In azione contro gli azionisti. I pm unfit to lead Italy/ 6

Per Ostellino la democrazia è il governo del popolo, non l'aristocrazia dello spirito

Marina Valensise

Da “vecchio liberale”, Piero Ostellino è perplesso. Anche lui ha letto sulla Repubblica Ezio Mauro che scrive di “fantasma azionista”, e denuncia la “destrutturazione dei valori civili”. E come replica non trova di meglio che “due chicche” della “Democrazia in America” del liberale Alexis de Tocqueville: “Da un lato c'è l'America: ‘Ciò che s'intende per Repubblica negli Stati Uniti d'America' scrive Tocqueville, ‘è l'azione lenta e tranquilla della società su se stessa”.

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    Da “vecchio liberale”, Piero Ostellino è perplesso. Anche lui ha letto sulla Repubblica Ezio Mauro che scrive di “fantasma azionista”, e denuncia la “destrutturazione dei valori civili”. E come replica non trova di meglio che “due chicche” della “Democrazia in America” del liberale Alexis de Tocqueville: “Da un lato c'è l'America: ‘Ciò che s'intende per Repubblica negli Stati Uniti d'America' scrive Tocqueville, ‘è l'azione lenta e tranquilla della società su se stessa. Una condizione normale fondata realmente sulla volontà illuminata del popolo”. “I repubblicani negli Stati Uniti apprezzano i costumi, rispettano le credenze religiose, riconoscono i diritti; professano l'opinione che un popolo debba essere moralmente religioso e moderato in proporzione alla sua libertà'. Poi c'è l'Europa: ‘La Repubblica, secondo alcuni di noi, non è il governo della maggioranza; è il governo di coloro che si fanno garanti e interpreti della maggioranza. Non è il popolo che dirige questa specie di governo, ma coloro che conoscono quale sia il vero bene del popolo: felice distinzione che permette di agire in nome delle nazioni senza consultarle, e di reclamare la loro riconoscenza, calpestandole'”. Fine della citazione. “E' la foto esatta del liberalismo al quale io aderisco, e della democrazia come la intendono gli europei e gli azionisti”. Ma il paradosso, insiste l'ex direttore del Corriere della Sera, “è che io sono diventato liberale grazie a Norberto Bobbio, che prima di essere azionista era un grande liberale. E quando Mauro scrive che l'azionismo è il bersaglio dell'intolleranza della destra, la sua ossessione permanente, dice un falso: i liberali non sono né di destra, né di sinistra, ma criticano l'azionismo per le ragioni indicate da Tocqueville”. Mauro è perentorio quando scrive: “La cultura azionista è ancora il nemico ideologico se propone una minoranza intransigente, praticante della religione civile che predica una ‘democrazia dello stile'”.

    “Attenzione”, risponde Ostellino. “La democrazia è il governo del popolo, non quello di un'aristocrazia dello spirito, come credono di essere il direttore di Repubblica e gli azionisti. Questo il motivo della mia ostilità all'azionismo: l'idea che il popolo sia da redimere, convertire, cambiare. Mauro insiste nel dire che il bersaglio polemico principale degli azionisti torinesi fu il qualunquismo, ma l'uomo qualunque è l'uomo della strada, è il popolo che vota. Un liberale non può essere d'accordo con chi sacralizza l'idea di élite, convinto che le masse vadano corrette; non può accettare che una pura intuizione etica venga trasformata in ideologia. Non per niente, il Bobbio pubblico nel 1956 fu quello che in ‘Politica e cultura' elogiava la pianificazione come superamento del capitalismo e dell'economia di mercato. Ma la storia ha dimostrato che la terza via, il tentativo di conciliare liberalismo e comunismo, è fallita. Quanto all'intransigenza che Mauro rivendica all'antifascismo azionista, anche i liberali la ebbero, anche loro furono antifascisti. Solo che Mauro trucca le carte quando parla di ‘un liberalismo di sinistra che rifiuta l'equidistanza tra fascismo e comunismo'. Agli occhi di un liberale, infatti, fascismo e comunismo sono entrambi ripugnanti. E insistere sull'antifascismo democratico emiplegico (e cioè antitotalitario ma non anticomunista), sostenendo che il marxismo era animato da buone intenzioni perché mirava a emancipare l'uomo, vuol dire porsi fuori dalla storia, ostinarsi a non capire la contraddizione tra mezzi e fini per insistere nell'elogio postumo volendo resuscitare una concezione del mondo fallimentare”.

    Così, morto il comunismo, la sinistra ha recuperato l'azionismo in modo acritico? “Dietro l'ideologia azionista io vedo una forte sindrome totalitaria: se il tuo vicino è un cretino da redimere, e non solo uno che ha idee diverse dalle tue, tutto è lecito. Per cacciare Berlusconi sono lecite le ragazze, le abitudini private, non serve il voto, e nemmeno il Parlamento. Ammettiamo pure che vinca questo atteggiamento da aristocrazia dello spirito (lo sono in tutto tranne che nelle parole che usano quando parlano di mascalzoni, imbroglioni, profittatori, idee al soldo dell'interesse), ma davvero credono che la società cambierà radicalmente, solo perché a governare saranno loro? Anziché ricorrere a una categoria dello spirito, meglio ammettere una crisi di astinenza da potere. Per fortuna c'è il suffragio universale. A salvarci da quest'aristocrazia e dalla sua idea di bene pubblico, sarà il popolo, col suo senso comune. In fondo, è già successo nel 1948”.

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