Perché la morte di Erbakan rinfocolerà gli islamisti turchi

Luigi De Biase

Centomila persone hanno occupato ieri le strade di Istanbul per i funerali di Necmettin Erbakan, l'ideologo dell'islamismo turco morto domenica a 84 anni. La folla ha scortato la salma per le strade del quartiere Fatih, uno dei distretti più conservatori della città, e ha scandido a lungo le parole “Allah Akhbar”, Allah è grande. La fine di Erbakan lascia gli islamisti senza un padre, ma può rilanciare le loro istanze sulla scena politica della Turchia.

    Centomila persone hanno occupato ieri le strade di Istanbul per i funerali di Necmettin Erbakan, l'ideologo dell'islamismo turco morto domenica a 84 anni. La folla ha scortato la salma per le strade del quartiere Fatih, uno dei distretti più conservatori della città, e ha scandido a lungo le parole “Allah Akhbar”, Allah è grande. La fine di Erbakan lascia gli islamisti senza un padre, ma può rilanciare le loro istanze sulla scena politica della Turchia.

    Alla cerimonia ha preso parte Recep Tayyip Erdogan, il premier filoislamico che guida il paese da otto anni e si scontra spesso con le istituzioni laiche – università, esercito e tribunali. Con lui c'era il presidente della Repubblica, Abdullah Gül.
    Erbakan ha occupato una posizione centrale nella politica turca. Il suo Refah Parti (Partito del benessere) cominciò la scalata al potere negli anni Ottanta e rimase al governo sino al 1997, l'anno in cui i generali convinsero il leader a cercare un riparo all'estero in attesa di tempi migliori. Una corte stabilì più tardi che il Rafah aveva messo in pericolo l'ordinamento laico del paese. Quello del '97 è stato l'ultimo golpe dell'esercito turco, un “coup postmoderno”, dato che non si sparò neppure un colpo di fucile.

    L'impatto di Erbakan è stato grande su tutto il medio oriente. Fra gli uomini vestiti di verde che ieri sfilavano in lutto per strade di Fatih doveva esserci anche il leader di Hamas, Khaled Mashal.
    Erdogan, come Gül, ha fatto parte del Refah e lo ha abbandonato alla fine degli anni Novanta per fondare l'Akp (Giustizia e sviluppo). Quella svolta gli ha permesso di diventare premier, ma non ha cancellato tutti i sospetti sulla sua storia politica. Erbakan non ha mai digerito il tradimento e ha accusato Erdogan di essere uno “schiavo dei sionisti”. Lo ha ribadito anche l'anno scorso, quando una nave turca ha cercato di rompere il cordone di sicurezza israeliano per portare aiuti nella Striscia di Gaza. Lo scontro in mare fra l'esercito e gli attivisti si chiuse con una decina di morti, tutti turchi.

    Erdogan fu duro con il governo d'Israele in quell'occasione, tanto che i due paesi rischiarono di sospendere i rapporti diplomatici. Eppure, Erbakan attaccò l'ex pupillo con forza, rinfacciandogli di “favorire inconsciamente l'ordine mondiale voluto da Israele e dagli occidentali”. Ora, la sua morte apre nuovi spazi nel panorama politico turco: nel nome di Erbakan, gli islamisti possono costruire un'alleanza per indebolire il governo dell'Akp.