Copritevi

A Baghdad si mostrano manichini di donna che bruceranno all'inferno per un paio di jeans

Annalena Benini

Quattro manichini di donna vestiti in abiti occidentali (ma sul genere suora laica in missione, niente di conturbante, nessun abito da sera, al massimo due maniche di camicia) con velo da cui sfuggono ciocche di parrucche bionde. In piedi su un piccolo palcoscenico con le fiamme dell'inferno e la dannazione eterna disegnate su carta, e le scritte in arabo: “Gli uomini che guardano donne vestite così diventano mostri voraci, le donne che indossano questi abiti bruceranno per l'eternità”, “Chiunque riempia i suoi occhi con il proibito, nel giorno del giudizio Dio lo riempirà di fuoco”.

    Quattro manichini di donna vestiti in abiti occidentali (ma sul genere suora laica in missione, niente di conturbante, nessun abito da sera, al massimo due maniche di camicia) con velo da cui sfuggono ciocche di parrucche bionde. In piedi su un piccolo palcoscenico con le fiamme dell'inferno e la dannazione eterna disegnate su carta, e le scritte in arabo: “Gli uomini che guardano donne vestite così diventano mostri voraci, le donne che indossano questi abiti bruceranno per l'eternità”, “Chiunque riempia i suoi occhi con il proibito, nel giorno del giudizio Dio lo riempirà di fuoco”. Sarebbe una specie di installazione artistica, in un posto qualunque (da guardare dicendo: “Molto provocatorio” con sguardo preoccupato), ma a Baghdad questo è il messaggio di una moschea in un posto dove le signore comprano vestiti, veli, burqa, ma anche cose più audaci, da mettere la sera con i mariti (in Iraq non c'è un'imposizione ufficiale sul velo).

    La foto dei manichini usati per indicare
    alle signore irachene le conseguenze del peccato e della dissolutezza è sul New York Times, e l'articolo riporta le parole di un rappresentante della moschea: “Noi abbiamo avuto questa grande idea dopo aver visto la depravazione e il modo in cui quelle si vestono e mostrano il loro corpo”. Quelle saremmo noi, europee e americane con blue jeans e gonne, golfini e giacchette, la maggior parte delle volte uscite di casa di corsa senza guardarci allo specchio. Ma in questi giorni di richiamo alla moralità si leggono cose bizzarre perfino riguardo al codice di abbigliamento che una donna italiana per bene deve osservare per non essere scambiata per una di Arcore; avviso a tutte: le autoreggenti meglio di no, ha detto l'economista Irene Tinagli al Corriere della Sera, e anche a Baghdad, all'università, si organizzano convegni per decidere gli abiti appropriati delle ragazze. “Questa è una piccola rappresentazione – ha detto orgoglioso il portavoce della moschea – per mostrare le punizioni di Dio nel caso in cui le donne indossassero quel tipo di vestiti, mostrando il seno, il sedere, il corpo”. Mostrare non significa ancora esporre, ma semplicemente non usare lo hijab, e quindi infiammare i pensieri degli uomini (un ragazzo di ventitré anni ammette: “Guardo le donne quando vedo che indossano jeans aderenti. E' uno dei problemi. Significa che il diavolo sta facendo un buon lavoro”). Le pressioni religiose per coprirsi diventano sempre più forti, le ragazze si preoccupano e dicono “Stiamo diventando come l'Iran”, perché anche spruzzarsi il profumo diventa un gesto infernale. “E' colpa della depravazione”, e la depravazione sono un paio di jeans e i capelli quasi al vento, la depravazione è la tivù che mostra le serie televisive turche, dove le ragazze hanno anche le gonne, chiara invenzione del diavolo.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.