Altro assalto poetico al nostro berlusconismo. E una risposta
Jago diceva che “forse è la luna che si avvicina alla terra più dell'usato, e rende gli uomini folli”; e concludeva “I'm bleeding, but I do not die”, sanguino ma non muoio. Ho la sua stessa diffidenza per la gelosia e il rancore sociale, che maliziosamente mi piace eccitare, e la sua stessa resistenza agli assalti, o almeno spero. Non ho inventato Berlusconi, è lui che ha reinventato tutti noi, e nella distribuzione dei ruoli il commediografo non ha sbagliato un colpo.
Al direttore - Nell'età delle democrazie, finito l'Ancien régime, io cittadino non dovrei occuparmi dei politici, ma vorrei che i politici si occupassero di me; almeno per quel poco che possono. In molte delle questioni che mi riguardano o mi premono, quelle sentimentali o creative, i politici non possono fare un bel niente. Così, penso che la politica debba essere un buon arbitro, interpretare le leggi del vivere civile nel modo più silenzioso possibile, dopo aver recepito e tradotto in commi il lavoro ideale di giuristi, filosofi e poeti. Chi si aspetta dalla politica grandi scelte di vita è un fascista o un comunista, dunque un totalitario. Ciò che io vorrei ricavarne, a mie spese di contribuente, risponde a pochi desideri: un fisco equo, una buona organizzazione di sanità, istruzione e sicurezza, e una politica estera decente, ispirata sia a un legittimo vantaggio del mio paese sia più ampiamente alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Credo che ciò basti e avanzi.
Il resto, lo fanno le persone con il loro lavoro quotidiano. I politici hanno solo l'illusione di fare l'economia, la cultura, il progresso del loro paese; al massimo, invece, prendono atto di quanto avviene e operano qualche correzione. Per questo, chi si appassiona alla politica, secondo me, rimpiange le figure eroiche del passato, quelle con diritto di vita o di morte su individui o interi paesi, e soprattutto fugge dalle proprie responsabilità individuali, delegando a quel tale politico l'azione che non riesce ad esercitare. E' un fatto proiettivo: una parte inesplosa di sé, un brutto sogno di onnipotenza. I politici vengono inventati da chi fa, spesso meglio, il loro stesso mestiere, usare le parole: scrittori e giornalisti.
Ecco che Giuliano Ferrara, che a detta di tutti è di destra “ma” è intelligente, appoggia Silvio Berlusconi. Cosa unisca un direttore di giornale colto e anticonformista come Ferrara ad un astuto imprenditore lombardo come Berlusconi potrebbe essere un mistero umano da psicoanalisi. Rispondendo recentemente a una lettera di Filippo La Porta, Ferrara si è attribuito “una dose velenosa di machiavellismo” e ha affermato che Berlusconi, “nelle condizioni date”, è quanto “poteva capitare di meglio”. (Probabilmente, Ferrara ha ragione: se i politici in realtà possono fare poco, Berlusconi per l'Italia e per il mondo ha fatto pochissimo, togliendo il disturbo della politica dalla Storia. Debito pubblico, arretratezza delle leggi civili, esiguità delle retribuzioni, esosità del fisco, scarsa attrazione dei capitali e limitata libertà d'impresa, sono rimasti identici a prima. Se era a ciò che l'Italia puntava, ha trovato il proprio campione).
In verità, è chiaro che Ferrara gioca a un cinismo orgogliosamente fuori moda. Riesce, grazie a un Machiavelli trasformato in Iago, a stare culturalmente all'opposizione appoggiando il governo di un uomo che ha miliardi di euro, televisioni, pubblicità e un enorme potere di corruzione. Da buon ex comunista, Ferrara vuole ancora il politico-eroe, il politico-popolo, e per mancanza di materiale umano, che è incontrovertibile almeno come la complementare ricchezza della sua immaginazione, lo ha letteralmente inventato. Affiancandosi a pennivendoli di bassa lega, Ferrara compie le proprie piroette quotidiane, usando Berlusconi come la protesi vistosa e un po' demente della propria naturale frustrazione di uomo d'ingegno, e perciò stesso infelice della convivenza con la massa.
