi, che ha ammazzato in effigie minacciando i suoi brasseurs d'affaires di buttare via la chiave della galera in cui li aveva rinchiusi per le spicce se non avessero “parlato”; ma che ascoltò in tv, silenzioso e sull'attenti mentre il tribunale veniva erudito sui finanziamenti illegali ai partiti nella storia della Repubblica.
Leggi Alla ricerca del dipietrista non pentito, se ancora ci sia
Di Pietro è il male assoluto. Ma non è antipatico quando si prende a schiaffi per aver scelto qualche marrazzone di troppo nelle sue liste. Non era antipatico quando perdeva la sua battaglia con Craxi, che ha ammazzato in effigie minacciando i suoi brasseurs d'affaires di buttare via la chiave della galera in cui li aveva rinchiusi per le spicce se non avessero “parlato”; ma che ascoltò in tv, silenzioso e sull'attenti mentre il tribunale veniva erudito sui finanziamenti illegali ai partiti nella storia della Repubblica.
Faceva simpatia, questo arcitaliano che eccitava la blandizie di una masnada di ruffiani e di servi, quando il grandissimo Luigi Bisignani gli diceva in dibattimento che in quella scatola passata per le sue mani e consegnata allo Ior (Istituto Opere di Religione, banca vaticana) c'erano solo dei cioccolatini. Faceva addirittura compassione quando si approntava la trionfale vittoria nel Mugello stalinista, con i compagni compatti a votare per moralismo un contadino (scarpe grosse e cervello fino) che immoralisticamente contraeva prestiti a tasso zero nel suo distretto giudiziario e li restituiva di fretta in una scatola da scarpe.
Non era antipatico nemmeno uno dei suoi sponsor d'allora, il cinico Massimo D'Alema che lo candidò e lo sostenne con fierezza nel collegio senatoriale toscano, pronto poi a confidare all'ambasciatore americano in Roma i suoi veri pensieri sulla funzione eversiva della magistratura italiana (quei pensieri che motivarono la scelta consapevolmente malinconica ma obbligata del Foglio di candidarlo alla presidenza della Repubblica, e il “fronte del no” a ricacciarlo nella nomenclatura partitica senza cariche di rilievo e possibilmente innocuo).
Ma sebbene non possano aspirare alla categoria del male assoluto, sono invece un po' goffi e una punta antipatici i dipietristi pentiti. Quel magistrato bellino che invase la tv di Santoro per mesi, diede l'impressione di voler combattere il malaffare nel sud, fece la vittima e si precostituì, nello sconcerto dei suoi colleghi delle altre procure e del povero governo Prodi, la posizione giusta per una carriera politica nata nel tradimento della deontologia della pubblica accusa, che non deve fare tv ma inchieste serie, conclusive e riservate.
E risulta bizzarro anche il Paolo Flores d'Arcais, che nella vita ha saputo scombinare infaticabilmente molte federazioni giovanili di partito, molte quarte internazionali, molti team universitari di ricercatori a vita, molte espressioni di movimentismo e di società civile, senza però combinare gran che. Nel senso che abitiamo felicemente nel sedicesimo anno dell'era Berlusconi, e il Cav. si è felicemente nutrito, e noi con lui, sia all'opposizione sia al governo, della pazzia trotzkista di questo agitatore e gianburrasca che per vocazione sfiducia Dio, il Papa e i partiti, tutti indegni della sua scuola teologica e politica.
Di Pietro, male assoluto, ha combinato invece, su ambiguo mandato di non si sa bene ancora chi, la crisi di una Repubblica che ingrassava la corruzione ma aveva i suoi pregi (nessuno è perfetto nel mondo reale della politica). Ha organizzato, dopo la Restaurazione, una linea di resistenza per i deficienti che lo votano, una minoranza cospicua, e per molti suoi cari, alcuni dei quali non troppo affidabili. Insomma ha vangato e arato, e il suo campicello ha saputo coltivarlo. Ora arrivano questi due vanitosi giacubbini a contestarlo, e noi a gridare: forza Di Pietro!
Leggi Alla ricerca del dipietrista non pentito, se ancora ci sia
Il Foglio sportivo - in corpore sano