La liberazione della Libia

Luigi De Biase

E' possibile che una coalizione militare intervenga in Libia per fermare gli scontri tra gli uomini rimasti con Gheddafi e i ribelli? Che cosa accadrebbe se l'esercito americano, insieme ad alcuni alleati europei, sbarcasse a Tripoli e prendesse il controllo del paese?

Leggi La controffensiva di GheddafiLeggi Ecco gli interlocutori e gli ambiti su cui investire per un Piano Marshall che cominci subito - Leggi tutti gli articoli sulla crisi in Libia

    Nelle strade di Tripoli, a poche miglia di mare dalle coste italiane, l'esercito della Libia combatte contro i ribelli che vogliono rovesciare il loro rais, Muammar Gheddafi. Per le fonti locali ci sono migliaia di morti, e l'Europa teme l'esodo di un milione e mezzo di migranti. E' possibile che una coalizione militare intervenga in Libia per fermare gli scontri tra gli uomini rimasti con Gheddafi e i ribelli? Che cosa accadrebbe se l'esercito americano, insieme ad alcuni alleati europei, sbarcasse a Tripoli e prendesse il controllo del paese? Per rispondere a queste domande, e per ipotizzare uno scenario, il Foglio ha discusso con quattro esperti che hanno affrontato situazioni simili in diverse parti del mondo: Gianandrea Gaiani, direttore della rivista Analisi e Difesa ed esperto militare di questo quotidiano; Roberto Martinelli e Luciano Piacentini, due generali dell'esercito italiano; e Nino Sergi, segretario dell'organizzazione umanitaria InterSos.

    Primo: per chi si combatte
    Piacentini dice che l'ipotesi di una guerra civile dovrebbe essere affrontata da una “forza di interposizione” capace di dividere le parti in lotta. La missione agirebbe su mandato delle Nazioni Unite, con regole di ingaggio molto precise. Meglio, ma non sarebbe facile, se fosse composta da eserciti di paesi arabi, o comunque musulmani. “La presenza di occidentali potrebbe essere usata per alimentare uno scontro di civiltà”, dice il generale. Martinelli esclude la possibilità di un intervento della Nato: nessun paese dell'Alleanza atlantica è direttamente coinvolto in questa guerra. Ma pensa che l'Onu potrebbe girare l'incarico a una coalizione internazionale, guidata magari dall'esercito americano. Potrebbe essere un modo valido per rispondere all'emergenza in tempi rapidi, per arginare il pericolo terrorismo e per fermare il traffico di profughi diretti in Europa.

    Secondo: come si costruisce un esercito
    La forza potrebbe essere composta da diciotto o ventimila uomini, un numero sufficiente per coprire in modo adeguato l'intera costa della Libia, che è lunga quasi duemila chilometri. Il contingente comprenderebbe soldati americani, britannici, francesi, greci, e turchi. E naturalmente italiani. Il comando della missione dovrebbe essere affidato a un generale a tre stelle americano, ma la base logistica migliore è la Sicilia.
    In Sicilia ci sono installazioni militari di prim'ordine, come l'aeroporto di Comiso e la base di Sigonella, che ospita la Sesta flotta della marina americana, spiega Martinelli, non c'è posto migliore per il comando logistico arretrato. La presenza del quartier generale non esporrebbe l'Italia al rischio di ritorsioni. Almeno dal punto di vista militare. “La differenza negli armamenti fra noi e Tripoli è enorme. Nessun missile libico potrebbe arrivare in Italia. Il rischio, semmai, sarebbe il terrorismo”. In questa missione immaginaria, il governo dovrebbe mettere a disposizione tre o quattromila uomini. L'esercito italiano avrebbe un ruolo decisivo nelle operazioni. La fase organizzativa prenderebbe agli alleati una decina di giorni.

    Fase uno: doppio sbarco in Libia
    Martinelli ha comandato il 187esimo Reggimento paracadutisti della Folgore ed è stato in servizio in Somalia e nei Balcani. In Congo ha comandato il contingente Onu Monuc, nel deserto del Sinai è stato a capo della missione Mfo. Al Foglio dice che pianificherebbe due sbarchi in Libia. Mille uomini delle forze speciali francesi dovrebbero arrivare a Bengasi per prendere il porto e l'aeroporto, mentre altri mille, questa volta italiani, fanno lo stesso a Tripoli. Italiani e francesi sono particolarmente adatti a questo compito perché, grazie alle navi come la Cavour, la Garibaldi e la De Gaulle, hanno elevate capacità marittime. “Se non si incontra resistenza, un gruppo tattico formato da cinquecento uomini può conquistare un obiettivo senza particolari problemi”, spiega il generale. Le notizie in arrivo dalla Libia fanno pensare che le possibilità di un attacco contro i soldati sarebbero basse a Bengasi, la città fortino dei ribelli. Il discorso cambia a Tripoli, dove l'esercito di Gheddafi è ancora forte. Per portare a termine lo sbarco a Tripoli e Bengasi, servirebbero da dieci a quindici giorni.

    Colpire in anticipo i nemici
    L'ipotetica invasione dovrebbe essere preceduta da una serie di operazioni di intelligence. Secondo il generale Piacentini, si potrebbe ricorrere alla tecnologia per individuare possibili obiettivi da colpire prima che lo sbarco cominci. Gli specialisti dell'Imint, in particolare, sono capaci di stabilire con grande precisione la natura delle installazioni militari riprese da droni, palloni volanti e satelliti spia. Così, le forze speciali avrebbero la possibilità di cominciare il loro lavoro con molte garanzie di successo in più.

