Politica o società. Che cosa ci insegnano le rivolte di questi giorni

Alfonso Berardinelli

Determinismo sociologico o volontarismo politico? Volendo tagliare in due, per semplicità e chiarezza, la massa di impressioni, pregiudizi e idee che dominano le nostre discussioni politiche, mi pare che le cose stiano proprio così. Da un lato c'è chi mette al primo posto la società, con le sue caratteristiche e trasformazioni. Dall'altro c'è chi privilegia la politica, i suoi progetti, le sue iniziative.

    Determinismo sociologico o volontarismo politico? Volendo tagliare in due, per semplicità e chiarezza, la massa di impressioni, pregiudizi e idee che dominano le nostre discussioni politiche, mi pare che le cose stiano proprio così. Da un lato c'è chi mette al primo posto la società, con le sue caratteristiche e trasformazioni. Dall'altro c'è chi privilegia la politica, i suoi progetti, le sue iniziative.

    Qualche sera fa, in una specie di alterco a tavola, io dicevo grosso modo che gli schieramenti e le formazioni politiche sono un'espressione, una conseguenza di ciò che bolle nel ventre della società. Il mio interlocutore diceva invece che lo stato della società è il risultato dell'azione dei politici e che la società degenera perché la politica lo vuole. Secondo la mia idea (o impressione) la Lega, per esempio, esiste perché gli italiani sono diventati xenofobi in seguito alle grandi migrazioni (dall'Africa, dall'Europa orientale, dall'Asia). Secondo lui è invece la Destra che fa nascere il razzismo, lo crea, lo fomenta.

    Il mio era una specie di determinismo sociologico, secondo la vecchia idea di un filosofo tedesco dell'Ottocento, per cui “l'essere sociale determina la coscienza”. Quella del mio amico era una concezione volontaristica o giacobina o leninista dell'agire politico, per cui nella testa di una popolazione abitano idee e sentimenti buoni se i partiti (pedagogicamente) ce li fanno entrare. Temo che la verità intera non stia né dall'una né dall'altra parte. Se difendo il mio eventuale determinismo sociologico (con il “pessimismo della volontà” che ne deriva) è per una ragione di igiene mentale. Quando osservo la società e i comportamenti quotidiani delle persone mi sembra di imparare sempre qualcosa di nuovo. Se mi metto invece a ragionare da politologo e studio chi fa politica, mi annoio, mi indigno a vuoto e immagino di poter influenzare chi governa: una pura chimera.

    La società è un grosso animale che non ignora mai la realtà, anzi la fiuta a distanza e reagisce istintivamente, a volte in modo sbrigativo e brutale. I politici sono perlopiù nient'altro che una falange di ottusi vanagloriosi che credono di dominare le cose, ma non vedono più in là del loro naso. Capiscono che esiste un muro solo quando ci sbattono la testa. Ma al determinismo sociologico un'obiezione forte potrebbe esserci. E' l'obiezione dovuta ai momenti in cui, come si dice, il ritmo della storia accelera all'improvviso e fare politicamente qualcosa in un senso o nell'altro diventa fondamentale. Ma chi ha “deciso” l'esplosione delle rivolte o rivoluzioni attuali nei paesi arabi? Chi ha deciso politicamente la loro inaspettata novità (niente inni a Bin Laden, niente minacce a Israele, niente odio antioccidentale: almeno per ora)? In quello che è accaduto e sta accadendo in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen, Oman, Bahrein, sembra proprio che i partiti e le élite politiche non abbiano avuto un grande ruolo.

    I politici e i nuovi leader potenziali di questi movimenti non fanno che cavalcare o esprimere ciò che la maggioranza della popolazione ha deciso di volere: l'eliminazione di governi tirannici che affamano il popolo e negano la libertà. E' certo che questa accelerazione “événementiel” ha bisogno di politica e la esige, come un'automobile ha bisogno di ruote. Ma senza autista, carrozzeria e motore, le ruote della politica servono a poco.