Cubatura libre
Il signor K. alla ricerca del piano casa
Qualcuno doveva aver preso in giro Marco K. perché un mattino scoprì che tutto quel che aveva fatto non era sufficiente. Recuperata la vecchia pianta dal catasto, pagato un geometra perché mettesse in bella copia le planimetrie prima e dopo i lavori, versati i balzelli obbligatori, copiato dal notaio l'atto di proprietà, ottenuta la certificazione antisismica e quella ecologica, doveva aggiungere ancora altre carte. Marco K. voleva costruire una verandina sul terrazzo, ampliare due finestre e modificare la porta
Qualcuno doveva aver preso in giro Marco K. perché un mattino scoprì che tutto quel che aveva fatto non era sufficiente. Recuperata la vecchia pianta dal catasto, pagato un geometra perché mettesse in bella copia le planimetrie prima e dopo i lavori, versati i balzelli obbligatori, copiato dal notaio l'atto di proprietà, ottenuta la certificazione antisismica e quella ecologica, doveva aggiungere ancora altre carte. Marco K. voleva costruire una verandina sul terrazzo, ampliare due finestre e modificare la porta. Architetto di professione, pensava che fosse un'impresa da niente, ma non si era reso conto che sarebbe finito in un vero labirinto processuale. Non aveva calcolato, infatti, che la sua casetta sulla via Cassia, periferia residenziale di Roma nord, si affaccia su prati e boschi del parco di Veio; sì, proprio l'antica città dell'Etruria conquistata dai romani all'inizio della loro espansione. Dunque, ci sono due vincoli in più per i quali chiedere i permessi, quello paesaggistico e anche quello archeologico. Lungaggini burocratiche a parte, visto che non aveva intenzione di turbare i millenari sogni degli etruschi, contava su un tranquillo via libera della sovrintendenza alle Belle arti, ma il paesaggio non si può saltare facilmente. Del resto, ha valore costituzionale, nessuna scorciatoia, nessuna ordinanza comunale o decreto governativo lo può eliminare.
L'apologo kafkiano non è pura fiction. Nome a parte, Marco K. esiste davvero e ha cominciato il suo percorso nel marzo 2009, speranzoso di metter mano a migliorie sempre rimandate per timore degli incubi burocratici (essendo del mestiere, sapeva a cosa andava incontro). Il provvedimento sul piano casa, annunciato dal governo dopo aver dato ascolto alla “richiesta incredibile che c'è in Italia” (parola del Cav.), consentiva di ampliare case ed edifici per un quinto del volume, demolire e ricostruire con un premio di cubatura pari al 35 per cento. Una volta confermate le agevolazioni fiscali del 36 per cento per ristrutturazioni edilizie, più l'obbligo di puntare sul risparmio energetico, arriva anche la possibilità di cambiare destinazione d'uso e saltare una serie di paletti temporali. Per cominciare i lavori, diventa sufficiente una Dia (denuncia di inizio d'attività) da parte del progettista. Dopo un mese, a meno di un contrordine, via al primo colpo di cazzuola. Successivamente, anche questo buco temporale viene colmato grazie alla Scia (segnalazione certificata di inizio attività). Perfetto. Prima, però, bisogna ottenere l'intera certificazione. E qui comincia il lungo viaggio attraverso la notte delle procedure. La doccia fredda scroscia quando l'idea di andare avanti per decreto impatta non solo nell'ostilità dell'opposizione, ma in quella di comuni e regioni. E viene affossata. Al suo posto, si stipula un accordo quadro che dà origine a dodici leggi regionali spesso diverse perché ciascuno interpreta a modo proprio il canovaccio nazionale. C'è chi denuncia il boicottaggio della sinistra: fatti i conti, però, si tocca con mano che l'autonomia immobiliare è diventata anarchia. La prima a mettersi in linea è la rossa Toscana e in coda finisce un'altra regione di centrosinistra come le Marche. Il sud resta indietro, e così anche la Liguria.
“Una pessima prova di federalismo edilizio”, la definisce, parlando con il Foglio, Paolo Buzzetti, presidente dell'Ance, l'associazione dei costruttori. I conflitti istituzionali attraversano anche le regioni, i singoli comuni, le numerose autorità che vegliano sul mattone. Il ritardatario Lazio accelera con l'avvento di Renata Polverini, ma incappa nei problemi di Roma: per Gianni Alemanno le priorità sono altre. “Il problema numero uno è la stratificazione delle competenze in materia urbanistica”, spiega al Foglio Angelo Rughetti, segretario generale dell'Anci, l'associazione dei comuni. E' d'accordo anche l'economista Gualtiero Tamburini, presidente di Assimmobiliare, la federazione di Confindustria che riunisce gli immobiliaristi e le società del settore. “Conflitti di competenze, procedure, sovrapposizioni, sono le tre ragioni fondamentali che hanno prodotto un clamoroso flop”, aggiunge Tamburini al Foglio. Sì perché alla fine della fiera, pochi, pochissimi, un numero esiguo di cittadini, ha cominciato i lavori. I più si sono scoraggiati come il nostro Marco K. I dati sono impressionanti. In Lombardia, regione che non può essere accusata di sabotare il governo, le domande sono una novantina (su nove milioni e seicentomila residenti in 1.546 comuni). In Sardegna 22 (tra le quali villa La Certosa). Al comune di Torino appena 14. Insomma, da nord a sud, da est a ovest, sembra che nessuno voglia migliorare e ampliare il proprio alloggio. E' vero che il provvedimento è applicabile di fatto solo alle case e non ai palazzi (dove a tutti gli altri vincoli si aggiunge quello dell'assemblea di condominio), ma queste rappresentano pur sempre il 43 per cento del patrimonio abitativo. “La carenza di richieste – sottolinea Rughetti – ha disincentivato i sindaci i quali non considerano urgenti misure che riguardano una manciata di famiglie”.