    Fase due: occupare il territorio
    Una volta completato lo sbarco, il comando logistico passerebbe dalla Sicilia alla Libia. Tripoli è una base eccellente. L'Italia potrebbe prendere il comando di una delle due brigate (l'altra, di stanza a Bengasi, sarebbe guidata dalla Francia). Secondo Piacentini, la guida potrebbe essere affidata alla Divisione Acqui, che non è mai stata impiegata sinora, ma ha svolto una grande esercitazione lo scorso anno e pare pronta a un compito simile. Il contingente italiano dovrebbe comprendere una brigata di arma base, che potrebbe comprendere paracadutisti della Folgore, fanti della Brigata Sassari, bersaglieri della Garibaldi e carabinieri. Ogni divisione sarebbe responsabile di tre reggimenti da seicento uomini distribuiti nei principali porti del paese. Da lì, ognuno di loro dovrebbe muovere verso l'interno del paese, sino ad avere la meglio su tutte le forze nemiche. Salvo complicazioni, questa operazione potrebbe richiedere un mese di tempo e perdite consistenti. Nella rivolta libica, dice Piacentini, non sono state bruciate bandiere americane o israeliane: questo significa che l'ostilità nei confronti dell'occidente non è un fattore in gioco. L'arrivo di un contingente occidentale, tuttavia, potrebbe essere accompagnato da atti di terrorismo, un fenomeno che è comunque presente in tutta l'area del Maghreb.
     
    L'ora dell'intelligence
    In questa fase, dice al Foglio il generale Piacentini, l'intelligence umana ha un ruolo preponderante su quella tecnologica. Piacentini ha comandato il Nono reggimento d'assalto paracadutisti Col Moschin e ha servito negli organi di informazione e sicurezza. Ha partecipato a numerose missioni in tutto il medio oriente e in Afghanistan. Pochi mesi fa ha pubblicato un libro, “L'intelligence tra conflitti e mediazione”, scritto con Claudio Masci. Le forze di interposizione dovrebbero sfruttare i contatti costruiti nel tempo dai Servizi dei paesi che hanno più legami con la Libia. Le loro informazioni devono essere confermate rapidamente, in modo da permettere di stabilire contatti con tutti gli interlocutori attendibili: informatori, rappresentanti di clan e tribù, esponenti politici e militari. Per stabilire chi siano le persone giuste con cui parlare, Piacentini suggerisce il ricorso alla “psicologia etnica”. “Bisogna avere specialisti che conoscano bene sia la lingua, sia le culture presenti sul teatro – commenta il generale – E' fondamentale riconoscere i comportamenti, i gesti, le tradizioni e gli obiettivi di ogni gruppo. Nel caso dell'Afghanistan, non si può affrontare una conversazione con un pashtun senza sapere che, in cima alla loro scala di valori, non c'è la religione bensì un codice tribale”.

    Spie italiane a Tripoli?
    Due apparati svolgono questa operazione in Italia. Da un lato c'è il Secondo reparto Informazione e sicurezza (Ris), che lavora a stretto contatto con le Forze armate; dall'altro c'è l'Agenzia informazione e sicurezza esterna (Aise), che ha compiti più ampi. Tripoli è un punto strategico sulla mappa del Mediterraneo anche per le sue riserve di petrolio e di gas naturale. Questo particolare dovrebbe favorire il compito dell'intelligence italiana: la dottrina prevede che i servizi di informazione siano presenti in tutti i paesi rilevanti per “l'interesse nazionale”, e in Libia non c'è società energetica più grande di Eni. Tuttavia, dice l'esperto militare del Foglio, Gianandrea Gaiani, le dichiarazioni rilasciate sinora dai nostri rappresentanti diplomatici non sono incoraggianti. “Il livello delle informazioni è troppo basso – spiega – Ma questo è un problema che non riguarda tutte le cancellerie dell'occidente, e rende difficile un'operazione su vasta scala”.

    Fase tre: gli aiuti umanitari
    Dal punto di vista degli aiuti umanitari, i grossi spostamenti di popolazione sono affrontati prima di tutto con la costruzione di campi per i profughi, dice al Foglio Nino Sergi di InterSos. “Il campo deve fornire tutto quello che è necessario – spiega – Le varie organizzazioni umanitarie si muovono coordinate dalle Nazioni Unite in base alle loro specializzazioni: qualcuno costruirà ambulatori, altri distribuiranno i viveri, altri faranno le scuole. L'importante è che, nel giro di pochi giorni, chi viene accolto senta ripartire la normalità della vita: i bambini devono poter andare a scuola, le donne devono poter cucinare per le loro famiglie e devono avere l'acqua per lavare gli indumenti. Nel caso in cui ci siano fughe oltre il confine, il coordinamento passa all'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. Quando il conflitto è definitivamente terminato, l'azione umanitaria diventa ancora più mirata”.

    (ha collaborato Marco Pedersini)

    Leggi La controffensiva di GheddafiLeggi Ecco gli interlocutori e gli ambiti su cui investire per un Piano Marshall che cominci subito - Leggi tutti gli articoli sulla crisi in Libia