Ecco perché in America Berlusconi non sarebbe giudicato da tre donne
Sembra il titolo di un celebre romanzo di Susan Glaspell, premio Pulitzer del 1931: “Una giuria di sole donne”. Saranno tre donne a giudicare il presidente del Consiglio Berlusconi sul caso Ruby. E il sospetto corre subito sul pregiudizio di genere e sulla trasformazione dei tre magistrati, anche loro malgrado, in bandiere ideologiche. Famiglia cristiana parla di “nemesi”.
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Sembra il titolo di un celebre romanzo di Susan Glaspell, premio Pulitzer del 1931: “Una giuria di sole donne”. Saranno tre donne a giudicare il presidente del Consiglio Berlusconi sul caso Ruby. E il sospetto corre subito sul pregiudizio di genere e sulla trasformazione dei tre magistrati, anche loro malgrado, in bandiere ideologiche. Famiglia cristiana parla di “nemesi”: Berlusconi ha abusato del corpo delle donne e sarà da loro giudicato.
Nella giustizia americana funziona diversamente. La composizione “fair”, corretta, del collegio giudicante è decisiva. Un mese fa la Corte suprema ha stabilito che la selezione della giuria deve avvenire pubblicamente, in modo trasparente, non a porte chiuse, essendo un “cardine della democrazia” garantito dal sesto emendamento. Il best seller di Jeffrey Abramson, “We, the jury”, analizza casi famosi in cui la composizione della giuria ha influenzato i verdetti. Razza, sesso, opinione politica, nella più grande democrazia del mondo tutto concorre alla formazione del pregiudizio della giuria. Il giudice William Young della Corte federale di Boston, terrorizzato dal processo “all'europea”, recentemente ha detto che la selezione della giuria “rappresenta il più straordinario e riuscito esperimento di sovranità popolare in tutta la storia”. Sarebbe quindi impensabile negli Stati Uniti, per giunta in un caso a sfondo sessuale, far giudicare un uomo politico da sole donne. Il giudice della Corte suprema Antonin Scalia ha scatenato battaglia nei casi in cui le corti federali hanno ammesso soltanto donne a giudicare casi di affidamento della paternità o di stupro: “Non sono soltanto stereotipi”, ha replicato secco Scalia a chi lo accusa di discriminazione delle donne. Lo ha così spiegato il portavoce dell'Associazione americana degli avvocati, Robert Sayler: “Ci sono circostanze in cui uomini e donne giudicano in maniera diversa, positivamente e negativamente”.
Sebbene dal 1994 sia formalmente vietata la discriminazione di genere nella scelta di una giuria, negli Stati Uniti è fondamentale la scelta equilibrata dei membri prima del processo con la consulenza e la supervisione degli avvocati dell'accusa e della difesa. Si arriva a un equilibrio che si ritiene garanzia di giusto processo. La politica di genere in America è pesantemente screditata dal caso di Anita Hill, che accusò di avance sessuali il giudice Clarence Thomas. Il primo caso di selezione della giuria avvenne nel 1972, quando in Pennsylvania furono processati sette disertori del Vietnam. Si passò al setaccio ogni aspetto della loro vita, perfino se fossero abbonati al Reader's Digest, quindi in odore di progressismo. Da allora sono nate società che forniscono consulenza nella selezione delle giurie. Il caso di razzismo del film “Mississippi Burning” porta alla mente la questione delle giurie bianche che devono giudicare un crimine razzista (nel 2005 si arrivò al verdetto di colpevolezza contro il Ku Klux Klan grazie a una giuria più equilibrata). E ci sono voluti due mesi per la composizione della giuria nel caso di O. J. Simpson. La scelta fu fatta sulla base di 300 domande inimmaginabili nel sistema italiano: “Qual è la sua affiliazione politica?”. “Cosa pensa del matrimonio interrazziale?”. “Ha mai corteggiato una persona di un'etnia diversa?”. “Si considera politicamente militante?”.
Alla fine si optò per una giuria composta da nove neri, un ispanico e due bianchi. Dieci donne e due uomini. Fra i candidati scartati al processo c'erano donne che avevano avuto un litigio con il fidanzato o che avevano soltanto denunciato alla polizia le violenze fra i vicini. Celebri sono state le selezioni della giuria nei casi sessuali di Kobe Bryant e Michael Jackson. Nel caso di Jackson, si arrivò a un panel di quattro uomini e otto donne, di cui sette bianchi. Otto avevano figli. Trattandosi di un caso di pedofilia era logico che non tutti i giurati avessero figli. Nel caso di offesa sessuale contro Bryant si passò al setaccio persino la grafia dei candidati. Poteva nascondere una tensione nervosa pregiudizievole.
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