Trenta minuti
L'incubo di Lara Logan, inviata della Cbs News per “60 Minutes” è cominciato durante i festeggiamenti per le dimissioni di Mubarak a piazza Tahrir, al Cairo. Piazza libertaria, euforica, democratica, ma in duecento hanno separato dal gruppo la bella, bionda, bianca e famosa giornalista americana (nata in Sudafrica) che stava facendo il suo lavoro, due bambini piccoli a casa ad aspettarla, e l'hanno picchiata e violentata.
L'incubo di Lara Logan, inviata della Cbs News per “60 Minutes” è cominciato durante i festeggiamenti per le dimissioni di Mubarak a piazza Tahrir, al Cairo. Piazza libertaria, euforica, democratica, ma in duecento hanno separato dal gruppo la bella, bionda, bianca e famosa giornalista americana (nata in Sudafrica) che stava facendo il suo lavoro, due bambini piccoli a casa ad aspettarla, e l'hanno picchiata e violentata (non si è ancora parlato di stupro, ma di un “violento e sostenuto attacco sessuale”) per venti minuti, forse mezz'ora, gridandole: “Ebrea! Ebrea!” (secondo il racconto del New York Post), finché un crocchio di donne e venti soldati egiziani l'hanno salvata dall'orrore. L'orrore, per Lara Logan, che adesso è in America, appena dimessa dall'ospedale, non potrà passare. E non si è fermato nemmeno nelle parole dei commentatori: il giornalista ultra liberal Nir Rosen ha scritto di lei, che è stata inviata di guerra anche in Iraq e in Afghanistan ed era a Bahgad quando buttarono giù la statua di Saddam Hussein: “Gesù Cristo, mentre viene glorificata come martire possiamo ricordarci almeno il suo ruolo di guerrafondaia?”, poi ha dubitato che fosse stata davvero oggetto di violenza, ha fatto qualche battuta di spirito, infine ha chiesto scusa per la propria insensibilità.
La radio pubblica americana ha dovuto rimuovere molti commenti contro Lara Logan e ristabilire le regole dei post (niente attacchi personali, niente oscenità), perché la misoginia non può fermarsi neanche davanti a una donna sola in mano a un branco di assatanati. Lara Logan è una tipa spericolata, a cui spaccarono i denti a Baghdad e lei se ne tornò a casa sanguinante ma con il pezzo in mano, e la sua ex capa di Washington dice che probabilmente vorrà ritornare in prima linea ma non deve, perché potrebbe essere diventata un bersaglio e deve pensare ai suoi bambini. In quella piazza che esplodeva di felicità e aspettative anche femminili, con il nostro composto ma commosso tifo da casa, Lara Logan era l'irresistibile e odioso simbolo della donna occidentale: libera, non sufficientemente modesta, e perfino bellissima (è un'ex modella e ha sposato un contractor texano incontrato in Iraq, prima era stata sposata a un giocatore di baseball). Poco tempo prima lei e la sua troupe erano stati assaliti al grido di “spie israeliane”, imprigionati e interrogati anche violentemente.
Lara Logan sapeva di rischiare molto ma non voleva mollare, diceva: “E' veramente difficile per me stare lontano da questa faccenda, lo sento come un fallimento professionale: questa storia ce l'ho nel sangue e una parte di me sente che è insano, ma l'altra parte di me ha preso la decisione ponderata e razionale, con i miei compagni di squadra, di tornare in Egitto”. Lei, che non è ebrea, è stata violentata (anche) in nome dell'estremismo religioso. Nella foto che vedete, scattata pochi minuti prima di essere sequestrata da duecento persone, sta osservando il giorno della libertà. Ma la libertà è lontana, e la strada per la vera rivoluzione è ancora lunghissima.
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