Il federalismo è incidentato, ma si fa
Incidente procedurale. “Il federalismo è fatto, le elezioni sono scongiurate, con Napolitano nessun problema”, dice Umberto Bossi affettando tranquillità. Certo in alcuni settori della Lega, che ieri ha riunito i propri vertici a Milano in via Bellerio, c'è apprensione per il futuro della riforma federalista contenuta nel decreto che ieri Giorgio Napolitano ha rimandato alle Camere giudicandolo “irricevibile”. Ma le preoccupazioni dell'ala vicina al ministro dell'Interno Roberto Maroni sono tenute sotto controllo dal leader Bossi che ha spiegato ai propri generali: “Garantisco io. Sia sull'impegno di Berlusconi in tutta la faccenda sia sulla disponibilità del Quirinale”.
Incidente procedurale. “Il federalismo è fatto, le elezioni sono scongiurate, con Napolitano nessun problema”, dice Umberto Bossi affettando tranquillità. Certo in alcuni settori della Lega, che ieri ha riunito i propri vertici a Milano in via Bellerio, c'è apprensione per il futuro della riforma federalista contenuta nel decreto che ieri Giorgio Napolitano ha rimandato alle Camere giudicandolo “irricevibile”. Ma le preoccupazioni dell'ala vicina al ministro dell'Interno Roberto Maroni sono tenute sotto controllo dal leader Bossi che ha spiegato ai propri generali: “Garantisco io. Sia sull'impegno di Berlusconi in tutta la faccenda sia sulla disponibilità del Quirinale”. Difatti è vero che Napolitano ha respinto il decreto sul federalismo, ma si è trattato di un rifiuto ampiamente previsto dal centrodestra. Un evento che Bossi ieri ha spiegato ai propri uomini che non siedono nei banchi del governo: “Napolitano è a favore del federalismo, le sue obiezioni sono state procedurali e in realtà assolutamente incontestabili. Non vuole che si scavalchi il Parlamento”. D'altra parte, nel corso del Cdm straordinario dell'altra notte, Gianni Letta – che per alcune ore aveva tenuto in piedi un canale di comunicazione con il Quirinale – si era espresso senza dubbi: il presidente della Repubblica non lo firmerà. Ed era stato Bossi a insistere affinché il decreto fosse licenziato comunque dal Cdm. Si trattava di ottenere – dal punto di vista della Lega – una positiva resa mediatica, evitare cioè che i quotidiani di opposizione fossero legittimati, il giorno successivo, a titolare su una sconfitta politica del federalismo.
Adesso il decreto sarà portato in Parlamento, fatto oggetto di discussione, e alla fine ritornerà in Consiglio dei ministri. L'ordine di scuderia, che parte da Palazzo Chigi e si estende a tutto il centrodestra è: evitare frizioni con il Quirinale, che nella lettera con la quale ha motivato la mancata firma al decreto definiva “poco corretto” il comportamento del governo. “Non posso sottacere – ha scritto Napolitano – che non giova a un corretto svolgimento dei rapporti istituzionali la convocazione straordinaria di una riunione del governo senza la fissazione dell'ordine del giorno e senza averne preventivamente informato il presidente della Repubblica”. Così ieri nessuno, nel Pdl né tantomeno nella Lega, ha commentato negativamente la decisione del Quirinale. Il dossier è interamente nelle mani di Bossi, che ha avuto una telefonata “lunga e cordiale” con Napolitano. Circostanza che oggi autorizzerà alcuni giornali a descrivere uno stato di tensione diplomatica tra la presidenza della Repubblica e il Cavaliere; e a sostenere che il leader della Lega abbia bypassato Palazzo Chigi allacciando un negoziato diretto con il Quirinale. Cosa non del tutto vera. Berlusconi è in realtà molto grato al proprio alleato (per la sua lealtà), tanto da lasciare il campo interamente alla Lega se questa mossa può tornare utile a Bossi e compagni.
Piuttosto giovedì sera, nel corso di una cena con il gruppo dei “responsabili”, il premier ha rivelato di voler approfittare lui delle contraddizioni, scaturite dal voto in bicamerale sul federalismo, interne al gruppo finiano di Fli. Secondo la versione di Berlusconi, Mario Baldassarri – sostenuto da alcuni senatori finiani – era pronto ad astenersi e soltanto l'intervento “duro e personale” di Gianfranco Fini lo avrebbe costretto a cambiare idea. Così il Cavaliere pensa di potersi incuneare nei problemi interni al nascituro partito di Fli (la settimana prossima il congresso fondativo a Milano) per recuperare pezzi della maggioranza perduta. Ha elencato a Saverio Romano e Silvano Moffa – anime del gruppo dei responsabili – diversi nomi di senatori e deputati finiani, “gente che vive un profondo disagio politico”: Paglia, Patarino, Ronchi, Proietti Cosimi, Rosso, Menardi. Chissà. Non sarebbe la prima volta che Berlusconi si esercita in previsioni che poi non si sono realizzate.
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