I Gheddafi nel pallone

Maurizio Stefanini

“E' stupido per una folla entrare in un ristorante solamente per guardare una persona o un gruppo di persone che mangiano. Lo stesso si può dire delle folle che per ignoranza non praticano in prima persona lo sport”. Parole dal Libretto verde di Muhammar Gheddafi. Eppure la Libyan Arab Foreign Investment Company (Lafico), il più antico Fondo sovrano libico, possiede il 7,5 per cento del pacchetto azionario della Juventus.

    “E' stupido per una folla entrare in un ristorante solamente per guardare una persona o un gruppo di persone che mangiano. Lo stesso si può dire delle folle che per ignoranza non praticano in prima persona lo sport”. Parole dal Libretto verde di Muhammar Gheddafi. Eppure la Libyan Arab Foreign Investment Company (Lafico), il più antico Fondo sovrano libico, possiede il 7,5 per cento del pacchetto azionario della Juventus. E la Tamoil, società petrolifera di proprietà libica, firmò nel 2005 con la Juventus un contratto decennale di sponsorizzazione da 240 milioni di euro: il più grande accordo della storia del calcio per la pubblicità su una maglietta, anche se fu poi rescisso nel 2006 dopo la retrocessione in B della squadra bianconera seguita al processo "Calciopoli". Inoltre, il regime ha speso milioni per la costruzione di nuovi stadi. E il 25 agosto 2002 a Tripoli si giocò addirittura la finale della Supercoppa italiana:  Juventus- Parma 2-1, con goal di Del Piero, Di Vaio e ancora Del Piero, e il ricordo delle continue folate di sabbia negli occhi di calciatori e tifosi.

    Se Muhammar Gheddafi non ama il calcio, suo figlio al-Saadi, invece, è un vero tifoso. Come proprietario dell'Al-Alhy Tripoli il 9 luglio del 1996 durante un infuocato derby con l'Al-Ittihad provocò, indirettamente, l'ultima grave manifestazione anti regime. L'assegnazione di un goal contestato all'Al-Alhy, infatti, fu attribuita dai tifosi dell'Al-Ittihad alla soggezione esercitata sull'arbitro da al-Saad, seduto in tribuna. Ne seguì un'invasione di campo accompagnata da furibondi cori contro Gheddafi, cui le guardie del corpo di al-Saad risposero aprendo il fuoco sulla folla, e uccidendo quattro persone. La gran parte dei sessantamila tifosi uscì dallo stadio principiando una violenta manifestazione per le strade, con sassaiole e saccheggi. Le autorità ammisero otto morti, ma non mancò chi ne stimò fino a una cinquantina. Il tutto in diretta tv. Residenti stranieri riferirono che per la prima volta, dopo quell'episodio, sentirono cittadini libici lamentarsi apertamente del regime.   

    Il campionato fu sospeso per una quarantina di giorni, ma la minaccia di sciogliere le due squadre non ebbe seguito. Anzi, ad al-Saadi la passione per il calcio montò a tal punto che alla non verdissima età di 27 anni, nel 2000, decise di passare da dirigente a calciatore, mettendosi a giocare nell'Al-Alhy come attaccante: 74 presenze, 3 goal. Forse a titolo di riappacificazione con l'Al-Ittihad, nel 2001 decise di passare all'altra squadra tripolina, arrivando a 74 presenze e ben 20 goal. Ci sono filmati che mostrano i difensori avversari correre lontano mentre al-Saadi tocca la palla, e una volta, durante una partita, i tifosi spinsero in campo un asino con addosso la sua stessa maglia, quella con il numero 10. Ma qualche screzio deve esserci stato anche col padre: il giorno della finale di Supercoppa italiana del 2002, mentre Juventus e Parma erano in partenza, un'agenzia diede la notizia che non si sarebbe più giocato; poi, però, la cosa evidentemente si risolse, e al-Saadi ebbe modo di conoscere anche il presidente della Fifa Blatter.

    Il 2002 fu anche l'anno del rapporto tra al- Saadi e la Juventus: a febbraio ebbe il permesso di allenarsi con i calciatori bianconeri per una seduta; a ottobre entrò nel cda della squadra. Dopo essere stato nominato miglior calciatore libico e aver fatto anche da capitano della Nazionale (dove giocò 18 partite e fece due goal), iniziò nel giugno del 2003 l'avventura nella serie A italiana. Cinque stagioni: 2003-2005 con il Perugia di Gaucci; 2005-2006 con l'Udinese (a Udine era in affitto in una villa da tredicimila euro al mese); 2006-2008 con la Sampdoria di Riccardo Garrone, un altro petroliere. Due le presenze in campo: una col Perugia e una con l'Udinese. Nessun goal e tre mesi di squalifica per doping, cosa che, secondo i maligni, si spiegherebbe meglio ricordando che al-Saadi è molto amico di Diego Armando Maradona. Proprio Maradona che gli consigliò come allenatore il coach dell'Argentina campione del mondo 1986, Carlos Bilardo. Il suo preparatore atletico personale, invece, è stato il velocista canadese-giamaicano Ben Johnson, divenuto celebre per la clamorosa squalifica per doping, seguita al record del mondo alle Olimpiadi del 1988.