Il mio cuore umano

Annalena Benini

Se quel corpo senza più corpo che abbiamo visto in fotografia fosse davvero il suo, significherebbe che Steve Jobs sta per essere inghiottito dai vestiti. Sta per dissolversi dentro i jeans e le scarpe da ginnastica con cui ha ribaltato il mondo, e camminato sui palchi per comunicarci il suo credo. Per esortarci a essere, come lui, affamati e folli. Quando stava bene, erano bermuda cortissimi, sandali e maglietta. Un francescano. Poi il lupetto nero, e la cintura perché i jeans cadono quando si dimagrisce troppo.

Leggi Il culto di Jobs di Stefano Pistolini

    Se quel corpo senza più corpo che abbiamo visto in fotografia fosse davvero il suo, significherebbe che Steve Jobs sta per essere inghiottito dai vestiti. Sta per dissolversi dentro i jeans e le scarpe da ginnastica con cui ha ribaltato il mondo, e camminato sui palchi per comunicarci il suo credo. Per esortarci a essere, come lui, affamati e folli. Quando stava bene, erano bermuda cortissimi, sandali e maglietta. Un francescano. Poi il lupetto nero, e la cintura perché i jeans cadono quando si dimagrisce troppo. Alla rivoluzione non servono giacche e cravatte, e gli artisti fanno un po' come gli pare. Steve Jobs è un artista, un rivoluzionario, un inventore, e un neonato adottato, ma solo dopo la promessa formale alla madre naturale che, qualunque cosa fosse successo, l'avrebbero mandato all'università. Lui ci andò e si annoiò, la lasciò subito e cominciò a creare. Non solo tecnologia desiderabile e oggetti di culto, ma soprattutto un nuovo culto, la religione di Steve Jobs.

    Essere come lui: in ciabatte, in t-shirt, semplici come una mela, anzi nudi. “Siete già nudi – disse Steve Jobs ai neolaureati di Stanford – non c'è un motivo per non seguire il vostro cuore”. Non un percorso ragionevole, una strada sensata, un bel vialetto tranquillo, ma il cuore. Correre dietro a quello che ce lo fa battere, l'unica cosa per cui, spiega Jobs ai seguaci e agli affascinati, si riesce a vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo (perché prima o poi avremo ragione, e sarà davvero l'ultimo). Tutto il resto scompare: serve soltanto il cuore, e la fame. Per Jobs la morte è quel che spazza via il vecchio per far posto al nuovo, quindi bisogna sbrigarsi, fino a che si è ancora un po' nuovi: senza vivere la vita di un altro, senza perdere tempo a farsi il nodo alla cravatta, se non è la cravatta che abbiamo in mente.

    Se il corpo umano di Steve Jobs dovesse ridursi a un lupetto nero senza più un cuore dentro, se la sua battaglia contro la malattia dovesse essere l'unico fallimento di una vita grandiosa, cosa resterebbe di lui, oltre ai corpi che ha creato, oggetti da toccare che illuminano anche i bambini perché sono stati pensati con la nudità di un bambino? Resterebbe la lezione, anzi il culto di Jobs. Lui ride dei toni messianici con cui lo descrivono i giornali, ma cammina avanti e indietro, muove le braccia come fossero ali, appare e scompare, e quando riappare racconta che a volte la vita ti colpisce come un mattone in testa, ma che per il resto bisogna essere liberi, oppure liberarsi. Perché da un momento all'altro si può scomparire.

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    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.