Ripresi i bombardamenti sui manifestanti

Il grande fuoco di Tripoli

Carlo Panella

Da Tripoli arrivano inequivocabili segnali di una “finis imperii”. La repressione del regime di Muammar Gheddafi è violentissima, ma la rivolta è stabilmente passata da Bengasi, città mai domata dal rais, alla capitale.

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    Secondo la tv araba al Jazeera sarebbero ripresi i bombardamenti sui manifestanti che chiedono la fine del regime di Moammar Gheddafi. Sarebberp centinaia i morti nella città di Tripoli. Il colonnello è apparso questa notte per pochi secondi in tv per smentire le voci secondo cui era fuggito in Venezuela o in Francia. Oggi, alle 15 ora italiana, il Consiglio di sicurezza dell'Onu discuterà della crisi libica. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha annunciato l'avvio del rimpatrio dei nostri connazional.

    Da Tripoli arrivano inequivocabili segnali di una “finis imperii”. La repressione del regime di Muammar Gheddafi è violentissima, ma la rivolta è stabilmente passata da Bengasi, città mai domata dal rais, alla capitale. I palazzi del governo sono in fiamme. Ieri gli elicotteri e i caccia militari si sono alzati in volo e hanno sparato sulla folla. Il ministro della Giustizia, Mustafa Mohamed Abud al Jeleil, si è dimesso “per l'eccessivo uso della violenza contro i manifestanti”. Il suo annuncio è stato preceduto da quello del rappresentante libico presso la Lega araba: tutti e due erano fedelissimi di Gheddafi.

    E' dunque fallito il tentativo del figlio del colonnello, Seif al Islam, il cosiddetto “riformista” che ha letto domenica un comunicato durissimo in cui auspicava le dimissioni del governo conservatore di al Baghdadi Ali al Mahmoudi a patto che la rivolta si fermasse. In caso contrario, la repressione sarebbe stata feroce. L'altro figlio del rais, Khamis, continua a far sparare sui manifestanti. Aumentano anche le voci di un golpe militare che si preannuncia cruento e che potrebbe anticipare una guerra civile.
    La dinamica della crisi libica è molto diversa da quella tunisina ed egiziana. L'esercito libico non si è comportato in modo unitario, ma si è diviso per vie tribali e politiche. La parte fedele a Gheddafi è intervenuta in Cirenaica, sparando contro i manifestanti di Bengasi, Beida e di altre città, arrivando addirittura a tirare granate sulla folla o a falciare con il tiro dei cecchini un corteo funebre. Questi reparti antisommossa sono sotto il comando di Khamis Gheddafi, a dimostrazione che questo clan familiare “di prima generazione” è di ben altra tempra rispetto a quelli di Hosni Mubarak e di Ben Ali, divenuti “dittatori per caso”, che avevano i figli nei consigli di amministrazione, non certo nell'esercito.
    Un'altra componente dell'esercito, invece, non ha obbedito agli ordini di sparare sulla folla e si è ammutinata. Secondo fonti locali – che, però, non possono essere verificate – i reparti formati da quattro tribù libiche stavano marciando su Tripoli ieri sera. L'esercito libico è una macchina che non si può comprendere facilmente. La struttura tribale è ancora la sua principale forma di organizzazione, con tradizioni claniche millenarie, rese ancora più difficili dall'appartenenza a diverse confraternite religiose.

    L'esercito libico è strutturato anche formalmente su base tribale, con una gerarchia che vede al vertice i membri della tribù Qhadafa di Sirte – come si comprende dal nome, è quella di Gheddafi – che sono gli unici che possono accedere all'aviazione, e in posizione di fronda gli alleati della tribù Maghariba, un tempo colonna del regime e ora all'opposizione.

    I Maghariba erano associati al potere fino a quando Gheddafi, nel 1993, emarginò il proprio braccio destro, Abdessalam Jallud, suo principale esponente. Da allora i Maghariba si sono alleati con la tribù Warfalla e con le tribù Zintan, Tebu, Furjan e Zawhiya – che è strategica perché controlla larga parte dell'estrazione dei campi petroliferi che sono nel suo territorio e già minaccia di fermare le pompe – nell'appoggiare la rivolta.

    Da domenica in poi, mentre i capi di queste tribù via via si esponevano in dichiarazioni contro Gheddafi, i vari reparti a loro collegati si sono schierati con i rivoltosi. Pare che a Bengasi questi reparti, assieme a quelli della polizia, con una sorta di anteprima cruenta di guerra civile, siano riusciti a scacciare dalla città gli agenti antisommossa di Khamis Gheddafi, una specie di legione straniera composta da ciadiani innanzitutto, poi da egiziani, tunisini, mauritani e algerini che Gheddafi ha organizzato nel corso degli ultimi decenni per sostenere la guerra nel confinante Ciad e per tentare golpe un po' ovunque (l'ultimo in Mauritania). I reparti speciali si sono macchiati delle peggiori nefandezze in questi giorni, tanto da motivare ancora di più la decisione di alcuni generali di tentare il colpo di forza contro Gheddafi. Tentativo, secondo al Jazeera, che sarebbe guidato addirittura dal capo di stato maggiore, il generale El Mahdi el Arabi.

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