Della furbizia elencatoria

Stefano Di Michele

Non che sia la stessa cosa, si capisce, ma lo stesso possono vantare vaste aree di estimatori – tanto “la mozzarella di bufala aversana”, localmente individuata e globalmente apprezzata; quanto “la figa” (così scritta e così intesa), più complessivamente e geograficamente situata, ben al di là della sola area campana. Più o meno si tratta sempre di resistere, umanamente resistere, ai tempi cupi e ai giorni bui toccati in sorte: quelli berlusconiani oggi, quelli craxiani allora.

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    Non che sia la stessa cosa, si capisce, ma lo stesso possono vantare vaste aree di estimatori – tanto “la mozzarella di bufala aversana”, localmente individuata e globalmente apprezzata; quanto “la figa” (così scritta e così intesa), più complessivamente e geograficamente situata, ben al di là della sola area campana. Più o meno si tratta sempre di resistere, umanamente resistere, ai tempi cupi e ai giorni bui toccati in sorte: quelli berlusconiani oggi, quelli craxiani allora. E sempre, ma sempre, di un decalogo si tratta – che a volte s'incrocia, e a volte s'ignora. E così, se vicino alla mozzarella di bufala aversana compare (e sempre ben figura) “fare l'amore”, a fianco della “figa” magnificamente figurava “l'amore”, pur nella singola suddivisione, vien da pensare, tra l'aspirazione e la messa in pratica.

    O forse solo un estrema attenzione a ogni forma di politicamente corretto: a un omosessuale, per esempio, della “figa” che gliene frega? Più o meno, come diceva Roberto Begnini rispetto al comandamento che raccomanda di “non desiderare la donna d'altri” – e appunto, alla donna che gliene frega? E' l'epoca questa – epoca ormai che ha consistenza di vari decenni, non brutalmente al decadimento degli anni berlusconiani imputabile – delle furbizie elencatorie, quelle che tutto comprendono e niente dicono, che un qualunque scrivano di essemmesse sa compilare e qualunque tenutario di Facebook persino comprendere. Il vagabondare di cui sopra tra latticini e vagina sono esempi presi da due tra le più mirabili composizioni elencatorie della storia patria: i primi trovano ghiotto accasamento nel decalogo personale e non poco amorevole di Roberto Saviano a conclusione del suo libro “Vieni via con me” (Feltrinelli), in pratica le storie già raccontate in televisione con Fazio a “Vieni via con me” (teoricamente, il volume sarebbe stato giusto intitolarlo “Rivieni via con me”, ma pazienza); la seconda nel famoso elenco che negli anni Novanta andò formandosi sulle pagine di “Cuore”, appunto “Settimanale di resistenza umana” diretto da Michele Serra, che poi fu condotto alla fine “da un gruppo di pazzi che votavano in massa per Antonello Venditti” – con sempre gran concorso di pubblico democraticamente avvertito ed eroticamente arrapato, tanto che ancora adesso c'è chi s'interroga “ma le donne non votavano?”, e chi risponde “è vero, in vetta c'era proprio l'Innominata… Le donne votavano sicuramente, immagino però che la percentuale di votanti del gentil sesso fosse inferiore”, e testimonianza si somma a testimonianza, “per vostra informazione: al primo posto c'è sempre stata la figa, dal primo giorno di classifica fino alla chiusura del gionale”, praticamente un long seller, come “Siddharta” e “Sapore di mare”, e tale doveva essere, senza scomodamento sondaggistico del professor Mannheimer, fitta e determinata la confluenza mascolina all'ideale seggio, figurando poi “il cazzo” – vuoi inteso quale controparte ideale alla trionfante Innominata, vuoi inteso in senso più vasto e sessualmente più azzardato – solo in trentesima posizione, persino dopo la Juventus, la pace e Ken il guerriero.

