Un tesoro di ostacoli
“La nostra agenda è dettata, è definita dall'Europa in Europa”, così ha detto ieri Giulio Tremonti, che ha partecipato ai primi cinque minuti della conferenza stampa con la quale Silvio Berlusconi ha presentato il Piano crescita varato dal Cdm. Nessun commento sulle modalità di erogazione degli incentivi, niente sul piano per il sud, nessun riferimento agli indici di sviluppo (che il Cav. aveva individuato in “3 e 4 per cento in cinque anni”). Niente neppure sulla riforma dell'articolo 41 della Costituzione sulla libertà d'impresa.
“La nostra agenda è dettata, è definita dall'Europa in Europa”, così ha detto ieri Giulio Tremonti, che ha partecipato ai primi cinque minuti della conferenza stampa con la quale Silvio Berlusconi ha presentato il Piano crescita varato dal Cdm. Nessun commento sulle modalità di erogazione degli incentivi, niente sul piano per il sud, nessun riferimento agli indici di sviluppo (che il Cav. aveva individuato in “3 e 4 per cento in cinque anni”). Niente neppure sulla riforma dell'articolo 41 della Costituzione sulla libertà d'impresa, riforma che il ministro, secondo il Corriere della Sera, aveva commentato così: “Di questa riforma io ho già scritto in un libro, circa un decennio fa”. La conferenza stampa di Tremonti si è caratterizzata per un solo concetto declinato con chiarezza: la politica economica la fa l'Europa. Che succede? Il silenzio tremontiano, come spesso capita, diventa un caso. Il ministro dell'Economia non ha voluto aggiungere il proprio autorevole timbro al piano per lo sviluppo del presidente del Consiglio (e difatti nelle ore decisive, martedì, si trovava in Israele mentre i colleghi limavano i provvedimenti). Al contrario Tremonti è intervenuto, nei giorni scorsi, per sponsorizzare le virtù di un piano crescita che non grava sulla spesa, ma che anzi è “a costo zero”.
Le ragioni del silenzio tremontiano vengono fatte risalire, da autorevoli esponenti di governo e da alcuni membri del suo staff tecnico, a due ordini di motivi: uno è macroeconomico, l'altro è invece maliziosamente politico. I ministeri del Tesoro europei stanno in queste ore negoziando, in vista del Consiglio europeo di marzo, i dettagli di un pacchetto di misure sulla “nuova governance europea”. Le trattative, all'interno delle quali l'Italia sta giocando un ruolo di interdizione, prevedono un rapido aggiustamento del rapporto tra debito e pil dei paesi europei fino ad arrivare al 60 per cento. Una riduzione dell'eccesso di debito pari a un ventesimo l'anno, ovvero circa cinquanta miliardi annui. Il 19 gennaio scorso, in Senato, il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli, ha spiegato ai membi della commissione Bilancio la necessità di interventi antispesa e di grande rigore. Un passaggio che Tremonti – presente nel corso dell'audizione – ha voluto fosse particolarmente enfatizzato, tanto da piegarsi all'orecchio di Grilli sussurrando: “Questo concetto ripetilo, mi sa che non hanno capito”. Il ministro teme – spiegano i tecnici del suo dicastero – che le nuove regole europee passino. Per questo non ha nessuna voglia di mettere la propria faccia su un piano per la crescita che contenga provvedimenti di spesa. Eppure il piano varato dal governo è, esplicitamente, a costo zero; e malgrado ciò, il ministro e “genio dell'Economia”, si è pubblicamente defilato, fino a lasciare, ieri, soltanto un'impercettibile traccia della sua presenza in Cdm e in conferenza stampa. Perché? Nel Pdl, in queste ore troppo concentrato sulla guerra ai pm di Milano che assorbe anche le energie del premier, si fa notare che il Piano per la crescita era un punto chiave della riscossa politica del Cavaliere sotto schiaffo mediatico-giudiziario. “Se Tremonti avesse voluto aiutarlo, non lo ha fatto”. Chissà. Sintetizza Giorgio Stracquadanio: “Io non dubito della sua lealtà, ma non vorrei fosse a tempo determinato”.
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