Donne nude
Tutti abbiamo ritagliato, fotocopiato, appiccicato su muri, frigoriferi e scrivanie le vignette di Altan (fra le altre, possiedo: “Io non sono stronzo”. E l'altro, di rimando: “Negazionista eh?”), tutte abbiamo, a rotazione, lo sguardo a mezz'asta delle signore di Altan: annoiate e sagge, rassegnate, beffarde, superiori, un po' depresse e nude. Qui, dove si pratica il culto di Vincino, insuperabile romanziere del disegno satirico, si vuole omaggiare anche l'ultima raccolta di vignette di Altan.
Tutti abbiamo ritagliato, fotocopiato, appiccicato su muri, frigoriferi e scrivanie le vignette di Altan (fra le altre, possiedo: “Io non sono stronzo”. E l'altro, di rimando: “Negazionista eh?”), tutte abbiamo, a rotazione, lo sguardo a mezz'asta delle signore di Altan: annoiate e sagge, rassegnate, beffarde, superiori, un po' depresse e nude. Qui, dove si pratica il culto di Vincino, insuperabile romanziere del disegno satirico, si vuole omaggiare anche l'ultima raccolta di vignette di Altan, “Donne nude” (Longanesi), manifesto femminile sostenibile.
E' lo sguardo maschile che ci meriteremmo, ed è crudeltà quotidiana, è la scoperta che siamo tutti vignette. C'è la ragazza pensierosa: “I tempi sono cambiati: adesso siamo post-madonne o post-puttane”, c'è la bimbetta che chiede alla mamma: “Son nata col parto indolore?”, e quella guarda altrove e risponde: “Sì. Ne approfitto per ricordarti che è l'unica soddisfazione che mi hai dato, a tutt'oggi”, c'è il marito entusiasta con cappello da cuoco: “Oggi cucino io!”, e lei, borsetta al braccio: “E io mangio leggendo la Gazzetta e poi faccio i rutti?”. Le signore di Altan hanno l'ultima parola e la presa sul mondo anche quando stanno girando il sugo ai fornelli con una retina in testa: “La globalizzazione mi fa sentire piccolo, fragile e impotente”, dice il marito, molto fiero del proprio pensiero profondo e pessimista. E lei, senza smettere di girare il sugo, ma con un sorrisetto da Gioconda: “A qualcosa è servita”.
Nell'immobilità della vignetta c'è tutto il movimento possibile, lui che si siede e lei che prepara la cena, lui che commenta il telegiornale e lei che lo ascolta con un orecchio solo, lui in pigiama al mattino che le dice: “Buondì, Luigia”, e lei che spalma marmellata sul pane e lo guarda: “Sei ricaduto nel tuo stato di risveglio apparente?”, con le palpebre a metà, con la bocca a cuore, con le tette al vento, con il disfattismo cosmico che circa una volta al giorno compare almeno nei pensieri segreti: “Basta: usciamo dall'Europa e andiamo tutti alle Maldive”, e anche: “Non mi ricordo più se veniamo prima dei disoccupati e dopo i giovani o tra il mezzogiorno e i pensionati”. Certe volte le ragazze di Altan sembrano Dorothy Parker (“Nel dubbio, sopravvivo: tanto se non lo facessi io, lo farebbe qualcun altro”), spesso sono come Amanda di Sex and the City, ma tendenza Cipputi: lui che torna dal lavoro, la trova a letto con un altro e le chiede, senza scomporsi: “E' il tuo amante?”, “Non è ancora detto: ci sarà un ballottaggio con un certo Fusazzi”, risponde lei sorridendo.
Ma soprattutto sono le risposte che vorremmo dare, le cattiverie che ci attraversano la mente, le umiliazioni che non abbiamo mai cuore di infliggere (“Ho perso la passione per la politica”, dice il nasuto a letto, “Anche”, commenta lei guardandolo di sbieco, e all'amica che le chiede: “Come va con la pillola del giorno dopo?”, risponde: “Il giorno dopo cosa?”). Non è consolante, ma lo è moltissimo, è come per i bambini quando guardano la Pimpa, tranne quella irripetibile e meravigliosa spensieratezza. Ogni tanto bisogna ristabilire la verità, come quando gli uomini ridacchiano imbarazzati leggendo: “So allacciarmi le scarpe, cucinare un uovo e sostituire una lampadina”. “Cazzo, un vero statista”.
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