    S'appisola, dentro di noi, sempre un decalogo: la facile fuga, il dire senza troppo impegnarsi, l'impatto emotivo garantito (fosse smemorato come quello di Collegno, un decalogo più o meno tutti lo possono tenere a mente). Perché il decalogo ha sì, oramai, una sua certa volgarità quotidiana e giornalistica – persino le solite dieci domande dieci: sforzarsi di trovare l'ultima anche se nove bastano, eliminare l'undicesima anche se essenziale, dieci è il numero perfetto – ma la sua originaria ispirazione è alta, altissima. Dall'Altissimo, appunto, è stato forgiato il decalogo: lassù sul Sinai, nelle mani di Mosè, due lastroni appena di pietra, dieci regole e basta – “il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace”, per dire, prima di arrivare a Paolo Bonolis, che pure nel “Senso della vita” il suo personale decalogo aveva. E infatti, benissimo spiega il dizionario Treccani che è, la parola “decàlogo”, di questo senso innanzi tutto investita: “La serie dei dieci comandamenti che, secondo il racconto biblico, Dio diede a Mosè sul monte Sinai come precetti di vita per il suo popolo; accolto e fatto proprio dal cristianesimo, è conservato oggi nell'insegnamento del catechismo cattolico” – che del resto ha continuato sulla strada, con altri esemplari elenchi, comunque giù giù a scendere, dai sette peccati capitali alle quattro virtù cardinali alle tre virtù teologali: elencazioni indubitabilmente necessarie, non fosse altro che per tenerle, vuoi il fedele vuoi il prete, saggiamente ben presenti.

    E sarà allora, a volerla decentemente nobilitare, faccenda veterotestamentaria, questa di affilare dieci righine dieci per molto spiegare – e a volte tirare la somma del tutto. Perché mai la faticosa elencazione si limita a questioni di piccola contingenza – a parte le domande di Repubblica a Berlusconi, che sempre dieci sono probabilmente a rammentare che ogni quesito posto al Cavaliere di sicuro la possibilità di un peccato contiene – ma più spesso sfiorano l'assoluto (“il senso della vita”, appunto, o “le dieci cose per cui vale vivere la vita”). Prima che Internet debuttasse – e quindi la pratica si rendesse praticamente planetaria e a ogni fissazione prontamente corrisposta. Per esempio, girovagando per i centocinquant'anni dell'unità nazionale, potete voi indicare quali sono i dieci piatti migliori, dal conte di Cavour al ministro Calderoli? gran concorso di popolo – i ghiottoni sono una categoria che ormai infesta tutto, e parlare del cibo per loro è quasi meglio che mangiarne – dunque, nella risposta, dalla pizza alla carbonara, dal tiramisù alla mozzarella di bufala cara al palato non meno che al cuore di Saviano.

    Dai giorni di Mosè a quelli nostri, infiniti sono stati gli elenchi stilati, i decaloghi preparati, le liste forgiate. In letteratura, al cinema, sui giornali. In musica, nel calcio, nel sesso. Ognuno ha un suo modello – escluso, per ovvie ragioni di costumanza e di senso della misura, il primo: il Suo. Molti tra i più colti, più da sala d'essai che da cinepanettone, citano sempre una famosa scena di “Manhattan” dove Woody Allen, abbandonato sopra un divano, prova ad elencare i motivi per cui vale la pena vivere, dalle pere dipinte da Cézanne all' “Educazione sentimentale” di Flaubert, da Groucho Marx (confidenzialmente “il vecchio Groucho Marx”) al “secondo movimento della sinfonia ‘Jupiter'” – e si capisce che il livello si fa superiore, non solo alla lista di Cuore, comprendente persino il “calcolare il coefficiente di attrito durante la penetrazione” e il corporale piacere di “ruttare”, ma nemmeno da Saviano (che pure, tra il mirabile latticino e la romantica necessità di “portare la persona che più ami sulla tomba di Raffaello Sanzio e leggerle l'iscrizione latina che molti ignorano”, praticamente si va per lapidi, piazza giustamente a metà classifica l'“Iliade”). Naturalmente è secondario il contenuto del decalogo, piuttosto conta la necessità dell'elencazione, così che nella pratica, certo non nella sostanza, i dieci migliori rutti della storia hanno lo stesso identico instradamento dei dieci migliori capolavori della letteratura russa.

