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Per Sadun finalmente il governo punta sulla crescita

Michele Arnese

Anche dal Fondo monetario internazionale arriva un giudizio positivo sull'enfasi che il governo punta a dare alla crescita, piuttosto che congetturare di patrimoniali anti debito pubblico: “Senza entrare nel merito delle varie proposte, devo confessare che ritengo il dibattito su una patrimoniale fuori luogo, se non controproducente”, dice al Foglio Arrigo Sadun, direttore esecutivo per l'Italia del Fondo monetario.

    Anche dal Fondo monetario internazionale arriva un giudizio positivo sull'enfasi che il governo punta a dare alla crescita, piuttosto che congetturare di patrimoniali anti debito pubblico: “Senza entrare nel merito delle varie proposte, devo confessare che ritengo il dibattito su una patrimoniale fuori luogo, se non controproducente”, dice al Foglio Arrigo Sadun, direttore esecutivo per l'Italia del Fondo monetario. Paradossalmente, invece di rassicurare i mercati, “l'introduzione di una patrimoniale potrebbe innescare reazioni negative, generando timori ingiustificati sulla tenuta dei conti pubblici e sottraendo ricchezze al settore privato che invece dovrebbe utilizzarle per alimentare la crescita”, aggiunge Sadun, in questi giorni a Roma. Facile parlare di crescita, difficile innescare un processo virtuoso: “Sarebbe un grave sbaglio impostare la soluzione al problema sulla base di una serie di aiuti fiscali all'economia o sull'aumento della spesa pubblica”. Alla base della bassa crescita in Italia c'è un basso tasso di produttività, secondo Sadun: “Il problema quindi è aumentare l'efficienza dell'economia italiana, piuttosto che incrementare i fattori della produzione con provvedimenti tampone e comunque incompatibili con l'equilibrio dei conti pubblici”. Ma nel breve termine, senza misure in deficit, come si rinvigorisce la crescita? “Consistenti risultati possono essere ottenuti a costo-zero, eliminando tutti quegli ostacoli (burocratici, corporativi, etc.) che soffocano l'economia e limitano la concorrenza. Ovviamente ciò richiede l'impiego di un notevole capitale politico e di una forte leadership, giacché molti dei problemi dell'economia italiana non sono di natura economica o finanziaria ma istituzionale: derivano dalle inefficienze nella Pubblica amministrazione, nella gestione dei procedimenti giudiziari, nell'ordine pubblico, etc.”.

    Sadun apprezza l'intenzione dell'esecutivo di riformare l'articolo 41 della Costituzione, ma osserva: “Le rivoluzioni, in questo caso una vera e propria rivoluzione economica, non si fanno con i decreti. Casomai, le nuove leggi recepiscono le nuove realtà. Quindi, un'eventuale riforma dell'art. 41 dovrebbe comportare anche un drastico ridimensionamento della Pa. Questo è il segreto di quelle riforme che sono riuscite a modernizzare e rendere altamente dinamici paesi quali il Canada e la Svezia che anni fa soffrivano di alcuni dei mali che paralizzano l'economia italiana”. E' quindi con una “germanizzazione” delle politiche pro crescita e competitività – tema dello scorso e del prossimo vertice europeo – che l'Italia può scongiurare anche una crisi del debito? “I paesi virtuosi, come la Germania, sono stati in grado di superare rapidamente la crisi e agganciare la ripresa globale grazie alle profonde riforme. Il loro successo è la miglior dimostrazione che le riforme pagano!”. In mancanza di una crescita sostenuta e con un livello del debito pubblico elevato, l'Italia è esposta agli effetti della volatilità dei mercati che derivano dalla crisi del debito sovrano. Ma su questo fenomeno Sadun osserva: “Sulla crisi del debito sovrano, non sono il solo a ritenere che la reazione dei mercati negli ultimi mesi sia stata eccessiva. Certamente le difficoltà di alcuni paesi periferici sono gravi, ma superabili attraverso gli sforzi di risanamento dei governi interessati e l'aiuto della comunità internazionale”.

    I numeri però dicono che alla crescita mondiale l'Europa contribuisce poco, come afferma un recente rapporto congiunturale proprio del Fmi: “Queste valutazioni vanno messe nel giusto contesto. La crescita dell'Europa può apparire modesta, ma almeno è equilibrata e avviene insieme a un processo di consolidamento fiscale che altri paesi avanzati non hanno ancora iniziato. Insomma, la vera differenza tra i paesi avanzati non riguarda tanto i diversi tassi di crescita, come sembra suggerire l'Economist, bensì la natura della crescita”. Vuole dire che i tassi del pil non contano? “Dico che per valutare lo stato di salute di un'economia occorrono criteri quantitativi e qualitativi. La ripresa può apparire più sostenuta negli Stati Uniti che in Europa, ma in realtà sono proprio i paesi del ‘core Europe' ad avere performance più solide e politiche fiscali più sostenibili”. Si avvertono echi di ragionamenti tremontiani: “Molti osservatori, soprattutto anglosassoni, tendono a sottovalutare gli sforzi degli europei, e i risultati ottenuti, per un migliore equilibrio fiscale e una crescita più sostenibile. Al contrario, sono paesi quali gli Stati Uniti e il Giappone a essere in ritardo nell'avviare le cosiddette exit strategy, cioè politiche fiscali e monetarie necessarie per una crescita più equilibrata e sostenibile”. Prof., a queste parole mancano i numeri. Sadun allora estrae una tabellina con alcuni dati della Banca d'Italia e del Fmi dai quali si evince che nel 2012 il rapporto debito-pil in Italia sarà del 119,9 per cento, rispetto a una media dell'88,8 per cento in Europa e al 102,9 per cento negli States. Quanto al rapporto deficit-pil, le previsioni per l'Italia nel 2012 – a legislazione vigente – sarà del 3,5 per cento, rispetto a un 3,9 per cento medio dell'Europa e a un 6,7 per cento in America. Ma è un altro numero che nella tabellina di Sadun è sottolineato con evidenza: l'indicatore di sostenibilità fiscale – ossia il rapporto avanzo primario/pil necessario a stabilizzare il debito pubblico. Nel caso dell'Italia l'avanzo necessario è il 2,6 per cento, rispetto a quello medio dell'Europa (6,8 per cento) e a quello americano (14 per cento).