La collera in Libia

Il contagio sfiora Tripoli. Ma per ora Gheddafi controlla la protesta

Carlo Panella

Almeno dieci persone sono morte ieri in Libia nella “Giornata della collera”, la protesta antiregime organizzata dai partiti di opposizione. Secondo quanto riferito da al Jazeera, sei hanno perso la vita a Bengasi e quattro ad Al Beida, sempre in Cirenaica, ma ci sono anche fonti che parlano di venti vittime: il centro della protesta è Bengasi. Ieri il primo corteo è partito dalla zona di al Barka, mentre il secondo da via al Fatah, nel quartiere di al Mujawir.

    Almeno dieci persone sono morte in Libia nella “Giornata della collera”, la protesta antiregime organizzata dai partiti di opposizione. Secondo quanto riferito da al Jazeera, sei hanno perso la vita a Bengasi e quattro ad Al Beida, sempre in Cirenaica, ma ci sono anche fonti che parlano di venti vittime: il centro della protesta è Bengasi. Ieri il primo corteo è partito dalla zona di al Barka, mentre il secondo da via al Fatah, nel quartiere di al Mujawir, dove i manifestanti hanno assaltato e incendiato una sede del Consiglio rivoluzionario. Le forze di sicurezza sono dovute intervenire anche ad Ajdabya e Zenten per fermare l'assalto a un posto di polizia, al tribunale, alle caserme della guardia popolare e a una sede dei comitati rivoluzionari. La sezione libica dei Fratelli musulmani ha condannato le cariche della polizia contro i manifestanti scesi in piazza a Bengasi e Al Beida. Pochi cortei si sono visti, invece, a Tripoli: uno è partito dal quartiere Suq al Hout e ha raggiunto la zona di al Darih, ma la piazza Verde continua a essere presidiata da manifestanti che inneggiano a Muammar Gheddafi, le cui immagini sono riproposte in continuazione dai telegiornali di stato. La crisi in Cirenaica è il pericolo più consistente per il regime e lo conferma la decisione di oscurare Internet e di bloccare il servizio si sms, come già fece il governo egiziano nei primi giorni della rivolta di piazza Tahrir.

    Per il momento, Gheddafi non pare intenzionato a far scendere in strada i suoi sostenitori – che non sono pochi – per affrontare i cortei antiregime. La mossa innescherebbe un clima da guerra civile. Questa crisi ha già aperto una spaccatura nel clan del colonnello. Secondo il quotidiano Quirina, che appartiene a un figlio di Gheddafi, Seif al Islam, lunedì ci sarà una riunione urgente del Congresso generale del popolo “per adottare riforme in tema di decentralizzazione e sostituire alcuni ufficiali del governo”. E' un messaggio abbastanza esplicito al capo del governo, al Baghdadi Ali al Mahmoudi, che capeggia la componente più conservatrice del regime. Alcune voci danno per possibile il ritorno di Abdessalam Jallud, l'inseparabile vice di Gheddafi dal 1969 all'agosto del 1993, quando fu bruscamente allontanato da ogni responsabilità politica. Da allora non si hanno notizie certe sulla sua sorte. Alcuni, lo scorso ottobre, hanno detto che sarebbe rientrato nel governo, la notizia è stata smentita ma oggi riprende a circolare: non si comprende se questo clamoroso rientro avvenga in accordo con Seif al Islam – cosa che pare improbabile – o per dare prestigio, soprattutto nelle Forze armate, all'ala conservatrice.

    L'evoluzione della crisi libica ripercorre le stesse tappe di quella tunisina e di quella egiziana, con proteste sempre più forti e violente. Qui l'effetto contagio è ancora più rilevante, data la pressione delle forze di polizia e la pervasività dei servizi segreti. Un altro elemento di questa fase è l'apatia dell'Unione europea, del tutto chiara dopo che il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, non ha accolto l'invito del premier italiano, Silvio Berlusconi, che chiedeva una riunione urgente sull'emergenza immigrati. Se dopo la diga tunisina cadrà anche quella che contiene l'emigrazione clandestina in Libia, la situazione del Mediterraneo diventerà ingovernabile. Il commercio di uomini fa parte delle  tradizioni dei paesi arabi del Maghreb, che per secoli sono stati l'unica struttura portante del mercato degli schiavi.

    A duecento anni dalla fine dello schiavismo
    , quelle stesse carovaniere sono percorse oggi dagli emigrati in arrivo dalle zone di carestia e di povertà, sollecitando questo nuovo “mercato” e fornendogli una nuova struttura. E' quindi certo che in questi giorni si stiano organizzando nuove carovane dirette le spiagge tunisine, egiziane e libiche. L'Europa rifiuta di prenderne atto, così come rifiuta di elaborare un piano B a fronte del crollo della stabilità dei regimi arabi, che sono punto di forza di tutte le sue strategie per il medio oriente.