Amarcord
Mille volte grazie alla scuola pubblica, l'unica che ho conosciuto e che vorrei difendere
Non so che senso abbia dividersi tra tifosi della scuola privata contro tifosi della scuola pubblica, in una gara che mi pare piuttosto autolesionista, così come lo è proclamare a ogni giro di boa politica il rilancio dei temi educativi (mai a cominciare dal rilancio degli stipendi di chi insegna, però) per finire ai soliti piagnistei sulle risorse che mancano. Ma se la gara ha un senso, mi iscrivo alla tifoseria del secondo tipo.
Non so che senso abbia dividersi tra tifosi della scuola privata contro tifosi della scuola pubblica, in una gara che mi pare piuttosto autolesionista, così come lo è proclamare a ogni giro di boa politica il rilancio dei temi educativi (mai a cominciare dal rilancio degli stipendi di chi insegna, però) per finire ai soliti piagnistei sulle risorse che mancano. Ma se la gara ha un senso, mi iscrivo alla tifoseria del secondo tipo.
Questione di gratitudine. Parto dalla mia esperienza di ragazzina nata a metà degli anni Cinquanta, per la quale il problema della scelta non si pose. Pubblica era la mia immensa scuola elementare, la Dante Alighieri di via Ariosto, a Roma, e immensa era la mia classe di prima, affollata da una quarantina di figlie del baby boom. E allora ringrazio la maestra Masulli, molisana, prodiga di schiaffoni e di caramelle fondenti, teorizzatrice delle tre file di banchi (le brave, le mediocri, le pessime: oggi la metterebbero agli arresti domiciliari).
E grazie alle altre quattro maestre cambiate in cinque anni, tutte convinte che Pascoli fosse molto importante, e lo è. Grazie alla professoressa di francese della scuola media statale “Teresa Confalonieri”, la Lo Bello dal sorriso aperto (in terza, nel 1967, sapemmo che era un'ebrea di Siracusa. Fu costretta a difendere in una classe già politicizzata e ostile la Guerra dei sei giorni. Aveva ragione lei); grazie alla sua decisione di non farci usare mai il vocabolario bilingue ma solo il Larousse de poche (“immaginate, cercate, azzardate”), tradurre da e in altre lingue, vive o morte, è stato più facile. Grazie anche alla professoressa di italiano, la profumata e materna Moscardelli, moglie di un ufficiale di Marina, che ci iniziò all'arte della sottolineatura e della sintesi. Grazie al professor Lami, docente di francese, che al liceo ginnasio statale “Augusto”, nei due anni di insegnamento di lingua straniera, mi ha fatto incuriosire dei meccanismi della letteratura più di chiunque altro, prima e dopo di lui. Grazie anche perché, parlando di Tristano e Isotta che dormivano con una spada tra di loro, gli occhi gli si riempirono di lacrime.
Grazie alla professoressa di storia e filosofia, la poco espansiva Valentina Manfra, della quale temevamo più l'ironia tagliente che i voti bassi. Grazie anche al giovane supplente di filosofia arrivato per qualche mese in prima liceo, Francesco Saverio Trincia, poco più grande di noi, pieno di passione per quello che insegnava. Grazie alla terribile Vera Tonietti (anche per l'unico quattro avuto in pagella: in greco, meritatissimo) che per leggere Omero e Virgilio si alzava in piedi, e quando non poté più farlo pianse di desolazione (quanto si piangeva, a scuola…). Grazie, grazie, grazie alle mie compagne di classe. Figlie di professionisti e di autisti di tram, di manovali e di aristocratici, di commercianti e di travet. Succedeva, nella scuola pubblica, ed era la migliore scuola possibile.
Il Foglio sportivo - in corpore sano