    L'alto e il basso attentamente mischiati, nelle sue forme migliori, richiede una buona elencazione. Notevolissima fu quella che mise in musica Rino Gaetano, sul calare degli anni Settanta: “Nuntereggaepiù / eya alalà / pci psi / dc dc / pci psi pli pri / dc dc dc dc / Cazzaniga / Avvocato Agnelli Umberto Agnelli / Susanna Agnelli Monti Pirelli / dribbla Causio che passa a Tardelli / Musella Antonioni Zaccarelli / Gianni Brera / Bearzot / (…) / onorevole eccellenza cavaliere senatore / nobildonna eminenza monsignore / vossia cherie mon amour / nuntareggaepiù…”. E non era bassissimo (e quindi, poeticamente, volto in altissimo) il dettagliato elenco – un decalogo moltiplicato e ancora moltiplicato – che Giuseppe Gioacchino Belli, in epoca papalina, dedicò alle tante declinazioni sia della prima classificata nelle votazioni di Cuore, sia del mesto ristagnare del trentesimo classificato? E quindi, nella “Madre de le Sante” eccolo esplodere in “fessa, spacco, fissura, bucia, grotta / fregna, fica, ciavatta, chitarrina / sorca, vaschetta, fodero, frittella / cicia, sporta, perucca, varpelosa / chiavica, gattarola, finestrella / fischiarola, quer-fatto, quela-cosa…”, e scendendo, con “Er Padre de li Santi”, giù giù di classifica, “er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo / attaccapanni, moccolo, bbruggnolo / inguilla, torciorecchio, e mmanganello / zeppa e bbatacco, cavola e tturaccio / e mmaritozzo, e cannella, e pipino / e ssalame, e sarsiccia, e ssanguinaccio…”. Tempi in cui si andava elencando dell'essenziale, quelli. Man mano, il giochino ha preso piede, le “top ten” hanno abbracciato ambiti sempre più grandi, da “le dieci macchine che fanno più cagare al mondo” alla “Decalogia di un trasloco di coppia”. E nel momento della sua maggiore popolarità, anche Gianni Morandi non fece forse ricorso a una sorta di (breve, però, che evidentemente non si sapeva bene come portare avanti la faccenda) elencazione ad elevazione di quel “grande prato verde dove nascono speranze che si chiamano ragazzi” (ma che erano, cicoria?)? e dunque “Uno: non tradirli mai, hanno fede in te / due: non li deludere, credono in te”, eccetera eccetera.

    Elencare, elencare, elencare. A volte un'arte, a volte una fissazione. La compianta Rina Gagliardi, giornalista del Manifesto e senatrice di Rifondazione, lo faceva in continuazione, squadre di calcio e date di congressi, un lungo continuo divertito sforzo di memoria, poi tutto si appallottolava e finiva nel cestino. Quali sono le dieci canzoni che vi hanno fatto piangere di più? e giù con Paul Simon o Eric Clapton, e una magnifica figura mica da poco, quando si va a citare la “Lacrimosa” di Mozart, o sennò, per definitivamente satollarsi, la lista delle cinquecento migliori canzoni stilata dalla rivista Roling Stone. E ancora, quali sono i dieci libri preferiti? casistica infinita. O invece, non volete rendere noti i dieci film che amate di più? basta cliccare e ogni genere di elencazione si trova, a ogni genere di elencazione si può partecipare, ogni genere di elencazione si può proporre, “ieri sera, mentre facevo la doccia, ho avuto questo flash-back, ho rammentato i tempi di gioventù (una ventina d'anni fa, più o meno) quando, tra le varie, acquistavo Cuore e, sempre tra le varie, mi sbellicavo nel leggere la classifica delle cinque cose per cui valeva la pena vivere” – e quindi ci riprova. C'è chi, a occhio e croce, potrebbe, per sensibilità e per cultura, o per snobismo, condividere con Allen il suo divano, così da evocare “‘Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera', del regista coreano Kim Ki-duk… un film che mi ha cambiato la visione del mondo… mi ha fatto piangere per tre giorni di fila…”, e chi, pur nella polemica, si muove più terra terra, “vorrei dire a pasquale ke harry potter 3 è molto bello e il fatto ke a lui non piaccia non vuol dire ke sia 1 skifo. Comunque perciò si scrive tutto attaccato…”. Gli elencatori, nei frenetici elencamenti delle cose per cui vale la pena vivere, appartengono sostanzialmente a due categorie. Diciamo così: il prosaico e lo spirituale, il nipotino ideale di quelli che votavano in massa “la figa” e quelli che invece mettono in lista l'odore della rugiada o le poesie di Borges o sapere che qualcuno sta pensando a te. O anche “quando rientro la sera prima che mia zia si riprenda Gabriele (un anno) e lui strilla e barcollando mi si aggrappa a una gamba appena entro dalla porta…”.