Quella massa silenziosa che già ha affossato l'egemonia culturale del Pci, e prima ancora il virtuismo pubblico di azionisti e radicali, quel popolo infido e generoso, corrotto e praticone, ha trovato in Berlusconi la propria accelerata pantomima, la propria sigla marionettistica. Così, contro ogni silenziosa sobrietà alla Aldo Moro o alla Enrico Berlinguer, Ferrara intona ogni giorno il proprio “E lasciatemi divertire!”, celebrando, da arcitaliano, e contro ogni modernismo calvinista, lo sposalizio mistico fra le inestirpabili radici clerico-fasciste dell'italiano medio e il pittoresco duce catodico in cui esse nuovamente si riconoscono, e nuovamente si esprimono.
Chi altri avrebbe potuto servire a Ferrara il bellissimo romanzo di un cantante da crociera che diventa miliardario e presidente del Consiglio, se non Silvio Berlusconi? Chi altri avrebbe potuto controfirmare la sua intelligente disperazione nei confronti della normalità, se non l'amico di Craxi, Previti e Dell'Utri, le cui incolori fatiche governative si ricreano con serate grassocce e rumorosamente fuori legge? C'è da prendere atto che Ferrara ritiene molto più grave sbarazzarsi di un embrione di due mesi che non indurre alla prostituzione una greve fanciullona di diciassette anni; e anche che Berlusconi ha cercato e trovato la sua simpatia affermando di essere “ogni tanto un po' peccatore”. La virtù è impoetica, e non riempie i giornali: ma lo spirito da crociato di Ferrara non ha voluto vedere che chi trascorre serate fra ciniche ragazzotte e ville pacchiane non è un peccatore. E' solo un cretino.
Paolo Febbraro, poeta
I primi due paragrafi di questa lettera sono un condensato di berlusconismo, si sente l'urlo dell'antipolitica originaria. Poi viene la formula banalotta, attribuita ad altri e fatta propria, “di destra ma intelligente”. Letture, studi, esperienza della fine di secolo dimostrano che destra e intelligenza sono ormai sinonimi; è il soggetto di sinistra che deve dimostrare di essere intelligente, ciò che talvolta avviene, mentre un pensierino di destra lo è ipso facto. Abbiamo scritto in questo giornale una serie di ritratti di persone della gauche intellettuale e artistica intitolati con la particella avversativa giusta, sulla scia del primo, dedicato al nostro idolo Francesco Piccolo: “Di sinistra ma felice”. Avrei voluto dire lo stesso del nostro corrispondente e poeta Paolo Febbraro, ma non posso. La lettera è il prodotto di un'anima pubblica profondamente infelice. Del privato non so e non voglio sapere, sospetto che mi deluderebbe una vita personale “silenziosamente legale” invece che “rumorosamente fuorilegge”. Berlusconi invece, inteso come fenomeno in cui si riflette la spocchia poco briosa dell'antitaliano virtuoso e conforme, non mi delude mai. Induce una persona di talento come il nostro poeta, di cui ho letto i bei versi di Deposizione, quasi un sonetto, a dargli del cretino e a identificarlo come il duce catodico dell'italiano medio clerico-fascista, pacchiano eccetera.
Jago diceva che “forse è la luna che si avvicina alla terra più dell'usato, e rende gli uomini folli”; e concludeva “I'm bleeding, but I do not die”, sanguino ma non muoio. Ho la sua stessa diffidenza per la gelosia e il rancore sociale, che maliziosamente mi piace eccitare, e la sua stessa resistenza agli assalti, o almeno spero. Non ho inventato Berlusconi, è lui che ha reinventato tutti noi, e nella distribuzione dei ruoli il commediografo non ha sbagliato un colpo. Se io affianco pennivendoli (caro poeta che usi una lingua prosastica sciatta), lei difende origliatori, pornografi della legalità e della politica, giornalisti da stato di polizia, politicanti frustrati, tartufi in punta di diritto e altri cannibali del vecchio sistema ovrista e iperitaliano. Se fosse per salvare un embrione di due mesi metterei su un intero circo di puttane, con numeri di altissima acrobazia e un elisir d'amore alla portata di tutti. Questo per la morale. Quanto all'intelligenza, è segno di ambizione spasmodica e di vanità “grassoccia” insignirsene dando del cretino a un altro che palesemente non lo è. Il Kaiser detestava essere considerato più intelligente dell'ultimo dei suoi sudditi. Un poeta dovrebbe fare lo stesso con i suoi lettori.
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