Algeria e Marocco alla prova rating della rivolta araba
Anche le agenzie di rating si sono adeguate e ora danno valutazioni sulle rivoluzioni nei paesi arabi. Standard & Poor's e Fitch concordano, dicono che il Marocco è il paese arabo con meno possibilità di contagio eversivo, più basso è il rating dell'Algeria.
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Anche le agenzie di rating si sono adeguate e ora danno valutazioni sulle rivoluzioni nei paesi arabi. Standard & Poor's e Fitch concordano, dicono che il Marocco è il paese arabo con meno possibilità di contagio eversivo, più basso è il rating dell'Algeria, un paese in cui l'economia era socialista, ma ancora continua a fare il miracolo di distruggere ricchezza.
Per comprendere la valutazione positiva delle agenzie di rating sul Marocco, basta dare un'occhiata alle manifestazioni delle ultime settimane, che si sono svolte in modo pacifico – qualche scontro c'è stato, ma niente di drammatico. Lo slogan degli oppositori era “meno poteri al re”: chi è sceso in strada non ha chiesto la fine del regime, ma una riforma costituzionale. Le ultime elezioni politiche in Marocco sono state sostanzialmente libere, anche se largamente disertate dagli elettori (soltanto il 37 per cento dei votanti è andato alle urne). Nel Parlamento ci sono un partito socialista (36 seggi su 325) e un Partito comunista (17 seggi); il Partito sviluppo e giustizia, legato ai Fratelli musulmani, ha 47 seggi. E' però vero che il potere esecutivo è concentrato nelle mani del sovrano, che governa “nel nome di Allah” e che, potendo nominare il premier e sciogliere a piacimento il Parlamento, esercita ben più di una moral suasion. In realtà, il paternalismo della corona è stato una molla per portare riforme democratiche.
Nel 2004, al momento di approvare la Muddawana – un codice di famiglia che riconosce parità di diritto alle donne, nel rispetto della sharia – le resistenze degli islamisti furono superate grazie alla minaccia del re Maometto VI di sciogliere il Parlamento. Il Marocco ha un sistema politico elastico, pluralistico, sensibile alle tensioni sociali e politiche, che permette al paese di affrontare la rivolta araba senza traumi eccessivi. Salvo verifica, naturalmente, perché anche qui si soffre della patologia che ha fatto divampare le proteste in Tunisia e in Egitto: la disoccupazione fra i diplomati è al 18 per cento, fra i laureati addirittura al 22, mentre quelli con un titolo di studio inferiore sono disoccupati soltanto al 5 per cento.
Quanto all'Algeria, Standard & Poor's, esprime una valutazione negativa interessante, perché stima che il grande volume dell'esportazione di gas e petrolio permetterà al regime di sviluppare “politiche populiste” tanto condannabili sotto il profilo economico di medio periodo, quanto remunerative per la stabilità a breve. Il regime algerino guidato da Abdelaziz Bouteflika si pone esattamente all'opposto di quello del Marocco quanto a garanzie democratiche, pur non raggiungendo gli estremi autoritari di Tunisia, Egitto e Libia. Dopo la guerra civile che ha fatto 200 mila morti tra il 1991 e il 1998, Bouteflika ha aperto una ristretta “area di partecipazione”. Il pluralismo è limitato alle forze satelliti del Fronte di liberazione nazionale (Fln) e ad alcuni quotidiani – anche se decine sono i giornalisti arrestati e condannati per reati d'opinione. L'apparato repressivo è imponente: così, ad Algeri, si è assistito allo spettacolo unico di una manifestazione di 2.000 oppositori, contenuta da ben 30.000 agenti delle forze dell'ordine. Il regime sente la pressione popolare. Bouteflika ha annunciato la revoca dello stato d'emergenza, in vigore dal 1991 e un pacchetto di riforme economiche – i famosi contributi a pioggia previsti da Standard & Poor's. La donazione non intacca la rigidità economica del paese, che ha riserve per 140 miliardi di dollari ma non possiede un'economia di mercato. L'immensa rendita petrolifera è utilizzata in piani quinquennali che non fanno altro che alimentare opere pubbliche faraoniche (spesso portate a termine da imprese cinesi) e apparati corrotti.
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