In azione contro gli azionisti. I pm unfit to lead Italy/ 3

C'è azionismo e azionismo, ma nessuno fu liberale e di sinistra

Angiolo Bandinelli

Gentile direttore, mi consenta, a proposito delle attuali polemiche sul Partito d'Azione – specie nella sua versione torinese – una breve nota. Pochi giorni dopo l'8 settembre 1943 io entrai nell'orbita militante di quel partito (ricevevo il giornale clandestino, Italia Libera, e lo distribuivo a scuola) e ad esso rimasi iscritto fino al suo scioglimento. Ma i miei punti di riferimento furono, appena mi divenne possibile distinguere meglio le cose, Guido Calogero e la sua interpretazione dell'opera dei fratelli Rosselli (per il cui capolavoro, “Socialismo liberale”, io scrissi – mi pare nel 1985 – una non bruttissima prefazione ad una riedizione francese).

Il Foglio.it sta pubblicando, a rotazione, reazioni d'ironia, buon umore, spirito battagliero e tanta sana tigna di parte fogliante per non darla vinta al golpismo giacobino. Aspettando il sabato di Milano (in mutande).

    Gentile direttore, mi consenta, a proposito delle attuali polemiche sul Partito d'Azione – specie nella sua versione torinese – una breve nota. Pochi giorni dopo l'8 settembre 1943 io entrai nell'orbita militante di quel partito (ricevevo il giornale clandestino, Italia Libera, e lo distribuivo a scuola) e ad esso rimasi iscritto fino al suo scioglimento. Ma i miei punti di riferimento furono, appena mi divenne possibile distinguere meglio le cose, Guido Calogero e la sua interpretazione dell'opera dei fratelli Rosselli (per il cui capolavoro, “Socialismo liberale”, io scrissi – mi pare nel 1985 – una non bruttissima prefazione ad una riedizione francese).

    Calogero e il suo “Giustizia e Libertà” erano per una forma di presenza politica che desse priorità all'azione volontaristica del singolo, nel rifiuto dei canoni e degli schemi sui quali, per dire, si logorò tanto dell'antifascismo degli esuli. L'adesione alla Repubblica spagnola fu profetica, con quel motto “Oggi in Spagna, domani in Italia”, che indicava un orizzonte internazionalista militante e generoso, attento sicuramente alla crociana “religione della libertà”: non a caso, Calogero richiama (con la sua costante esortazione al “dialogo”!) Capitini e la sua “Religione aperta”, il libro pubblicato da don Benedetto a metà degli anni 30.

    Nel Dopoguerra quelli che prevalsero furono i filoni “torinesi” o “milanesi”, bersaglio privilegiato dell'“Uomo Qualunque” di Guglielmo Giannini. Però, con tutti i meriti che quel partito ebbe nel rivendicare, per esempio, una netta rottura istituzionale tra l'Italia del fascismo e quella nata dalla Resistenza, non si può dire, come fa Ezio Mauro, che “la cifra intellettuale dell'azionismo è il tono della democrazia classica”; o che l'azionismo è stato un “liberalismo di sinistra”, una cifra che io ritengo sia storicamente acquisita per i gruppi liberali che polemizzarono e si staccarono dal Pli di Malagodi. Pur con toni e significato diverso da quelli usati da Giuliano Ferrara – che io comunque non condivido – anche quei liberali “di sinistra” avevano un po' di diffidenza nei confronti dell'azionismo intransigente. Questo, come rileva Mauro, si abbeverava ad un “gramsciazionismo” incapace di distinguere tra Gramsci e Croce, cioè di far proprie le ragioni fondanti del liberalismo più valido. Si può capire come il PdA abbia avuto tanto seguito tra gli intellettuali. Quella degli intellettuali fu una categoria ideologico-sociologica essenziale del tempo, e non a caso moltissimi di essi erano stati attratti anche dal fascismo (cfr. Primato, la rivista di Bottai) che li coltivò attentamente nella (giusta) convinzione che da loro sarebbero nate le classi dirigenti del futuro.

    Nell'Italia che io frequentavo da giovanissimo ignorante di cose politiche c'era peraltro anche il Movimento federalista di Spinelli che non mi pare avesse molta simpatia per l'azionismo, da cui veniva rimproverato di tenere buoni rapporti con il mondo cattolico e la Democrazia cristiana (quella di De Gasperi). Si poteva allora non amare l'azionismo, insomma, con ottime ragioni, utilizzando senza scandalo una categoria che perfino Ezio Mauro fa sua, quando dice che il PdA fu un “movimento fallimentare”.

    Oggi mi pare incongruo sia denunciare come residuo azionista certa cultura o mentalità intrisa di fanatico moralismo e di arroganza giudiziaria (comunque indiscutibili) sia rivendicare quelle lontane radici per condurre la polemica antiberlusconiana. Il moralismo azionista aveva alle spalle, e combatteva, il fascismo e un'Italia ingessata, il moralismo di oggi se la prende con un Berlusconi che non mi pare abbia abrogato le libertà civili. E se oggi, come denuncia De Mauro (ma non è né il solo né il primo a puntare il dito accusatore) “il cittadino è ridotto a spettatore delegante”, questo accade non per colpa solo di Berlusconi.

    Come uomo politico, anche lui è prodotto di una degenerazione della cosa pubblica che risale ben indietro nel tempo, e della quale le sinistre del Pci e del Pd sono assolutamente corresponsabili. Quanto alla sua vita privata, la detesto senz'altro: ma alle sinistre devo chiedere non un comportamento da dobermann inferociti ma un programma alternativo minimamente interessante.
    Volevo inviarle una breve nota, gentile direttore, invece mi sono dilungato anche troppo. Me ne scuso. Cordialmente.

    Il Foglio.it sta pubblicando, a rotazione, reazioni d'ironia, buon umore, spirito battagliero e tanta sana tigna di parte fogliante per non darla vinta al golpismo giacobino. Aspettando il sabato di Milano (in mutande).