Che ne è degli studenti catanesi che si appellarono alla scuola educatrice

Marina Valensise

Sono passati quattro anni dall'appello per la scuola educatrice al senso della vita e contro una scuola vuota, cinica, nichilista e priva di valori, lanciato all'indomani dell'omicidio del poliziotto Raciti, colpito da un masso di cemento allo stadio di Catania. Ma al Nicola Spedalieri, il liceo classico nel cuore della città etnea, molte cose son cambiate. Il preside, Gaetano Circià, fermo oppositore alla richiesta di senso da parte degli studenti, è andato in pensione.

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    Sono passati quattro anni dall'appello per la scuola educatrice al senso della vita e contro una scuola vuota, cinica, nichilista e priva di valori, lanciato all'indomani dell'omicidio del poliziotto Raciti, colpito da un masso di cemento allo stadio di Catania. Ma al Nicola Spedalieri, il liceo classico nel cuore della città etnea, molte cose son cambiate. Il preside, Gaetano Circià, fermo oppositore alla richiesta di senso da parte degli studenti, è andato in pensione. “E per fortuna”, dice al Foglio Graziella Biondi, l'insegnante di religione che seguì i liceali sotto choc per le violenze e il diretto loro coinvolgimento, e che li aiutò a venirne fuori. “C'erano tutti allo stadio. Alcuni assistettero alle sassaiole, videro i tafferugli, non fu una cosa tra tifoserie, ma una rivolta contro le forze di polizia che celava un disagio giovanile importante”, dice la prof che ancora insegna religione e polarizza le attività di volontariato. “A differenza di molti miei colleghi, non me la sentii di farmi scivolare addosso una tragedia che ci chiamava in causa come educatori. Così l'indomani avviai una discussione. I ragazzi erano molto scossi. Nel pomeriggio, li chiamai uno per uno, chiesi loro di cosa avessero bisogno e venne fuori l'appello”.

    A redigerlo furono Salvo Lussi, uno di primo liceo,
    militante all'epoca di Rifondazione comunista e figlio del direttore delle poste di Scordia, Giovanni Tedeschi e Ilenia Vasti, oggi tutti iscritti a Giurisprudenza a Catania. “Fu una provocazione”, ricorda oggi Lussi, “noi però avevamo bisogno di una guida, perché il professore è un modello, non può limitarsi a impartire nozioni, ma l'unica che prese sul serio la nostra esigenza fu la Biondi”. Approvato dal comitato studentesco, il 15 febbraio l'appello apparve in prima pagina sulla Sicilia e fu scandalo. Apriti cielo. Il 4 marzo, i professori reagirono in nome della laicità dello stato, della scuola pubblica e democratica denunciando “l'integralismo” degli studenti. “Non ci riconosciamo negli adulti apatici e socialmente cinici che potrebbero entrare in contatto con voi solo a patto di migliorarsi attraverso l'individuazione di certezze indiscutibili da trasmettervi. Il nostro impegno di educatori e di cittadini è diretto a stimolare domande e curiosità intellettuali, pensiero critico, a favorire la libera espressione e circolazione delle idee (…). Non possiamo, né vogliamo, darvi delle risposte, ma prepararvi affinché siate voi non solo a chiedervi quale sia il senso della vita ma anche a riuscire a individuare, tramite lo studio del cammino culturale dell'uomo sociale, le risposte adeguate al vostro percorso. Proporvi, o imporvi, delle verità è integralismo, cioè barbarie, e pertanto questo atteggiamento non può avere luogo nella scuola pubblica, cioè democratica e laica. Vi rispettiamo troppo per sventolarvi Verità rivelate”. Salvo, sfiduciato, disertò il secondo liceo per la palestra di karate, finché un bel giorno non decise di seguire Graziella a Rimini per il triduo di Comunione e liberazione. Fu lì che avvenne in lui la conversione alla fede. Tornato a scuola, si mise a studiare seriamente. Per la maturità, scrisse pure una tesina sulla sua esperienza (“La coscienza dell'uomo determina il volto dell'epoca”): “Gli esterni la valorizzarono molto più dei membri interni”, segno che allo Spedalieri l'ostilità ideologica era sempre viva.

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