"Mubarak potrebbe dimettersi entro domani"
Se islam e democrazia si sposano, i dittatori sono finiti
Il primo ministro egiziano, Ahmed Shafiq, in un'intervista alla Bbc, ha detto che il presidente dell'Egitto, Hosni Mubarak, potrebbe dimettersi nelle prossime ore. Hossan Badrawi, il segretario dell'Ndp, il partito di governo, ha annunciato un discorso pubblico di Mubarak "a breve".
Reuel Marc Gerecht è convinto che ci sia “un matrimonio tra le idee dell'islam e le idee democratiche”. L'ex uomo della Cia in medio oriente, ora senior fellow presso la Foundation for Defense of Democracies, parla con il Foglio di quel che sta succedendo in Egitto.
Il primo ministro egiziano, Ahmed Shafiq, in un'intervista alla Bbc, ha detto che il presidente dell'Egitto, Hosni Mubarak, potrebbe dimettersi nelle prossime ore. Hossan Badrawi, il segretario dell'Ndp, il partito di governo, ha annunciato un discorso pubblico di Mubarak "a breve".
Reuel Marc Gerecht è convinto che ci sia “un matrimonio tra le idee dell'islam e le idee democratiche”. L'ex uomo della Cia in medio oriente, ora senior fellow presso la Foundation for Defense of Democracies, parla con il Foglio di quel che sta succedendo in Egitto e del suo libro che uscirà a giorni, dal titolo “The Wave: Man, God, and the Ballot Box in the Middle East”, nel quale sostiene che “la promessa della democrazia per i musulmani offre qualcosa senza predecenti: l'inizio di una travolgente onda democratica i cui rivolgimenti potrebbero diventare il tema dominante della presidenza Obama”. Secondo Gerecht “i più importanti gruppi islamici oggi considerano le elezioni, e non la rivoluzione, lo strumento fondamentale di cui dispone la società per mantenere e preservare i cosiddetti ‘akhlaq', gli usi e costumi che definiscono un bravo musulmano”. Anche i fondamentalisti saranno costretti ad adattarsi, non potranno più porsi in guerra contro la comunità cercando di imporsi con la forza sull'intera popolazione. Sono obbligati a cercare una forma legittima di governo, che possa essere considerata compatibile con gli insegnamenti di Maometto. “Se la democrazia è destinata ad affermarsi nei paesi arabi – continua Gerecht, che ha di recente scritto questa tesi sul New York Times – questo avverrà perché gli arabi più devoti avranno deciso che la loro fede e il governo rappresentativo possono coesistere in armonia”.
Il pensiero corre subito ai Fratelli musulmani, che in Egitto sono forti e spaventano Israele. “Non si può ignorare o negare il fatto che la Fratellanza potrebbe riportare un grande successo alle elezioni, ben più del 15 per cento che molti le accreditano. Ma l'Egitto non diventerà un paese islamista”, dice Gerecht, e anzi l'ondata democratica arriverà anche in altri paesi. “L'Egitto è in piena trasformazione e deve confrontarsi non soltanto con l'idea generica di hurriya (libertà) ma anche con quella ben più concreta di elezioni libere aperte a tutti, donne comprese. E non credo che nessuno darà il suo voto a una nuova dittatura”. Molti in questi ultimi giorni hanno riabilitato la “freedom agenda” dell'ex presidente americano George W. Bush e la sua retorica sulla promozione della democrazia. “Bush ha dato un fortissimo impulso al dibattito sulla democrazia e i diritti in medio oriente – spiega Gerecht – In Europa però erano tutti convinti che quella politica estera producesse soltanto risultati negativi. Ma più passa il tempo più diventa difficile sostenere questa tesi. Se si considera l'evoluzione della regione dall'11 settembre 2001 a oggi, non si può fare a meno di osservare un costante approfondimento del dibattito sulla democrazia”.
E oggi che cosa può fare Barack Obama? Secondo le ultime indiscrezioni, rivelate ieri dal Los Angeles Times, l'Amministrazione non sospenderà gli aiuti all'Egitto, come si era in alcune fasi ipotizzato, e continuerà a fare caute pressioni per una transizione ordinata del potere. “Bisogna impedire che l'esercito egiziano boicotti e ostacoli ogni cosa – dice Gerecht – Appare evidente che la leadership militare egiziana ha permesso gli attacchi contro i manifestanti in piazza Tahrir. Questi attacchi non sarebbero avvenuti se i militari non li avessero autorizzati. Queste cose vanno bloccate sul nascere. L'Amministrazione Obama deve ribadire che gli Stati Uniti si attendono una transizione e che se qualcuno inizia a sabotare il processo, gli aiuti saranno tagliati. In passato, le ingenti somme date dagli Stati Uniti all'Egitto sono state poste in correlazione con il processo di pace con Israele; ora gli Stati Uniti devono confermare che d'ora in poi gli aiuti saranno messi in correlazione diretta con la promozione della democrazia”.
Il ruolo della comunità occidentale è fondamentale, ma non si potranno risolvere i problemi del medio oriente fino a quando non si sarà formata una cittadinanza capace di assumersi la responsabilità del proprio destino. “E' questo il punto decisivo – sottolinea Gerecht – L'idea che attraverso la dittatura si possa in qualche modo realizzare una sana evoluzione politica è stata smentita. Molte persone in Europa e negli Stati Uniti sono vittime di quella che io definisco ‘l'illusione di Ataturk'. La Turchia, infatti, è stato un caso particolare e unico; ma anche in questo paese si è dovuto pagare un prezzo per il laicismo autoritario. E comunque i fattori essenziali presenti nel regime di Ataturk non sono presenti nel mondo arabo”.
Mentre l'Arabia Saudita fa pressioni su Washington perché l'Egitto non cada nel caos, l'Iran sta con la piazza, cercando così di allargare la sua influenza e creare un nuovo fronte contro Israele. “Il regime di Teheran ha dimostrato di essere pronto a usare metodi brutali per reprimere l'Onda verde. Ma non credo che la leadership iraniana possa farla franca”. Secondo Gerecht, gli ayatollah dovrebbero stare attenti a schierarsi troppo con la piazza, perché anche in Iran “le pressioni democratiche si stanno facendo sempre più forti, il regime non potrà contare sulla proprià stabilità. Certo, finché avrà la capacità di eliminare o brutalizzare larghe fasce della popolazione, un regime come questo è in grado di mantenersi al potere”. Gerecht menziona a questo proposito anche il caso della Siria, dove il “nefasto governo della minoranza degli alawiti si oppone a qualsiasi forma di evoluzione politica perché questi ultimi sanno benissimo che ci rimetterebbero la pelle – i sunniti li ucciderebbero tutti”.
I leader dell'Onda verde in Iran hanno presentato richiesta per una manifestazione di solidarietà (da tenersi il 14 febbraio) a favore di tutti i movimenti popolari della regione. “Se il regime farà ancora una volta ricorso alla forza e soprattutto alla lotta di classe, raccoglierà l'appoggio delle classi più basse. Ma ha un altro problema: è considerato corrotto da tutti, compresi i poveri. Si spiega così la stranissima situazione di un uomo come Ahmadinejad che si schiera contro il regime insieme ai poveri. Ma, anche qui, il movimento più potente è quello in favore della libertà e della democrazia. Nessuno in Iran è seriamente a favore dell'autocrazia”.
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