Storia di una minoranza millenaria

Chi sono i berberi che sfidano il regime di Gheddafi

Maurizio Stefanini

La stampa internazionale concentra l'attenzione sugli attacchi dell'aviazione gheddafista contro Agedabia, Zauia, Misurata, Marsa El Brega: le città ribelli della costa, la cui riconquista potrebbe allentare la morsa dei ribelli su Tripoli. Ma un dramma più nascosto e più antico si sta svolgendo in montagna, sul Gebel Nafusa, “Il Monte Occidentale”. Uno scontro che potrebbe essere altrettanto decisivo di quello della costa, e che rischia di contrapporre combattenti appartenenti alla stirpe più antica del Nord Africa.

Leggi Scusate il mio nome era Gheddafi

    La stampa internazionale concentra l'attenzione sugli attacchi dell'aviazione gheddafista contro Agedabia, Zauia, Misurata, Marsa El Brega: le città ribelli della costa, la cui riconquista potrebbe allentare la morsa dei ribelli su Tripoli. Ma un dramma più nascosto e più antico si sta svolgendo in montagna, sul Gebel Nafusa, “Il Monte Occidentale”: uno stretto altopiano calcareo a altezze comprese tra i 460 e i 980 metri, che si allunga  per 190 Km dal confine tunisino fino alla cittadina di Gharyan, come a formare un dito che indica Tripoli. Uno scontro che potrebbe essere altrettanto decisivo di quello della costa, e che rischia di contrapporre combattenti appartenenti alla stirpe più antica del Nord Africa.

    La posta della lotta è Nalut: una città di 75.000 abitanti, dove venerdì 18 febbraio dopo la preghiera una decina di persone sono andate a manifestare davanti alla polizia. In meno di 24 ore tutta la città si era sollevata, il monumento al Libro Verde di Gheddafi era stato distrutto, e un Consiglio di Saggi si era messo a gestire il governo locale. Una liberazione senza sangue: 22 soldati che si erano rifiutati di unirsi alla rivoluzione sono stati semplicemente lasciati liberi, senza torcere loro neanche un capello. Gli altri 32 uomini della guarnigione si sono invece uniti ai ribelli, pronunciando un solenne giuramento. Ma ora Nalut si trova sul percorso della controffensiva che i gheddafisti stanno tentando per riprendere i collegamenti con confine tunisino. I soldati ribelli, assieme ai civili, sostengono lo scontro. Pur di evitare quell'ostacolo, secondo quanto riporta un sito dell'opposizione, il regime di Gheddafi avrebbe offerto 250.000 dinari (circa 205.000 dollari) a ogni famiglia che avesse accettato di tornare col raìs. Ma gli abitanti di Nalut avrebbero rifiutato.  “Preghiamo Dio che ci aiuti a vincere Gheddafi” hanno scritto su un muro della sede della Mukabarat, la temuta polizia segreta, che qui sorvegliava con attenzione particolare.

    Nalut e il Geben Nafusa sono terra di berberi,
    che in arabo si dice “al-barbar”, dal greco “barbaroi” e dal latino “barbari”. Ma nelle loro lingue si autodefiniscono “imazighen”, plurale di “amazigh”: "uomini liberi". E Tamazgha, “terra degli uomini liberi”, è il nome da loro dato al Nord Africa. Discendenti dagli abitatori paleolitici e neolitici del Nord Africa, già alla prese con le dominazioni di egizi, persiani, greci, cartaginesi, romani, vandali e bizantini, i berberi furono infine sommersi dall'invasione araba, e dopo una dura ma breve resistenza guidata da una profetessa nota come Kahena accettarono l'Islam, e gran parte di loron anche l'arabo.

    Ma nuclei compatti di berberofoni sono arrivati fino a oggi nelle zone montuose e desertiche. Soprattutto in Marocco, dove i berberi delle montagne del Rif e dell'Atlante e della piana di Sus rappresentano quasi metà della popolazione. Ma è berbero anche un quinto della popolazione dell'Algeria: soprattutto sulle montagne della Cabilia, ma anche in quelle dell'Aurès, oltre che presso il confine del Marocco e nei nomadi tuareg del Sahara. È berbero l'1 per cento della popolazione della Tunisia: tra l'altopiano di Dahar e l'isola di Gerba. Sono berberi 6000 egiziani dell'oasi di Siwa. Sono berberi circa 4 milioni di nomadi tuareg di Mali, Niger e Burkina Faso. Ed è berbero il 5 per cento della popolazione della Libia: anche qui nomadi tuareg del deserto, cirenaici dell'oasi di Gialo e soprattutto, appunto, gli abitanti del Gebel Nefusa. Sono circa 200.000 persone, contadini e pastori, le cui abitazioni tradizionali sono villaggi e granai fortificati la cui denominazione di “ksar” rimanda direttamente ai “castrum” romani (e da “al-ksar” viene d'altronde lo spagnolo “alcázar”). Sono strutture fortificare cui l'Impero si dotò per contenere le scorrerie dei barbari dopo la riforma della dottrina militare voluta da Aureliano, e che i discendenti dei cittadini dell'Impero in Nord Africa hanno continuato nei secoli a riprodurre per sopravvivere. 

    I berberi del Gebel Nafusa, poi, si distinguono dagli altri berberi perché sono un'isola non solo linguistica, ma anche religiosa: aderiscono infatti a quella corrente kharigita che rappresenta il terzo ramo dell'Islam dopo sunnismo e sciismo, e che oltre che tra di loro è presente solo in Oman, a Zanzibar, a Gerba e tra i berberi algerini della regione di Mzab.

    In Marocco e Algeria l'agitazione berberista negli ultimi anni ha ottenuto alcuni importanti riconoscimenti di autonomia culturale. Ma Gheddafi ha sempre detto che “il problema berbero non è altro che un'invenzione artificiosa del colonialismo”, e al Gebel Nefusa non è stata concessa né autonomia, né l'insegnamento del berbero a scuola. Un'organizzazione berberista fa dunque parte del fronte delle opposizioni in esilio costituitosi nel 2005, e l'intero Gebel è stato all'avanguardia della Rivoluzione. Ma adesso si trova anche in prima linea di fronte alla controrivoluzione. Per amara ironia, però, mentre i tuareg libici si sono uniti a loro volta alla rivolta, Gheddafi avrebbe arruolato tra i tuareg del Mali 800 mercenari che potrebbero essere usati per l'attacco contro Nalut. Berberi contro berberi.

     

    Leggi Scusate il mio nome era Gheddafi