Ma la domanda non c'è perché manca l'offerta normativa: “Infatti, si è creato un vero e proprio circolo vizioso”, ammette il segretario dell'Anci. Certo, nelle aree metropolitane dove vivono i due terzi degli italiani, i problemi sono altri. Mobilità, infrastrutture, inquinamento, risanamento di interi quartieri. Bisogna trovare miliardi di euro e la linea prevalente è quella di stringere accordi di project financing per realizzare le grandi opere. A Roma, per esempio, il ramo B della metropolitana concede ai finanziatori e costruttori privati la possibilità di edificare su tre aree pubbliche lungo il percorso. Investimenti ingenti, volumi e cubature, altro che la casetta del nostro Marco K. Operazioni sensibili, economicamente e politicamente. Accordi difficili da raggiungere e da gestire. Lo stesso vale per Genova dove il progetto Ponte Parodi dovrebbe creare un nuovo pezzo di città. Oppure l'operazione Citylife a Milano sull'area della ex Fiera. Dunque, anche dal lato dell'offerta, sembra che l'attenzione sia a l t r o v e , complice anche la congiuntura. Dal lato della domanda, infatti, il 2009 non è stato l'anno giusto per mobilitare risorse private. In piena recessione, il messaggio prevalente, anche quello politico, era la stabilità. Quindi, salvare i risparmi, tenerli in banca se non proprio sotto il materasso. Nel 2010, la priorità nazionale non è cambiata, ancora stabilità, finanziare il debito pubblico, sostenere le banche, non rischiare. Ammodernare la casa è un'esigenza sentita, ma non primaria, quindi si può posporre. Così, la microedilizia ha mancato di diventare un volano. Insomma, alle colpe primarie dei lacci e lacciuoli locali, si aggiunge il comportamento dei risparmiatori, un classico caso da teoria dei giochi, per cui una scelta razionale per i singoli non è stata ottimale per l'insieme della collettività. Adesso è il momento di ripartire. Tamburini ritiene che ci siano sia le risorse sia i bisogni, ma la domanda resta potenziale perché manca quello scatto amministrativo che può fare da starter. Insomma, è come girare la chiavetta del motore, se non scocca la scintilla, la miscela non esplode e la macchina non cammina. I valori immobiliari in Italia non sono crollati, forse anche perché abbiamo costruito negli ultimi dieci anni un terzo di quel che ha edificato la Spagna, ricorda Buzzetti, tuttavia questa tenuta rassicura i proprietari di casa ed è una premessa perché ora spendano per migliorare il loro patrimonio. “Il mattone è stato considerato come bene rifugio, ancor più durante la crisi – spiega Tamburini – adesso può diventare bene di investimento”.
Certo, l'edilizia non ha più la forza di muovere l'intera economia come ai tempi del piano casa che tra il 1949 e il 1963 ha cambiato il volto al paese. Oggi opera su un mercato di sostituzione, un po' come l'automobile. L'Italia è già molto edificata; anche se resta un fabbisogno insoddisfatto di case per i giovani e gli immigrati, c'è un limite alla costruzione di nuovi alloggi. La grande operazione, dunque, non è più quella di Fanfani, bensì quella che mira a migliorare il patrimonio abitativo: una profonda trasformazione del paesaggio urbano, puntando sulla qualità, insiste il presidente dell'Ance. Per questo, bisogna spezzare il tabù delle demolizioni. Abbattere per ricostruire, come si fa in tutti i paesi, vincere il conservatorismo che, anche in questo campo, paralizza l'Italia. Il rilancio del piano casa può dare un contributo. I 50-60 miliardi di investimenti privati, ipotizzati da molti centri di ricerca tra i quali il Cresme, sono possibili. Buzzetti si attende che il governo martedì vari finalmente quel decreto che nel marzo 2009 aveva messo nel cassetto, fornendo così linee guida nazionali che consentano di unificare la normativa. Insomma, è arrivato il momento di tagliare i nodi gordiani che bloccano il rilancio edilizio. Se lo aspetta anche Marco K. che mostra, con aria depressa e disillusa, tutto il nutrito incartamento che ha messo insieme durante l'ultimo anno e mezzo. Un faldone degno di un leguleio o di un procuratore, tutto per una verandina e un paio di finestre.
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