Non solo canzonette
Qui nelle caverne della struttura Delta di cui racconta ogni giorno Repubblica, impegnati a ordire complotti per propiziare atti sediziosi e mettere a punto la controffensiva violenta (op.cit.), era colpevolmente mancato il tempo per sabotare il Festival di Sanremo. Abbiamo sottovalutato la forza eversiva e il valore civile del televoto (io in realtà ho provato a oppormi, mandando sms per Giusy Ferreri e comprando la canzone su iTunes, ma non è bastato).
Qui nelle caverne della struttura Delta di cui racconta ogni giorno Repubblica, impegnati a ordire complotti per propiziare atti sediziosi e mettere a punto la controffensiva violenta (op.cit.), era colpevolmente mancato il tempo per sabotare il Festival di Sanremo. Abbiamo sottovalutato la forza eversiva e il valore civile del televoto (io in realtà ho provato a oppormi, mandando sms per Giusy Ferreri e comprando la canzone su iTunes, ma non è bastato). L'anno scorso aveva vinto Valerio Scanu, quello di “far l'amore in tutti i modi, in tutti i luoghi, in tutti i laghi”, e nessuno aveva ritenuto di accostarlo a Martin Heidegger o a Benedetto Croce (erano arrivati secondi Emanuele Filiberto e Pupo con “Italia amore mio”, e si era detto che il Festival meritava di scomparire per sempre), ma adesso è cambiato tutto: Roberto Vecchioni è stato citato da Barbara Spinelli, con virgolettati e analisi politico-profetiche della canzone vittoriosa “Chiamami ancora amore”, e il Festival di Sanremo è diventato il simbolo dell'Italia che resiste. “Punti di luce in una chiusa camera oscura”, paragonabile alle canzoni di Biermann nella Germania est o di Lounes Matoub ucciso nel '98 in Algeria, ha scritto Barbara Spinelli, e Roberto Vecchioni ieri mattina deve aver fatto qualche scongiuro. Adesso la piazza di Tripoli è niente in confronto a Sanremo e “questa maledetta notte dovrà pur finire” estende, secondo Barbara Spinelli, “il senso di abitare una notte: d'inganni, cattiveria, sfruttamento sessuale di minorenni”.
“C'è qualcosa, nel successo strappato a Sanremo dalla canzone di Vecchioni, che intrecciandosi con altri episodi recenti ci consente di vedere con una certa chiarezza lo stato d'animo di tanti italiani: qualcosa che rivela una stanchezza diffusa nei confronti del regime che Berlusconi ha instaurato 17 anni fa, quando pretese di rappresentare la parte ottimista, fiduciosa del paese”. Per chi ama le canzonette ma fino a oggi doveva fingere di non guardare il Festival perché sottraeva tempo alla “Critica della ragion pura” e anzi era il segno di rozzezza intellettuale, di regime, di berlusconismo strisciante e di distanza dalla Mitteleuropa, questa è davvero una rinascita, ed è bello non doversi più vergognare: mi sento a questo punto libera di confessare di avere votato, invano, ma è il bello della democrazia, anche per Luca Barbarossa e Raquel del Rosario. Il prossimo passo sarà la magnificazione di Miss Italia e di Centovetrine, poi del pomeriggio di Barbara D'Urso, ma intanto, per festeggiare la nuova egemonia culturale, vorrei dire che questa non era esattamente la migliore canzone di Roberto Vecchioni (il quale ha dichiarato a Domenica In di avere fatto sempre scelte piuttosto intellettuali, infatti mi ricordo un Festivalbar vinto da lui con “Voglio una donna”, in cui cantava: “Prendila te quella col cervello, che si innamori di te quella che fa carriera, quella col pisello e la bandiera nera, la cantatrice calva e la barricadera, che non c'è mai la sera”). Meglio “Luci a San Siro”, “Samarcanda”, “L'ultimo spettacolo”, “Piccolo amore”, “La mia ragazza”, “Ninni”, “Mi manchi”, “Milady”, “Per amore mio”, “Blumùn”, “Stranamore”, “Velasquez”. Se, per dirla sempre con Vecchioni, vogliamo giocarci il cielo a canzonette, bisogna studiare di più, e fare tardi ma non per leggere Kant.
Il Foglio sportivo - in corpore sano