    Ma se la mania elencatoria è un innocuo giochino di società – al quale è impossibile resistere, se ci precipiti dentro: vuoi dire che non hai un cazzo di buona ragione per cui vivere? vuoi dire che non hai neanche letto cinque libri così da poterli elencare? – è stato il programma di Fazio e Saviano, appunto quel “Vieni via con me”, ora con il volume feltrinelliano degnamente celebrato, a farne quasi un prototipo del politicamente e pubblicamente schierarsi e dichiararsi. Ordinatamente, però – come sulle bolle di accompagnamento delle merci: a tot numero, tot sentimento. Non male l'idea, mica brutto il programma, solo che la semplicità (che è un dono) pareva mutarsi in emozione un po' artificiale (poche parole, poco prezzo; a parte, s'intende, i monologhi di Saviano stesso, che infatti ancora rimira il singolare eruttare di sue parole in mezzo alla stitichezza elencatoria circostante, “ma le parole bisogna sempre saperle risparmiare”).

    Una cosa è sicura: dopo che tutti gli ospiti televisivi del programma si sono prodotti nella loro prima richiesta e poi esibita elencazione – dalla scuola alla mafia, dalle donne alla televisione, persino un gran attruppamento di allievi della Scuola d'arte drammatica di Milano che hanno fatto l'elenco “delle cose di cui siamo fatti” – tutte memorabili e commendevoli, persino le rughe di Italo Calvino, che chissà quanti riuscivano a rievocare, si va verso il periodo di grandi, generali e roboanti elencazioni. Sulla Tribuna di Treviso si trova questo titolo: “Le 10 cose per cui vale la pena vivere: tu come Saviano scrivi la top ten”. E l'edizione bolognese di Repubblica, in vista dell'incontro cittadino con lo scrittore, ha chiesto ai locali di fare (e dai!) come Saviano stesso: “Ecco le nostre dieci cose belle” – chi ha messo di mezzo le tagliatelle e chi la tromba di Miles Davis, chi i tortellini e chi il “Bolero” di Ravel, chi il calduccio del letto e chi i romanzi di Saramago. Tale è la piega che la faccenda rischia di prendere.

    Non solo un nuovo genere letterario – tanto, da “Bouvard e Pécuchet”, ci si può provare, ma l'incertezza non può che regnare sovrana – ma un nuovo tipo di comunicazione, magari di programmatica resistenza. E dunque sempre in bilico – vale lo scrivano, vale il lettore – tra il suggestivo e il banalissimo. L'autore di “Gomorra” lo dice chiaro: “Sono da sempre attratto dagli elenchi. Un giorno mi piacerebbe scrivere libri di elenchi. E sono sicuro che l'elenco della cose per cui vale la pena di vivere è un esercizio fondamentale per ricordarsi ciò di cui siamo fatti. Una carta costituente di noi stessi”. C'è solo da sperare che la mania della playlist – diciamo e ci scusiamo – non prenda una piega troppo seriosa. Quella di Cuore non lo era, e a dir la verità neanche quella di Saviano che vede al vertice la gustosa mozzarella. Anche perché, alla fine di tutto, lì in televisione, l'elenco più suggestivo, di sicuro il più divertente, tra i molti (troppi) sfornati, fu proprio uno di Saviano. Quando a Nichi Vendola fece una surreale elencazione dei “comportamenti che fanno dare dell'omosessuale” dalle sue parti, tipo “la birra con la fetta di limone, i calzini a righe, le unghie pulite, usare più di due tirate di carta igienica, i bastoncini di cotone, il Fiordifragola”, così che lui fu costretto, bimbino del casertano, a passare l'infanzia con il “sole Lemonissimo”, roba da uomini veri. Quando fa ridere, l'elencazione a danno degli stupidi è davvero cosa molto seria.

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