L'unica frustata all'economia è quella costituzionale, secondo Nicola Rossi

Michele Arnese

Alle critiche, ai sarcasmi e alle accuse delle opposizioni sulle modifiche volute dal governo all'articolo 41 della Costituzione non si accoda Nicola Rossi, senatore ex pd, dal notorio spirito liberista: “Non sono un costituzionalista, ma da economista noto che specie il terzo comma dell'articolo 41 fa sorgere più di un dubbio sulla sua natura liberale”, dice in una conversazione con il Foglio

    Alle critiche, ai sarcasmi e alle accuse delle opposizioni sulle modifiche volute dal governo all'articolo 41 della Costituzione non si accoda Nicola Rossi, senatore ex pd, dal notorio spirito liberista: “Non sono un costituzionalista, ma da economista noto che specie il terzo comma dell'articolo 41 fa sorgere più di un dubbio sulla sua natura liberale”, dice in una conversazione con il Foglio. I primi due commi dell'articolo 41 non suscitano perplessità in Rossi: il primo sancisce che “l'iniziativa economica privata è libera” e il secondo che “non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. E' il terzo comma che ha una “valenza altamente interventista da parte dello stato”. “La legge – recita il terzo comma – determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Con il disegno di legge costituzionale approvato ieri dal Consiglio dei ministri – ddl ancora in fase di perfezionamento, ha detto ieri il premier Silvio Berlusconi – l'esecutivo punta a stabilire che “l'attività economica privata è libera ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale, con gli altri principi fondamentali della Costituzione o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

    Per Rossi non è solo una variazione di forma, ma anche di sostanza: “I princìpi non sono mai irrilevanti, segnalano piuttosto un cambiamento di impostazione d'impronta schiettamente liberale che potrà potenzialmente permeare tutta la legislazione”. “Rivedere gli articoli 41, 97 e 118 – aggiunge l'economista liberista – implica ridefinire il prodotto e i processi produttivi della Pubblica amministrazione. Riducendo al minimo indispensabile le sedi e i momenti dell'intermediazione e concentrandosi sui suoi compiti primari. Fra questi non ci dovrebbero essere certo le tante autorizzazioni, i tanti permessi, le tante concessioni, le tante licenze che punteggiano la nostra vita quotidiana”. Innovare la Carta, quindi, sotto questo aspetto, è positivo: “Ma non basta, non possiamo aspettare i mesi e gli anni che una modifica costituzionale potrebbe richiedere”.

    Rossi consiglia perciò “che ogni provvedimento normativo che prevede nuovi adempimenti contenga una stima degli oneri che ne derivano per le imprese e ne restituisca loro la metà, sotto forma di credito d'imposta. Comportando minori entrate, ogni provvedimento di questo genere dovrà avere la relativa copertura”. Così, spiega il senatore che la scorsa settimana è uscito dal Pd, “il ministro dell'Economia avrà una buona opportunità per cambiare nei fatti e da subito la nostra vita quotidiana”. Rossi comunque si attendeva davvero che dal governo giungesse una frustata, “ma mi sembra alla fine che ci sia stata una carezza”. Infatti l'esecutivo non ha approvato l'atteso disegno di legge per la concorrenza: “Anche se in verità non mi ero fatto illusioni dopo aver visto la controriforma dell'ordine forense approvata dalla maggioranza di centrodestra”. Così come non si entusiasma neppure per il riordino degli incentivi: “C'è di sicuro una semplificazione, ma la vera riforma sarebbe il superamento del metodo basato sull'intermediazione burocratica e politica per un sistema di agevolazioni automatiche basate su sgravi fiscali”.