La Prof. Mastrocola propone di non studiare per salvare la cultura
Paola Mastrocola, insegnante di Lettere in un liceo scientifico e scrittrice, pensa a una fuga verso la libertà. Un mondo dove i ragazzi siano felici perché hanno potuto scegliere di cosa davvero vogliono occuparsi. Studiare Torquato Tasso o diventare una guardia forestale, inventare un nuovo computer o leggere Tolstoj (sarebbe bellissimo che le due cose potessero andare a braccetto, a volte succede).
Paola Mastrocola, insegnante di Lettere in un liceo scientifico e scrittrice, pensa a una fuga verso la libertà. Un mondo dove i ragazzi siano felici perché hanno potuto scegliere di cosa davvero vogliono occuparsi. Studiare Torquato Tasso o diventare una guardia forestale, inventare un nuovo computer o leggere Tolstoj (sarebbe bellissimo che le due cose potessero andare a braccetto, a volte succede, ma più spesso davanti al liceo la mattina ci sono studenti tristi, con i capelli stanchi e i brufoli apatici, la vita appesantita dal dovere di studiare l'“Edipo Re”, per poi fare scena muta all'interrogazione e prendere 4). Paola Mastrocola insegna al biennio della scuola superiore, e su venticinque alunni usciti dalla terza media due al massimo prendono la sufficienza al test d'ingresso, che non è tradurre Tacito, ma scrivere frasi in italiano corretto con la punteggiatura giusta (la sera guardo mia figlia di quasi cinque anni scrivere il suo nome sull'iPad, e il piccolino fare i puzzle sempre sull'iPad e colorare con il touch screen, prevedo che non sapranno mai tenere una penna in mano, ma nemmeno allacciarsi le scarpe).
In questo ultimo libro, “Togliamo il disturbo” (Guanda, 17 euro), un saggio sconsolato ma ottimista, Paola Mastrocola scrive una cosa chiara: “Sono stanca di avere davanti a me ragazzi infelici, che non vorrebbero fare quel che sono costretti a fare, e non vorrebbero essere lì dove noi li costringiamo a essere”. Racconta che un giorno in classe ha chiesto ai suoi allievi: vi piacerebbe se all'interno del vostro corso di studi fossero previsti ogni tanto degli stage lavorativi, dei periodi in cui andate a provare un lavoro, pizzaiolo, meccanico, fotografo?, e finalmente i loro occhi si sono illuminati, e anche quelli che stavano sempre zitti sono usciti con un fiume di parole. “Io temo davvero che abbiamo imprigionato i nostri ragazzi, con un'idea che era pur buona ma che abbiamo estremizzato, e snaturato. Credo che la follia iperegualitarista di volerci ad ogni costo tutti uguali abbia creato questa massa infinita di giovani ‘forzati' e snaturati che ci sta di fronte. Liberiamoli!”. Liberi di non studiare Petrarca, di scegliere la vita giusta per sé. Tre tipi di scuole: una per il lavoro, una per la comunicazione (multitasking, problem solving, cooperazione, flessibilità), e una per lo studio (“quella per gli albatros, isolati, diversi, portati allo studio e negletti”, con la speranza che la scelgano in tanti e che la cultura non abbandoni la nostra vita). Non un enorme liceo-carrozzone a chiazze, ma la possibilità di scegliere. Il problema sarebbe, poi, solo saper scegliere. Che è la cosa più difficile, la responsabilità più grande, il coraggio che bisogna tirar fuori per non mescolarsi alla folla.
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