Futuro e libertà è appena nata e già rischia la sua prima scissione

Salvatore Merlo

“Questi mi hanno davvero scocciato”. Sembra che Gianfranco Fini ieri abbia commentato così la litigata tra i suoi nuovi colonnelli, quel gruppo dirigente di Fli che in pochi giorni ha impaludato il presidente della Camera in una meccanica correntizia che ricorda tanto la vecchia An, ma in sedicesimo. Che succede? Italo Bocchino ha ottenuto il ruolo di vicepresidente del partito (praticamente un segretario), ma è contrastato dai senatori di Fli.

Leggi Che cosa odia Gianfranco Fini di Alessandro Giuli

    “Questi mi hanno davvero scocciato”. Sembra che Gianfranco Fini ieri abbia commentato così la litigata tra i suoi nuovi colonnelli, quel gruppo dirigente di Fli che in pochi giorni ha impaludato il presidente della Camera in una meccanica correntizia che ricorda tanto la vecchia An, ma in sedicesimo. Che succede? Italo Bocchino ha ottenuto il ruolo di vicepresidente del partito (praticamente un segretario), ma è contrastato dai senatori di Fli (ai quali la sua linea troppo antiberlusconiana e accentratrice non è gradita) e da Adolfo Urso, il moderato presidente della fondazione FareFuturo, uno di quelli che avevano sacrificato il proprio posto di governo per lealtà al capo, e al quale il ruolo di vicepresidente era stato promesso mesi fa.

    La politica si mescola con le ambizioni
    e le antipatie personali. Si dice che Bocchino rappresenti la linea di chi negozia con il Pd per una santa alleanza antiberlusconiana, mentre Urso sarebbe “l'àncora” che lega Fli al centrodestra. Ma non è proprio così. Perché i senatori (guidati da Pasquale Viespoli) sostengono Urso più che altro in odio a Bocchino (“per noi va bene pure Roberto Menia”). D'altra parte a Bocchino non si contesta solo l'orizzonte delle alleanze, ma una certa “spregiudicatezza nella gestione corrente”. Chissà che vuol dire. Difficile distinguere la politica dalle questioni personali. Un mix che Fini mal sopporta (“le correnti sono metastasi”). Eppure il leader di Fli è costretto a fare buon viso a cattivo gioco: se li deve tenere stretti i nuovi colonnelli. E deve pure prendere atto dei rapporti di forza delle loro correntine. Il gruppo di Bocchino è maggioranza (almeno 15 voti su 34 alla Camera), e, con i voti di Menia, non avrà difficoltà a superare le perplessità dei pochi senatori (i più scontenti, oltre a Viespoli, sono Giuseppe Valditara e Mario Baldassarri).

    La mediazione messa in campo da Andrea Ronchi pare non abbia funzionato. Salvo sorprese e rovinose defezioni, la vittoria sarà dunque di Bocchino, con Benedetto Della Vedova capogruppo alla Camera. Menia sarà coordinatore, e Urso dovrà accontentarsi di fare il portavoce (con qualche garanzia sulle presenze in tv e su nuovi investimenti per FareFuturo). Ma da quelle parti c'è chi minaccia addirittura di lasciare Fli. E il gruppo del Senato traballa. Un clima di confusione, confermato dal grottesco inserimento di Alessandro Campi nella segreteria nazionale. Campi, il politologo che ha disegnato la conversione di Fini alla “destra nuova”, un intellettuale che incarichi politici non ne ha mai voluti, è stato iscritto a propria insaputa. E non può nemmeno dimettersi, senza che esploda un altro caso.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.