La Big Society secondo Lord Wei

Il nuovo modello sociale che serve all'occidente

Giulia De Matteo

“Mai dubitare del fatto che un piccolo gruppo di persone consapevoli e attente possa cambiare il mondo: è sempre stato l'unico modo per farlo”, diceva Margaret Mead e rilancia oggi Lord Nat Wei al convegno organizzato dalla Fondazione Roma sul tema “Big society: una grande opportunità per la società civile”. Il giovane membro della House of Lord e Chief Adviser della Big Society per il governo inglese è l'aprifila della squadra messa insieme dal premier, David Cameron, per portare avanti la realizzazione della Big Society.

    “Mai dubitare del fatto che un piccolo gruppo di persone consapevoli e attente possa cambiare il mondo: è sempre stato l'unico modo per farlo”, diceva Margaret Mead e rilancia oggi Lord Nat Wei al convegno organizzato dalla Fondazione Roma sul tema “Big society: una grande opportunità per la società civile”. Il giovane membro della House of Lord e Chief Adviser della Big Society per il governo inglese è l'aprifila della squadra messa insieme dal premier, David Cameron, per portare avanti la realizzazione della Big Society: l'ambizioso progetto di devolvere alla società civile i compiti che lo stato non è più in grado di assolvere. “L'idea sottesa al welfare state era quella di migliorare le cose, ma adesso la popolazione sta invecchiando, i progetti sociali sono costosi e il potere si sta spostando a est del mondo: serve una nuova destinazione, dobbiamo andare oltre lo statalismo, devolvendo il potere delle istituzioni ai gruppi sociali”, ha premesso Wei. Si aggiunge anche la sfiducia nella classe politica che pervade l'Occidente e c'è la convinzione che siano le persone, se dotate di strumenti adeguati, e non la politica a risolvere i problemi.

    L'idea dunque è semplice: abbandonare un approccio top down nella gestione dei servizi pubblici per passare a una wikisociety, in cui ogni cittadino sia partecipe e artefice della costruzione del bene comune. In questa prospettiva occorre abbandonare le categorie pubblico-privato e avviarsi per una terza via in cui i protagonisti sono gli “imprenditori civici”, persone cioè che si attivano per realizzare ciò che è utile alla comunità. Il ruolo dello stato è sostenere e favorire questa iniziativa, in primis bucando la ragnatela burocratica che attualmente incastra e rallenta le iniziative del terzo settore e adeguarlo; in secondo luogo occorre pensare nuovi strumenti finanziari. Una prima mossa in questa direzione è la creazione della Big Society Bank: un fondo in cui convergono le risorse per le associazioni, le organizzazioni e i gruppi che avviano iniziative imprenditoriali di carattere sociale.

    Mettendosi gli occhiali di un inglese l'Italia è già a metà strada
    rispetto alla meta Big Society. “Il vostro paese ha già numerosi esempi di iniziativa privata per il sociale. Ma soprattutto da voi è molto forte il collante famigliare, che è il primo motore per avviare una logica di cooperazione privata per la risoluzione di problemi della collettività. Da noi questo manca, molte persone vivono da sole – dice Wei, che insiste – Occorre ripartire dal livello locale per riconquistare la dimensione globale. Le persone possono avere una migliore comprensione di quello che succede a livello locale rispetto a una gestione centralizzata. Bisogna conferire più poteri agli enti locali, alle organizzazioni di vicinato: se un quartiere vuole una scuola perché non può farla? E' un rischio ma ce ne bisogno!”. Internet può essere una grande risorsa per mettere in collegamento le persone, favorire il confronto sulla gestione dei problemi, e incentivare la partecipazione.

    Ci vorranno anni perché questa inversione di rotta voluta da Cameron possa incarnarsi nella convivenza umana e soprattutto perché possa trasformare il primato del pubblico sul privato in un rapporto circolare di sostegno reciproco nel compito della convivenza. Il timone è piccolo rispetto a una nave che da secoli procede verso una centralizzazione del potere statale a scapito dei corpi intermedi, ma la capacità di tenuta dei bilanci pubblici dei maggiori paesi occidentali è messa a dura prova e l'idea di Cameron “E' una formula che può funzionare” a detta di Emmanuele F. M. Emanuele, presidente della Fondazione Roma.